Nell’era dell’abbondanza siamo stati abituati ad avere tutto, anzi, a pretendere tutto. Il mito del progresso eterno ci ha convinti che esiste un miglioramento continuo da perseguire materialmente, che questo non solo è possibile ma è l’unica e la migliore via da percorrere.
Le parole come rinuncia, sacrificio, umiltà, sobrietà, accontentarsi, che oggi sentiamo pronunciare solo a bassa voce e con cautela, sono assolutamente dannose ed è bene prenderne le distanze immediatamente. L’abbondanza quantitativa è l’obiettivo, la scarsità la cosa da cui rifuggire. Non fa una grinza. E il nostro sistema economico e culturale si fonda proprio su queste basi concettuali.
Allo stesso tempo però sta emergendo sempre più una logica, in apparente contraddizione con quanto detto. Ovvero, in determinate circostanze vorremmo perseguire dei fini etici e morali, magari anche rispettosi dell’ecosistema, che spesso però sono in netta antitesi con il perseguimento del progresso. È la logica dei NIMBY (Not in my back yard – no nel mio cortile) con la quale comitati e organizzazioni di cittadini chiedono con insistenza che non debbano essere costruite nelle vicinanze della loro abitazioni opere grandiosi, simboli maestosi del progresso, quali centrali nucleari, discariche, inceneritori, ripetitori, raffinerie. È la stessa logica dell’occhio non vede cuore non duole, che fino a un certo punto può persino essere compatita.
In altre parole, vogliamo aumentare sempre più il nostro “benessere” ma pretendiamo di non “rinunciare” a nulla. Vogliamo gli inceneritori e le discariche, ma le pretendiamo lontane dai nostri occhi, magari in qualche paese povero nell’altro emisfero; vogliamo una o due o più auto nei nostri garage, ma pretendiamo aria pulita nelle città, parcheggi pratici, poco traffico e pochi incidenti stradali; vogliamo che sia rispettato il diritto alla vita degli animali, ma pretendiamo di mangiare carne e formaggi in abbondanza ogni giorno comprandoli nei supermercati; vogliamo che sia risolto il problema dell’immigrazione continua, ma pretendiamo di fare acquisti sempre più vantaggiosi a spese delle popolazioni più povere; vogliamo la pace nel mondo, ma pretendiamo che le industrie a servizio della guerra non chiudano perché licenzierebbero tanto personale; vogliamo che i nostri fiumi, i nostri laghi e le nostre spiagge siano pulite e salubri, ma pretendiamo mantenere gli stessi stili di vita.
Saranno le sempre più evidenti contraddizioni del nostro sistema a metterlo in crisi e a favorire un reale cambiamento. In questo momento, noi siamo proprio come quello che vuole, allo stesso tempo, la botte piena e la moglie ubriaca.
Qualche notizia sui SUV: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=44179
Occorre vietarli in fase di produzione, e rovesciare i messaggi televisivi: la velocità, la potenza, i consumi sono solo fonte di guai. La maggioranza chiede quello che il sistema vuole far chiedere. Del resto insieme allo “sviluppo” crescno depressioni, delitti, malattie psichiche. Bisogna farlo sapere. Utopie? Ci resta soltanto il coraggio dell’utopia.
mi fa piacere nascano questi siti di riflessione,soprattutto da parte di voi giovani,secondo me ce n’è molto bisogno e vi siete quelli che porteranno avanti le cose.Da parte mia concordo,anzi come famiglia siamo sempre stati un pò fuori dal coro quindi tante misure anti-consumismo le abbiamo sempre adottate quindi il nostro “stile di vita” è sempre quello.che non vuol dire vivere come gli antenati ma non servono tante macchine,non serve soprattutto comperarne una ogni 4 anni. non servono 7 telefonini e soprattutto non serve comperarne uno all’anno perchè è uscito il modello nuovo,…etc…Dopo 22 anni di raccolta differenziata,di cibi fatti in casa,di autoproduzione di piccoli mobili (ma ora anche grandi),… posso dire che non è così difficile. Baci