Mentre scrivo, il bilancio delle vittime della frana che ha coinvolto il paese di Casamicciola, sull’isola di Ischia, è di 8 morti e svariati dispersi, con ogni probabilità destinato purtroppo ad aggravarsi. La politica è esplosa con dichiarazioni fuoco e fiamme oltre alle consuete ricerche di capri espiatori: il ministro dell’ambiente Fratin che vuole far arrestare i sindaci, Salvini che al contrario li vuole “proteggere e liberare”, il capogruppo leghista alla regione Campania Nappi che minimizza le responsabilità dell’abusivismo da lui tanto sostenuto in campagna elettorale, il fuoco incrociato bipartisan contro Conte e il suo condono/non condono del 2018, ecc.
Insomma, ci sarebbero tutti gli estremi per dare sfogo all’indignazione e, forse, chi come il sottoscritto denuncia certi problemi fin da ragazzo avrebbe forse persino il diritto di manifestare certi cattivi sentimenti. Ma liberare la rabbia frustata, per quanto catartico a livello personale, raramente produce risultati utili.
Per cui, non più ragazzo e anzi prossimo ai 45 anni, preferisco esternazioni molto più ‘moderate’, ma che nell’adolescenza certo non sarei stato capace di elaborare. La constatazione più ovvia di fronte a questa tragedia, dove si mischiano comportamenti criminosi e fatalità, è che testimonia il raggiungimento di un triplice limite: del clima, dello sviluppo, della politica.
Sul clima oramai c’è poco da dire, l’alterazione chimica dell’atmosfera è tale per cui fenomeni metereologici estremi e inediti sconvolgono sempre di più anche i climi temperati (o che furono tali); oramai è persino banale dirlo. Alla recente COP 27 di Dubai è passato il principio “chi ha rotto il clima paga i danni inferti a chi invece ha responsabilità nulle o minimali”: la coscienza climatica dell’Italia, che fu una delle sette maggiori potenze industriali del pianeta, non è certo linda e pulita.
I limiti dello sviluppo sono quelli ignorati e ridicolizzati per 50 anni, ma che già da qualche tempo bussano prepotentemente alla porta. Bisognerebbe “fare manutenzione del territorio”, ristrutturare il patrimonio edilizio, sfruttare tecnologie in grado di prevenire o se non altro attenuare le calamità… ma intanto la torta da spartire si è fatta sempre più piccola, le fette più cospicue devono andare a tamponare gli effetti più gravi della contrazione economica, soprattutto per preservare il vertice della piramide sociale.
Infine, i limiti della politica. Ossia la triste constatazione che, proprio nell’epoca in cui sarebbe necessaria come il pane una élite capace e competente a tutti i livelli, ci ritroviamo invece con una classe dirigente sostanzialmente inetta, in grado solo di legittimarsi agli occhi dell’elettorato appellandosi ai suoi bassi istinti. Con gli elettori che, da parte loro, non sembrano disdegnare più di tanto certe lusinghe.
Chissà, forse è normale che, decaduta oramai qualsiasi ‘grande narrazione’ capace di legittimare il potere (a partire da un mito del Progresso sempre più logoro e insulso), si scada in una situazione dominata dalla corruzione morale, dove fenomeni criminosi (e pericolosi) come l’abusivismo edilizio diventano normale merce di scambio o dove la dialettica politica si riduca a mere shitstorm per screditare i rivali.
Prima ancora di dare la caccia ai colpevoli o di dichiarare l’ennesima guerra (persa in partenza) al dissesto idrogeologo, potrebbe essere utile ripartire da zero, analizzando per davvero la realtà in cui viviamo e riconsiderando i mezzi ma soprattutto i fini. Infatti, grazie alla sua importanza turistica, Ischia eviterà probabilmente il triste destino di L’Aquila o Amatrice, ma la sostanza delle cose non cambia: alla prossima ‘calamità’, saremo di nuovo punto e a capo.
Il tanto decantato Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza perora la causa della “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” (non si può non rimanere affascinati dalle straordinarie metamorfosi semantiche della crescita economica!). Ma non solo la crescita non tornerà, perseguirla ostinatamente è semmai causa e non soluzione dei problemi che stiamo vivendo.
La ‘resilienza’ intesa dal PNRR è una riproposizione in salsa politicamente corretta del business as usual. Una resilienza veramente ispirata alle esigenze della situazione (cioè una vera resilienza), invece, dovrebbe innanzitutto riflettere sulle relazioni profonde tra fenomeni solo apparentemente non correlati tra loro.
Propongo un solo esempio per il tipo di analisi costruttiva che ho in mente. Diamo uno sguardo all’impronta ecologica italiana pro capite rispetto alla biocapacità, secondo i dati più aggiornati del Global Footprint Network:
Il grafico denota un’Italia in palese overshoot, con livelli pro capite dell’impronta ecologica quattro volte superiori a quelli della biocapacità. Al di là dell’oggettività del riscontro empirico, si sa che che queste rilevazioni ‘medie’ presentano il solito problema dei polli di Trilussa (tre polli ne mangio io, zero tu = un pollo e mezzo a testa).
L’overshoot non è responsabile diretto del dissesto idrogeologico, comunque è un indicatore di un ambiente pericolosamente degradato, quindi molto meno capace di contenere gli effetti di eventi estremi. Non c’è dubbio che un dibattito serio sulla disuguaglianza per contenere questo fenomeno porterebbe più beneficio, anche in relazione ad eventi come quelli che hanno colpito Ischia, delle solite chiacchiere su abusivismo, pulizia dell’alveo dei fiumi, ecc. che, nella migliore delle ipotesi, si limitano a guardare il dito anziché la luna.
P.S.: il blog non era aggiornato da più di un mese, ma non perché sono rimasto inattivo. Spero che a breve potrò finalmente presentare i risultati di uno sforzo profuso già da un paio di anni (non da solo) e culminato nelle ultime settimane.