Come noto, l’8 settembre scorso Facebook ha deciso di bannare dalla propria piattaforma le pagine di Casapound e altre realtà dell’ultradestra, contestandone l’apologia del fascismo e l’incitamento all’odio. Tutto ciò ha provocato reazioni complessivamente favorevoli (visti anche i soggetti coinvolti), anche se in molti (tra cui il sottoscritto) sono preoccupati per lo strapotere che i colossi del Web stanno assumendo nel determinare il grado di pluralismo, in un’epoca in cui oramai, fuori da Internet, mediaticamente parlando non sei nessuno. Di pari passo con la ‘bonifica’ effettuata sul social network di Mark Zuckerberg, anche altre entità (come Twitch o Youtube) stanno mostrando una certa propensione a bannare, spesso avvalendosi di criteri discutibili e cavillosi. Per non ripetere quanto già brillantemente espresso da altri, propongo un video di WesaChannel sulla questione, aggiungendo solo due puntualizzazioni: 1) a un certo punto si dice qualcosa del tipo “non si può impedire a un’azienda di crescere”; sì può eccome, le leggi antitrust sono state concepite apposta (per altro non da fanatici anticapitalisti ma da persone timorose che la concentrazione economica penalizzi il funzionamento generale del sistema) 2) se è lecito perorare la causa di una forma estrema di libertà espressione (è abbastanza il mio caso), diffondere fake news calunniose (pratica abituale di chi è stato appena espulso dal social network più famoso del mondo) non è contemplato neppure nelle ideologie più libertarie.
Fin qui si sta ragionando sui massimi sistemi. Tuttavia, come fautori della decrescita e cultori dei limiti dello sviluppo, sarebbe bene introdurre nel dibattito un elemento a cui praticamente nessuno sta facendo cenno, fondamentale invece se abbiamo fondati timori che la società umana stia imboccando lo scenario descritto nell’immagine sottostante.
Fonte: I limiti dello sviluppo
Chi è un po’ pratico dell’argomento sa che la tentacolare infrastruttura dell’Information Comunication Technology (ICT), spesso presentata come amica dell’ecologia per le sue virtù dematerializzatrici, presenta in realtà un impatto non trascurabile: oggi si stima che utilizzi circa il 10% dell’elettricità globale, che secondo alcuni studi citati dal Guardian dovrebbe salire fino al 20% nel 2025; solo il mantenimento dei data center potrebbe richiedere l’immissione annuale di 100 TWh, per capirci l’equivalente dell’energia prodotta da una decina di centrali nucleari a pieno regime.
Quale sarebbero le ripercussioni su Internet nel momento in cui non fosse più possibile espandere l’apporto energetico globale e si fosse anzi costretti a ridimensionarlo? Sicuramente, il primo passo consisterebbe nel tentare una cura dimagrante per la Rete, formattandone un bel po’ di dati; inutile dire che i primi destinatari del provvedimento sarebbero i pesci piccoli dell’oceano digitale. Qualcosa del genere lo vedo già in azione nelle strategie volte a creare una sorta di ‘Internet premium’ parzialmente a pagamento: Twitch, ad esempio, prevede già degli abbonamenti per ampliare l’offerta e le funzioni disponibili.
Questo espediente potrebbe però non bastare per sfoltire abbastanza i rami secchi (o ritenuti tali da quelli che contano); ecco quindi che bannare adducendo giustificazioni etico-morali potrebbe diventare la risorsa preminente per decidere i sommersi e i salvati del Web: basterebbe imporre un parossistico livello di politicamente corretto (già oltre la norma su gran parte delle piattaforme) e il gioco sarebbe fatto. Analogamente a quanto avviene con le campagne contro i motori diesel – incentrate su virtuose argomentazioni ecologiche anziché sulla meno rassicurante constatazione della crescente scarsità di materia prima per produrre gasolio – inneggiare a un repulisti basato sul rispetto universale e la guerra all’odio sarà sicuramente preferito ad ammettere il raggiungimento di limiti fisici inaggirabili.
E’ importante quindi distinguere e considerare separatamente tutte le problematiche concernenti la libertà di espressione nel mondo virtuale. E’ giusto combattere contro le pretese egemoniche dei colossi dell’ICT; contro la termodinamica, però, nessuno può nulla. Siccome è impossibile conquistare ipotetici ‘palazzi d’inverno’ della Rete al fine di assumerne il controllo – al massimo si può progettare a qualche soluzione low tech per renderla più sostenibile – è opportuno che tutti i pesci piccoli si adoperino nella consapevolezza di vivere un’esperienza sul Web probabilmente di corto respiro, adattando conseguentemente tutte le loro strategie comunicative e informative, nonché studiando modalità alternative nel momento in cui arrivasse il triste momento dell’esilio digitale. Forse, per non limitarsi in futuro a frignare per il giocattolo che ci è stato portato via dalle mani, non farebbe male dare una spolverata a strumenti pre-digitali da tempo etichettati come obsoleti.