Esiste un diritto piu’ grande di quello di poter essere se stessi? Di poter assecondare le proprie predisposizioni ed, in definitiva, avere la possibilità di realizzarsi?
Dato come limite il rispetto per gli altri, io penso di no. Quantomeno, penso che non ci sia regalo piu’ grande che, se potessi, sceglierei per i miei figli, dal momento che non devo, almeno fin qui, preoccuparmi di trovare qualcosa da mettere sotto i denti e con cui coprirci.
A volte, la sera tardi, quando finalmente sono addormentati nella stanza a fianco ed io posso infilarmi nel letto caldo e abbandonarmi alla lettura, il mio pensiero si stacca dalle pagine del libro del momento e si alza in volo, verso improbabili universi inesplorati. È in quegli attimi che mi sorprendo a chiedermi in che modo si diventa, realmente, se stessi.
Quando ero poco piu’ che adolescente, o almeno pensavo di esserlo (il poco-più), ho elaborato un concetto che mi appartiene tutt’ora: io lo chiamo “accettare, o rifiutare” e, nonostante all’epoca credessi che noi fossimo i soli autori di noi stessi, ha comunque a che fare con la costruzione del sé.
Il postulato é semplice e banale: l’ambiente in cui viviamo, le situazioni che affrontiamo, il bene o il male che riceviamo, ci segnano …come graffio di lama su legno, condizionando in un verso o nell’altro ciò che siamo e ciò che diventeremo.
Con gli anni ho poi capito che, poiché ciò di cui parlo comincia prima del nostro primo vagito, sin dalla pemanenza nell’utero materno (in un’età dunque ben anteriore a quella della consapevolezza e delle scelte) parlare di “accettazione” o “rifiuto” é piuttosto improprio. La verità, pero’, é che non ho mai avuto il tempo e la dedizione per aggiungere complessità al mio concetto ed attribuirgli un nome piu’ appropriato.
Partendo da un simile postulato, comunque, accade che io senta come mio il dovere di sostenere i miei figli nella propria realizzazione incentivando in loro la nascita e la crescita, come si fa quando si pianta un nuovo semino in una terra vergine ed amorevolmente lo si cura finché non germoglia, di quello che voglio chiamare “senso critico”.
Innanzitutto, quindi, la capacità di porsi delle domande e di capire che molto si puo’ scegliere.
Si puo’ scegliere chi frequentare, ma anche chi e come si vuole essere ‘dentro’. L’onestà, la coerenza, ma anche il sorriso sulla faccia, la pazienza o l’attenzione verso gli altri sono modi di essere o disposizioni d’animo che si scelgono ogni giorno. Si puo’ scegliere l’ignoranza o la consapevolezza, si puo’ scegliere si essere solo consumatori o piuttosto ‘consumattori’, si puo’ scegliere cosa comprare, cosa mangiare.
In secondo luogo, mi piace pensare di aver piantato il germoglio di un sistema valoriale dove la competizione fra pari non é importante quanto l’essere soddisfatto di sé in quanto persona serena e realizzata. Mi pare che la fiducia in se stessi e la soddisfazione per cio’ che si è siano un bene raro, di questi tempi, e pertanto un regalo prezioso. Sono lo zaino e le scarpe vecchie e comode che fanno andare lontano.
So che non è facile, e che c’è un motivo per cui si dice che quello del genitore è il lavoro piu’ difficile al mondo, ma c’è un’altra cosa cui devo tendere per poter dire di avere fatto del mio meglio: far capire loro che li amero’ comunque, in qualunque modo e dovunque saranno. E, ne sono certa, se anche io non facessi in tempo a vederlo, in un piccolo luogo del cuore la piantina che ho curato prima o poi porterà buon frutto.
Buongiorno! Bel tema esistenziale! Secondo me si può essere se stessi solo con la conoscenza, dal momento che si arriva alla possibilità di compiere una scelta tra il rimanere ignorante l’essere consapevole, è già in atto, a mio avviso, un processo di apprendimento che porta alla conoscenza e quindi all’essere se stessi.
Ma se le nostri menti sono annebbiate dal grande frastuono dei Media?, Ma se viviamo in una società che fa della vanità,e del gusto del superfluo uno stile di vita da seguire a tutti i costi? Parafrasando Karl Marx “Non è la coscienza degli uomini che determina la loro vita, ma le condizioni della loro vita che ne determinano la coscienza. ” Buona domenica
Ciao Francesco,
hai ragione: tutto inizia dalla conoscenza, ma questa resta inutile se non è seguita dalla consapevolezza della scelta.
Le nostre menti sono annebbiate dai media? 😉 forse non tutte.
Buona domenica anche a te.
In fondo questo tema, sia pure in altri termini e con altra ottica è stato sviluppato nientemeno che da Karl Marx in “Das Kapital”.
Marx introduce il termine “materialismo storico”.
Con questo epiteto, che sottende un ragionamento assai complesso, costruisce l’idea che le società (non gli individui, le società) si formino in base ai “rapporti di produzione”; intendendo, con questo termine, il sistema di relazioni tra chi possiede i mezzi di produzione ( incluso il capitale finanziario) e chi ne è privo.
Dunque i “modelli sociali” i convincimenti collettivi e individuali sono, secondo Marx, condizionati dall’economia, dai sistemi di produzione.
E’ la società che si adegua: nel modo di vivere, di essere, di pensare.
Noi , in un certo senso, siamo quello che mangiamo; ma siamo anche i figli del sistema economico del nostro tempo.
E la nostra individualità? Beh, non tutto è così rigido e automatico come rappresentato nel pensiero marxiano.
L’individuo conta e conta molto la sua capacità critica, la possibilità che gli deriva dalla conoscenza e lo pone in grado di sottrarsi ai meccanismi condizionatori e di elaborare in proprio l’intorno prossimo, secondo i propri personali decodificatori.
Noi “filtriamo” la realtà in base ad essi ed essi stessi sono fattore funzione del contesto socio-economico-educativo nel quale siamo vissuti e cresciuti.
Sottrarsi all’obnubilamento dei media non è da tutti: ci vogliono buoni “decodificatori” per intelleggere dentro i messaggi dai quali siamo bombardati.
Il potere condizionatorio agisce in tanti modi e, spesso, neppure ce ne accorgiamo.
P.S. ho scritto di getto e solo dopo mi sono accorto che anche Francesco De Crescenzo, prima di me, ha fatto riferimento a Marx. :-))
Molto bello, brava.
Ciao Rosanna! Non posso che darti ragione su tutta la linea…mi sono riconosciuta moltissimo in quello che hai scritto. L’eredità più grande che spero di lasciare a mia figlia è quella di poter diventare un essere pensante, una persona che sia felice di quello che è, indipendentemente da cosa sarà, una persona gentile che non rimanga chiusa nel hortus conclusus del suo piccolo castello e che senta il cambiamento come una possibilità e non un ostacolo. Lavorando con impegno e con amore ci si riesce: una mela non cade mai troppo lontano dall’albero…ti auguro una splendida giornata!
ascoltare. , anche come sentire prima e poi nella mente-come nella antica preghiera –scemà israel……. non gurda o ragiona ,queste vengono dopo il saper ascoltare- forse.