Il sapore della rivolta

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La decrescita felice è, per me, un vero e sentito innamoramento, la proverbiale illuminazione sulla via di Damasco: pensieri che turbinavano nel mio personalissimo (e modesto) universo concettuale, come tessere disordinate di un grande puzzle, sono andati improvvisamente a posto.

Non partendo da un background politico particolarmente saldo e articolato, mi sono imbattuta in riflessioni e verità che erano lì, tra le righe di un’informazione distorta e di parte, imbrigliate nelle maglie di una consapevolezza latente e nebulosa, ma soprattutto mortificate da una vita quotidiana piena di ostacoli pratici, di responsabilità vere e fittizie, di preoccupazioni fondate e al contempo indotte.

Avevo bisogno, disperatamente, di chiarirmi le idee e di saperne di più ed è così che ho intrapreso una vera e propria opera di demolizione/ricostruzione del mio immaginario…

Ho letto fino a sfinirmi (e leggo tuttora con impegno certosino) libri su libri che mi guidino alla comprensione del mondo esterno senza mistificazioni, mi sono affidata alle voci fuori dal coro per capire dove stiamo andando davvero e trovo ogni giorno spunti di riflessione in voi tutti che scrivete e commentate gli articoli su questo portale e in ogni luogo della rete che si profili adatto.

Per me, per la mia natura,  è importante dare una solida base conoscitiva, un’architettura, alle mie convinzioni: per essere duraturo, un sentimento va coltivato e scandagliato nel profondo, compreso fino all’ultima propaggine delle  sue radici e alimentato tutti i giorni.

Ma soprattutto, un sentimento, un innamoramento, va messo alla prova e nutrito da tangibili atti quotidiani.

La decrescita, si sa, è un’utopia concreta: un progetto ambizioso a cui tendere con impegno profuso in ogni singola scelta. E se dovessi dirvi che trovo facile praticare la decrescita, no, per me non lo è.

Per quanto già fossi instradata su alcuni percorsi di autoproduzione, grazie alla mia vita in campagna, ritrovarsi all’improvviso pienamente responsabile e consapevole degli echi che ogni gesto, ogni acquisto, ogni scelta possono avere, anche a migliaia di km di distanza, è un fardello non semplicissimo da addossarsi.

E’ facile, nella mia vita, angustiata come sono dal lavoro,  iper-responsabilizzata dalle necessità familiari e schiacciata dal contesto sociale, scaricare il peso della vita di tutti i giorni nella disinformazione e nell’intrattenimento televisivo, nella spesa selvaggia nella grande distribuzione,  nella rinuncia alla scelta elettorale, nel viaggio (raro se non impossibile) che nulla ha a che  vedere con la formazione.

E invece no. Non posso più. Mi rifiuto di cedere ancora: ho imparato che ciò che è giusto e ciò che è facile non sono facce della stessa medaglia.

Ho scelto di cominciare a cambiare tutto…non posso certo farlo così, con uno schiocco di dita, ma posso inserire gradatamente nella mia vita alcuni cambiamenti e “routinizzarli” un po’ per volta.

Dopo la preparazione di marmellate, liquori  e conserve che la mia fortunata condizione di campagnola acquisita mi regala da tempo, adesso, per esempio, ho iniziato a fabbricarmi  il detersivo per i piatti in casa: con il tempo, spero di poter aggiungere qualche altra semplice pozione.

Ho aperto su Facebook un gruppo di baratto tra amici che perlopiù non sanno nemmeno cos’è la decrescita felice, ma che trovano utile e divertente lo scambio in luogo dell’acquisto: insieme a loro, imparo anch’io una nuova e sana pratica di vita.

Ho cominciato ad interessarmi all’energia, la vera sfida, e a capire non solo come posso consumare meno, ma soprattutto come fare a rendermi indipendente da un sistema centralizzato inefficiente e dannoso.

No, non è facile la decrescita per me. Richiede tempo, esercizio,  impegno.

Ma… io ne sono entusiasta, ecco.

Non so dirvi quanto mi senta libera dai condizionamenti imposti da questa megamacchina infernale, quanto le responsabilità che mi prendo ogni giorno mi portino a essere pienamente me stessa, un essere nuovo, finalmente vivente,  davanti ad un mondo vecchio e avvizzito.

Mi sono emancipata dal senso di impotenza che permeava di sé la mia vita, come una guaina che credevo impenetrabile: io ora so che ciò che scelgo e ciò che agisco è un segno inequivocabile di lotta.

Io non sto solo evolvendo, io mi sto ribellando.

Io sto contrastando un potere sordo e meschino che traccia per me un futuro che non voglio. Io sto costruendo una società più giusta, boicottando scientemente il sistema economico vigente.

Io ho stabilito di smettere di credere che il loro interesse coincida con il mio. Io sono un’altra cosa.

Noi siamo un’altra cosa.

Noi siamo un’armata pacifica e decisa che marcia ogni giorno fino al posto di lavoro, che si sforza con fatica di inventare e costruire una prospettiva nuova per le generazioni che verranno, che ama la natura come madre e come figlia e che ne pretende il rispetto.

Noi possiamo ribaltare le carte in tavola e trascinare con noi anche chi ancora non ci crede. Noi possiamo essere la speranza e batterci per concretizzarla.

Noi siamo qui, ora, e possiamo fare tanto. Scegliendo, informandoci, lavorando con abnegazione. Ogni giorno.

Spunti di riflessione:

“Siamo il 99%”, Noam Chomsky, Nottetempo 2012

“Ellos y nosotros”, Subcomandante Marcos in http://www.giannimina-latinoamerica.it/2094-2094/

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Non è importante "chi" sono, ma "cosa" mi propongo di essere e con quanta tenacia mi ci proietto. Sono dunque madre, sono moglie, sono per metà sarda e per metà napoletana e, in entrambi i casi, straordinariamente fiera di esserlo; sono una contadina, con tanto da imparare. Ambientalista, per necessità, e piena di passione civile, per vocazione. E credo nell'integrazione, nelle persone, nell'impegno, nella mia terra così martoriata, nel valore delle parole, in quello della decrescita e nella felicità come traguardo raggiungibile ogni giorno. La mia finestra sul mondo e sul web è http://www.georgika.it

17 Commenti

  1. Questo è un argomento ostico, imporsi la decrescita perché se non te la imponi poi concretamente non si realizza? oppure avere un approccio più soft cercando di capire quello di cui possiamo fare a meno? Poi c’e’ un discorso molto diverso per chi vive in città rispetto a chi vive in campagna, c’e’ un discorso anche legato ai rapporti sociali, grazie alla decrescita possiamo dedicare più tempo per noi e per coltivare le amicizie, ma come ti relazioni con loro se poi quelle stesse amicizie conducono uno stile di vita completamente contrario al tuo? ti isoli e cerchi solo amici con il tuo stile di vita?- cosa che non farò mai!- oppure cerchi ci convincerli? ma se poi non si convincono devi comunque arrivare a dei compromessi non sempre allineati con i precetti della decrescita. Ciao Miriam!

    • Non credo proprio che Miriam voglia costruire un apartheid tra lei e chi la pensa diversamente, si è semplicemente rotta le scatole del sistema, come dice lei. Cioé insomma come tutti noi di DFSN, solamente che alcuni di noi vivono la cosa come una vocazione, una specie di sentiero spirituale, lei lo vive come una rivolta che, è bene ribadirlo, sente contro il sistema e non i suoi sudditi. Tra l’altro Miriam è arrivata alla decrescita attraverso un percorso senza preconcetti intriso di curiosità intellettuale, non la vedo proprio degenerare nel settarismo!

  2. ciao Igor! non capisco come tu possa pensare che nel mio ragionamento intendessi riferirmi alla vita di Miriam visto che nemmeno la conosco! Evidentemente il mio commento lascia intendere questo, ma non credo! Il mio quesito è di carattere generale, in realtà sono molti gli amici che mi hanno posto questo tipo di domande! Comunque Igor sei un ottimo avvocato difensore! 🙂

    • Miriam non ha bisogno di alcun difensore, semplicemente c’è questo cliché ricorrente per cui, se ti proponi in qualche modo di traverso al il sistema dominante, ti dicono o che sei ‘disonesto’ e/o di isolarti da tutto il genere umano… ovviamente non è né l’una né l’altra cosa. Che a dire il vero quest’ultimo è anche un pericolo che vedo in certe forme di downshifting.

  3. Stereotipare non ha mai fatto parte del mio modo di pensare! nel mio commento infatti, non ci sono affermazioni ma interrogazioni che cercano soluzioni o quantomeno risposte ad una criticità oggettiva della decrescita, cioè il contrasto Empatia v.s. Entropia. Argomento ben descritto nel libro di J.Rifkin “La civilità dell’empatia”,In sostanza come si coniuga il risparmio energetico, i consumi, con i rapporti sociali e umani? Concretamente come posso allargare o quantomeno mantenere i miei rapporti di amicizia senza che questo non implichi un aumento del nostro impatto entropico?? Nessun Cliché ma solo quesiti!

  4. Ciao ragazzi! Grazie a tutti e due per aver commentato..ho sempre molta voglia di confrontarmi.
    Credo che Francesco abbia davvero posto in buona fede le sue domande, cercando a sua volta un confronto/conforto. Io, nel mio piccolo, posso risponderti, con Serge Latouche in “Fine corsa” (che credo sia una delle ultime pubblicazioni) e in altri luoghi dei suoi scritti, che la decrescita accoglie la differenza, diversamente dal sistema neoliberista e imperialista in cui viviamo. Si attuerà, ci si augura, in maniera diversa da regione a regione e credo anche da persona a persona, per diversi gradi di resilienza. Non mi pongo problemi di “precetti”, la decrescita è libertà e sopratutto un percorso di consapevolezza personale.
    Ne parlo con gli amici, ma non insisto se percepisco troppa diffidenza: la decrescita è spesso confusa con la deprivazione…ti assicuro anche che, nel tempo però, li trovo sempre più curiosi e disponibili a capire. Non sono integralista per natura, quindi non mi interessa astrarmi dal mondo in cui vivo. Igor ha visto giusto: mi sento impotente e frustrata dalle condizioni in cui mi si costringe a vivere e ho trovato nella decrescita la rivoluzione a mia misura. La faccio a casa, ogni giorno, pensando come acquirente e non come consumatore, educando mia figlia a una vita consapevole e diversa, informandomi correttamente.
    Sull’imposizione della decrescita, beh, scartando le armi e i regimi totalitari, sempre Latouche ci prefigura un bivio tra decrescita “programmata” e barbarie: purtroppo sente più probabile la barbarie.
    Francesco, ti consiglio vivamente la lettura di un testo di Igor (Una svolta radicale), la prima cosa che ho letto affacciandomi qui su DFSN e che puoi scaricare gratuitamente sempre qui. Io l’ho trovato utilissimo e bellissimo e se vuoi delle risposte, è a Igor che puoi fare domande.

    Per Igor: GRAZIE!!! Mi sono sentita compresa e apprezzata.

    • Ciao Miriam, grazie per creduto nella mia buona fede! Quesiti che mi sono posto leggendo i libri di LaTouche, Pallante, Cacciari, Illich, non trovando ancora un risposta applicabile alla mia vita quotidiana, infatti anche io penso che sia soprattutto in percorso personale, però nella pratica il quesito che ho posto anche ad Igor è questo “Come si coniuga il risparmio energetico, i consumi, con i rapporti sociali e umani? Concretamente come posso allargare o quantomeno mantenere i miei rapporti di amicizia senza che questo non implichi un aumento del nostro impatto entropico??” Grazie per il consiglio leggerò sicuramente il libro di Igor

        • Si, è proprio così…ma tendo sempre a credere che queste esperienze siano praticabili in contesti più fortunati. Conosco persone, nel Lazio, che hanno fatto esperienza di cohousing, ma fatta una volta, non hanno più trovato persone disponibili. Questi amici hanno decisamente un livello culturale elevato e uno di consapevolezza piuttosto spinto.
          Il car sharing qua a Napoli lo vedo proprio pericoloso…almeno inteso nel senso dell’autostoppismo organizzato come ho sentito una volta in una trasmissione della Rai, Maurizio Pallante presente.
          Non so, Igor, io cerco di cambiare le cose a casa e tra i miei amici così aperti ad ascoltare, ma vedo sempre molto difficile la diffusione di queste esperienze.
          E’ come se appartenessero soprattutto a chi ha già avuto un certo grado di benessere, abbia capito che si tratta di un grande inganno e passi oltre.
          O no? Tu ne hai un esperienza diversa?

          • Beh non sono esattamente uno di quelli convinti delle ‘opportunità della crisi’, però forse in questo caso è un discoro che può reggere. Voglio dire la condivisione, nella varie forme, all’inizio magari era vista soprattutto come una scelta di vita, con il tempo diventa una necessità.

        • Sicuramente ci sono delle soluzioni dove forme di socializzazione riducono l’impatto entropico, anche se la loro piena applicazione è ancora molto distante, Io vivo a Roma, ed il car-sharing ancora non ha preso piede, il bike sharing c’e’ ma senza piste ciclabili adeguate diventa anche pericoloso. Qui la politica deve fare la sua parte non c’e’ verso! Ciao!

  5. Ciao Francesco! Non ho letto ancora nulla di Rifkin, quindi quello che provo ora a dirti è solo dettato dal (mio) buon senso e dall’esperienza personale: non ha molto significato un mondo in cui non ci sia empatia. Lo vediamo ora che siamo irreggimentati nell’individualismo.
    Ha ragione Igor quando dice che l’isolamento è un rischio per chi fa scelte più radicali: scelte di sicuro ammirevoli, ma credo anche che sia più sano e perfino entusiasmante immergersi nel mondo che ci è stato donato, anche con tutte le brutture, tra le persone più diverse, anche e soprattutto quelle che non la pensano come noi.
    Credo anche che sia utilissimo capire, leggendo, cosa sia la decrescita, ma contemporaneamente, devo farmene un’idea mia e “vestirmene” in base a ciò che sono e ciò che la mia vita mi consente attualmente di poter fare. Anzi, trovo che sia proprio questo l’aspetto migliore: posso riappropriarmi di me stessa, spogliandomi di ciò che è inutile, ma trattenendo con me ciò che conta davvero. Gli amici non contano? Certo che si, anche per te da come hai detto.
    Inoltre, se c’è una cosa che ho imparato decrescendo e che, devo dire la verità, Igor mi ha insegnato, è proprio cercare di farmi un’idea indipendente, ma indipendente da tutti e tutto. Quindi non mi preoccupo di mettere in discussione anche la stesse teorie decresciste.
    (che bello parlarne un po’… :-D)

    • Ciao Miriam! vero l’amicizia è importantissima, ed è anche giusto formarsi della idee indipendenti, ma è anche vero che i pensatori della decrescita ci spiegano che se si continua con questi ritmi nel 2030 avremo bisogno delle risorse di due mondi! ora la domanda che uno si pone è questa sono sufficienti tante azioni individuali ed indipendenti per raggiungere degli obiettivi necessari per evitare la catastrofe, oppure ci vuole una mobilitazione socio-politica come quella di Marcos con la ribellione del Chiapas? O come la riforma costituzionale ecuadoregna dove la natura è diventata un soggetto di diritto? la decrescita per me non è soltanto questione esistenziale, ma anche un presa di coscienza della limitatezza delle nostre risorse e della necessaria sensibilizzazione su larga scala per far sì che si realizzino dei traguardi . Il problema è capire in che modo! buona domenica !!

      • Ciao Francesco! Il problema di come (e se) si attuerà una civiltà della decrescita, in luogo di quella della crescita, è quello più spinoso e a cui, a meno che non si abbia la classica sfera di cristallo, non si può affatto rispondere…
        In un altro post, riflettevo proprio su come sia impossibile nelle società occidentali, così irreggimentate nello stile di vita comodo al di sopra delle possibilità naturali e così poco coscienti del problema, il sollevamento popolare. Marcos si è schierato a difesa di quei milioni di indigeni che vivono al di sotto della soglia di povertà (non beneficiano dei vantaggi e delle comodità, anche quelle basilari, delle società industrializzate) e così accade in Ecuador, dove una gran parte della popolazione è sempre indigena, a contatto con la natura più di noi, e dove le istanze di difesa della Pachamama sono riuscite parzialmente ad approdare su un terreno istituzionale.
        Noi conduciamo una vita del tutto artificiale, deresponsabilizzata e comoda. Qui la sofferenza è stata estromessa dalla vita di tutti i giorni (almeno come categoria concettuale), la morte pericolosamente allontanata dalla realtà (eppure la morte è reale come la vita), la libertà separata dal suo contraltare: la responsabilità. Abbiamo, per dirla con Marx, la pancia troppo piena.
        La decrescita per me significa appunto questo: mi prendo la responsabilità delle mie azioni e così contrasto un sistema iniquo che fa della natura una preda. Preparo inoltre mia figlia a vivere di quello che sa fare, a prodursi il cibo da sola, a essere indipendente nel pensiero e nelle azioni.
        Ma non posso fare molto altro. Possiamo discutere a lungo di come possa cambiare il sistema…arriverò forse il momento, per gradi, in cui gli aerei saranno sempre meno, per via della mancanza di carburante, e la gente si riorganizzerà (Latouche). Detroit non ne è forse l’esempio? O la Grecia? O Cuba?
        In attesa che gli eventi prendano la loro piega, visto che la nostra classe politica è del tutto funzionale al potere che conserva e solo a quello, io faccio la mia parte e perlomeno potrò guardare la mia bimba negli occhi e dire: io ci ho provato e ci provo tutti i giorni.
        Grazie molte per questo confronto! Come ho scritto, per me è davvero fondamentale leggere quello che scrivete, ma ancora di più poterne parlare un po’ con voi (se no, qua va a finire che me la canto e me la suono da sola 🙂 )

        • Ciao Miriam anche a me fa molto piacere confrontarmi con voi! Nei trattati di Illich tra le righe si intuisce che in realtà la presa di coscienza dell’uomo avverrà solo a catastrofe avvenuta! anche io mi sto convincendo di questo, quindi la filosofia della decrescita servirà sicuramente a prepararci al peggio e purtroppo per chi non si prepara ci sarà la disperazione almeno prima di cominciare a capire sul come organizzarsi. Spero anche però in una soluzione, un’ idea sul come una società occidentale può attivare qualche forma di organizzazione politica che si ispiri ai principi della decrescita, perché effettivamente il contesto socio-culturale ecuadoregno è completamente diverso, forse sono io che non ho capito bene i vari pensatori come Pallante, LaTouche, o forse mi aspetto troppo da loro. Grazie a te per le risposte! 🙂

  6. Antropologicamente ci siamo evoluti come cacciatori e raccoglitori per cui per la nostra specie é meglio l’uovo oggi che la gallina domani. è per questo che nessuno pensa”lungo”, al futuro che anche secondo me si potrà realizzare solo in un sistema di “acrescita” come teorizza benissimo Latouche. Però proprio per i nostri limiti di specie dovremo prima sbattere la faccia duramente contro il muro delle risorse finite, della disoccupazione al 70%. della fame e delle rivolte prima di iniziare a cambiare.

    • Ciao Georges..si, diciamo che potremmo avanzare molte ipotesi sull’inverarsi del nostro futuro, qualunque esso sia e sempre che ce ne sia uno.

      Tuttavia, forse proprio la mentalità del “raccoglitore-cacciatore” potrebbe essere la via d’uscita, se riuscissimo a recuperare questa dimensione.
      I contadini di tutto il mondo, i terroni come me o i campesinos dell’America Latina, sanno che non è mai un buon affare sovrasfruttare la terra: si impoverisce se le si chiede troppo, se la si tormenta come facciamo dagli anni ’50 a oggi. Lo abbiamo dimenticato e abbiamo anche dimenticato, nella follia del produttivismo e dell’uomo high-tech, che nulla di ciò che è giusto perseguire come obiettivo, è facile da ottenere. I contadini pensano “lungo”, come dici tu (mi piace molto questa espressione). La terra non è povera, è sobria; non capitalizza, vive di ciò che basta; è saggia, segue il ciclo delle stagioni, del tempo della vita e del tempo del riposo nella morte…ma come ti dicevo, non lo sappiamo più. (Grazie per avermi scritto!)

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