Ancora oggi, a quasi cento anni dal celebre ventennio, si fa spesso uso del termine “fascismo” ogni qual volta ci siano degli episodi macabri e deliranti, e lo si associa con il razzismo più bieco e ignorante. Nel fare questa operazione di condanna di tali atti, assolutamente condivisibile, spesso si tenta però di far rientrare sotto il cappello di “fascismo” ogni idea, ogni atteggiamento che vagamente cerca di opporsi a un modello di pensiero, ormai unico e inattaccabile.
Che esistano dei fanatici, fascisti o di altro genere, e che essi possano rappresentare un rischio per la società è una questione di fondamentale importanza che dovrebbe essere dibattuta e gestita con pervicacia e lungimiranza. Ma il fascismo di cui ci allarmiamo tanto e di cui ci scandalizziamo non è, forse, la “forma di fascismo” ad oggi più preoccupante.
Se si parla infatti di regime, di dittatura e di privazione delle libertà, la prima cosa che viene alla mente pensando ai nostri tempi non è il fascismo archeologico, né i suoi possibili rigurgiti, non un potere ben delineato, specifico, centralizzato, materializzato, piuttosto una forma di oppressione subdola, mistificante, celata nei meandri della società, nel modo di pensare comune, nella banalità del vivere moderno, nella mancanza di alternative culturali, un’oppressione controllata da un potere anonimo e indistinto.
Questo è ciò che aveva capito con chiarezza, oltre quarantacinque anni fa, Pier Paolo Pasolini, le cui parole oggi suonano di un’attualità sconvolgente. Egli individua nella società dei consumi, già agli inizi degli anni settanta, il nuovo Potere dominante che uniforma la società, la rende schiava di nuovi dettami, non scritti, ma ugualmente, se non più, oppressivi di quelli del vecchio regime. Sì, perché il nuovo Potere è riuscito a fare in pochi anni quello che al fascismo archeologico non era riuscito in venti: entrare nella coscienza più intima delle persone, “colonizzando il loro immaginario”, per dirla alla Latouche. In questo, il nuovo dominio è ben oltre il regime tradizionale, per così dire esterno e determinato, circoscritto, è un regime occulto, indefinito, ma più profondo e incisivo, «peggio che totalitario in quanto violentemente totalizzante».
Nell’esporre questi concetti Pasolini non usa mezzi termini: «Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato “la società dei consumi”. Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. Ed invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell’urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo».
Quello che Pasolini lancia, pochi mesi prima di essere assassinato, è un allarme concitato a una società che sta perdendo, o che forse ha già perso, la sua libertà, passando da una vita preindustriale, contadina, fatta di rinunce, sacrifici, dolore, ma anche essenziale, genuina, equilibrata, a una vita omologata, banale e mercificata. Una transizione, avvenuta in brevissimo tempo, che Pasolini, nel pieno della sua attività creativa, ha potuto acutamente osservare, vivendo in prima persona quello che lui ha chiamato il passaggio da “prima della scomparsa delle lucciole” a “dopo la scomparsa delle lucciole”.
«È questo illimitato mondo contadino prenazionale e preindustriale, sopravvissuto fino a solo pochi anni fa, che io rimpiango. […] Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari. Ed era questo, forse, che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita».
In questa analisi, Pasolini vede molto lontano, lontano anni, decenni: vede una società che verrà sempre più fagocitata dal materialismo, dall’accumulo di beni inutili, che distruggeranno la convivialità delle relazioni parentali e di amicizia, disgregheranno le comunità, innalzando l’idolo dell’individualismo, il mito dell’uomo di successo, autorealizzato contro tutto e tutti, dell’edonismo più sfrenato; una società che si regge sempre più sulla vanità, sull’arroganza, sull’invidia, sulla competizione, fino ad arrivare ai nuovi mali moderni: il malessere psichico dilagante dell’uomo consumatore; un uomo non più umano, in quanto la società non è più fatta per la sua felicità, ma è uomo-strumento della società stessa, mentre la sua vita si svuota di ogni senso.
Tutto questo è originato da una cultura dominante, una visione della vita che ha conquistato, oramai senza neanche più bisogno della forza, tutto il pianeta e su cui nessuno sembra capace di opporre la minima resistenza, e nemmeno la più pacata obiezione. Negli ultimi decenni questa uniformazione culturale è in evidente crescita: in ogni ambito, infatti, le differenze tra una parte del mondo e l’altra vanno riducendosi. Se osserviamo il modo di concepire la propria vita, i principi su cui basare le scelte più importanti, si può concludere con certezza che l’omologazione a livello planetario è interamente compiuta. Il criterio economico che si fonda sull’utile è diventato l’unico valore determinante di ogni aspetto delle nostre esistenze.
Questo Pasolini lo aveva capito con largo anticipo.
«Il modello culturale offerto agli italiani, e a tutti gli uomini del globo del resto, è unico. La conformazione a tale modello si ha prima di tutto nel vissuto, nell’esistenziale: e quindi nel corpo e nel comportamento. È qui che si vivono i valori, non ancora espressi, della nuova cultura della civiltà dei consumi, cioè del nuovo e del più repressivo totalitarismo che si sia mai visto. Dal punto di vista del linguaggio verbale, si ha la riduzione di tutta la lingua a lingua comunicativa, con un enorme impoverimento dell’espressività».
Il nuovo Potere è altamente uniformante, livella tutta la società su una monocultura, un monopensiero, uccidendo quindi la cultura e il pensiero, rendendo sterile ogni tentativo di indipendenza intellettuale, così come ogni forma espressiva.
Negli ultimi anni della sua vita, Pasolini concentra la sua riflessione sulle vere ragione dell’antagonismo tra il cosiddetto fascismo e il cosiddetto antifascismo per scoprire, con rammarico, che entrambi non sono che due aspetti complementari, interscambiabili, solo apparentemente in contrasto, ma di fatto sostenitori e funzionali al sistema del nuovo Potere. Perché non lo affrontano, non lo mettono in discussione, e probabilmente neanche riescono a percepirne l’esistenza. L’esistenza di una nuova e subdola forma di totalitarismo.
«La matrice degli italiani che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c’è più dunque differenza apprezzabile, al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando, tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili».
Confrontando il fascismo archeologico con il “nuovo fascismo” arriva addirittura a considerare quest’ultimo ben peggio del primo, in quanto il nuovo Potere ha una capacità pervasiva di gran lunga maggiore, capace di influenzare le menti continuando a farle sentire illusoriamente libere.
«Il vecchio fascismo, sia pure attraverso la degenerazione retorica, distingueva: mentre il nuovo fascismo, che è tutt’altra cosa, non distingue più, non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo».
E ancora: «Il fascismo in realtà li aveva resi dei pagliacci, dei servi, e forse in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio nel fondo dell’anima, nel loro modo di essere. Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell’intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all’epoca mussoliniana, di una irregimentazione superficiale, scenografica, ma di una irregimentazione reale che ha rubato e cambiato loro l’anima. Il che significa, in definitiva, che questa “civiltà dei consumi” è una civiltà dittatoriale. Insomma se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la “società dei consumi” ha bene realizzato il fascismo».
Il nuovo Potere è potente del suo essere invisibile, inconsistente, apparentemente inesistente, intangibile, indecifrabile, sebbene i suoi effetti devastanti sulla società e sull’ambiente naturale siano dannatamente evidenti. Tale potere ha una conformazione assolutamente altra rispetto ai poteri dei secoli precedenti: non ha niente a che vedere con il potere religioso, né con il potere politico, né probabilmente con quello prettamente economico e industriale, non è nazionale, supera i confini degli stati e persino dei patti internazionali, è forse oltre ciò di cui siamo a conoscenza.
«Scrivo “Potere” con la P maiuscola solo perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovo potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c’è. Non lo riconosco più nel Vaticano, né nei potenti democristiani, né nelle Forze Armate. Non lo riconosco più neanche nella grande industria, perché essa non è più costituita da un certo numero limitato di grandi industriali: a me, almeno, essa appare piuttosto come un tutto (industrializzazione totale), e, per di più, come tutto non italiano (transazionale)».
Questa «forma “totale” di fascismo» ha però una caratteristica che lo distingue e ne permette l’individuazione: essa ha una febbrile «smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “Sviluppo”: produrre e consumare», una frenesia schizofrenica e inarrestabile di perpetuare il progresso tecnologico e l’accumulo di beni materiali a oltranza e ad ogni costo.
Nessuna opposizione è contemplata. L’antifascismo di oggi, come quello di allora, al tempo di Pasolini, invece di contrastare criticando la società dei consumi, si scaglia unicamente su di un fascismo primitivo, che non ha più un potere realmente totalitario.
«Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più».
«Buona parte dell’antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo e stupido o è presuntuoso e in malafede: perché dà battaglia o finge di dar battaglia ad un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno. È, insomma, un antifascismo di tutto comodo e di tutto riposo».
“L’antifascismo di maniera” non fa che alimentare l’odio e favorire la divisione della società. In quanto “anti”, “contro” qualcosa, per sua stessa natura è funzionale a quel qualcosa, altrimenti non esisterebbe.
«Questo odio si dirige, in certi casi in buonafede e in altri in perfetta malafede, sul bersaglio sbagliato, sui fascisti archeologici invece che sul potere reale».
La dittatura non ha più le forme del secolo scorso, non ne ha più bisogno, si è mascherata da sviluppo, libertà, comodità, benessere, agiatezza, opportunità. E i suoi strumenti non sono più propagande scenografiche e repressioni violente, la sua propaganda è perenne e pervadente, non si distingue più nella nostra vita dai suoi normali accadimenti, è la nostra vita stessa un grande manifesto di propaganda del nuovo regime, ognuno di noi un perfetto adepto inconsapevole. E la violenza si è mascherata da solidarietà, l’arroganza da sicurezza, l’intolleranza da tolleranza.
«La vera intolleranza è quella della società dei consumi, della permissività concessa dall’alto, voluta dall’alto, che è la vera, la peggiore, la più subdola, la più fredda e spietata forma di intolleranza. Perché è intolleranza mascherata da tolleranza. Perché non è vera. Perché è revocabile ogni qualvolta il potere senta il bisogno. Perché è il vero fascismo da cui viene poi l’antifascismo di maniera: inutile, ipocrita, sostanzialmente gradito al regime».
Il risorgere di movimenti che riecheggiano al fascismo, nonostante il secolo trascorso, è di fatto l’evidente conseguenza di una situazione sociale che sta degenerando proprio a causa di una stretta del nuovo regime sulle masse popolari costrette a subire da vicino, non solo le pene delle diseguaglianze economiche, ma anche tutti gli altri effetti indesiderati della modernità: disastri ecologici, malesseri psichici, disagi relazionali, malattie a causa ambientale.
Se l’antifascismo è la risposta per uscire dal fascismo, con molta probabilità, è la risposta sbagliata, o se non altro incompleta.
«Ridurre l’antifascismo a una lotta contro questa gente significa fare della mistificazione. Per me la questione è molto complessa, ma anche molto chiara, il vero fascismo, l’ho detto e lo ripeto, è quello della società dei consumi».
Un po’ come l’ecologia di superficie, che non mette in discussione il modello di sviluppo e di pensiero occidentale, è totalmente inefficace a promuovere una vera ecologia, che sia invece profonda e radicale, allo stesso modo un antifascismo “di maniera”, anch’esso superficiale nel senso che non va ad intaccare le radici della crisi sociale odierna, non potrà contribuire a un cambiamento reale della società attuale e incidere sulle cause dei suoi malesseri.
Per uscire da questa situazione degenerante, quello di cui c’è bisogno non è creare divisione tra le persone, tra destra e sinistra, tra progressisti e conservatori, sia perché tali distinzioni non hanno di fatto più nessun senso poiché le due fazioni nel profondo sono l’espressione della medesima cultura, sia perché l’azione realmente efficace è piuttosto l’opposta, quella di unire le persone, non “contro” qualcosa ma “per” qualcosa, per incoraggiarle a intraprendere un altro percorso, un percorso che sia veramente nuovo, non “anti” o “contro”, ma completamente “oltre”.
Mentre Pasolini, al suo tempo, ha visto «il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a una irreversibile degradazione», noi ci dobbiamo augurare, al nostro tempo, di vedere una trasformazione totale e profonda delle nostre coscienze, che non ci conduca a un ritorno al passato, ma che ci riveli nuove ed entusiasmanti alternative.
Il virgolettato «…» è estratto da Pier Paolo Pasolini – Il fascismo degli antifascisti – Garzanti
fonte foto: wikipedia