I limiti dell’agricoltura

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Navigando in Rete mi sono imbattuto in un documento intitolato: Energy Use in Agriculture: Background and Issues, un rapporto al Congresso statunitense redatto nel 2004 da Randy Schnepf, specialista in politiche agricole. Essendo riferito all’agricoltura tecnologicamente più avanzata del pianeta, fornisce importanti informazioni sui reali (o presunti) sviluppi dell’agroindustria in direzione della sostenibilità e in questa sede intendo estrapolare quelli che, a mio giudizio, sono i contenuti più salienti e sui quali sarebbe opportuno riflettere.

Per quanto attiene ai consumi energetici diretti (combustibile per macchinari e dispositivi per operazioni nei campi, elettricità per l’illuminazione dell’azienda agricola, ecc), l’agricoltura statunitense incide per poco più dell’1% sul fabbisogno nazionale; la problematica più spinosa semmai coinvolge i consumi indiretti, derivanti dall’uso di fertilizzanti e pesticidi ottenuti dalla sintesi chimica, prodotti che hanno caratterizzato la svolta della Rivoluzione Verde: essi costituiscono il 35% dell’apporto energetico complessivo del settore.

L’agricoltura a stelle e strisce ha la reputazione di aver compiuto un grande sforzo per ottimizzare l’impiego delle risorse, progresso che sembra essersi effettivamente verificato tra la metà degli anni Settanta e inizio anni Novanta.

Fino al 1975 l’agricoltura, in piena sbornia da idrocarburi a basso costo, si faceva pochi scrupoli energetici, poi la crisi petrolifera ha costretto a comportamenti molto meno ‘allegri’. Uno dei principali fattori di risparmio è derivato dalla conversione di gran parte dei macchinari agricoli da motorizzazione a benzina a diesel; secondariamente, approcci più conservativi nei confronti dei terreni hanno permesso un uso più mirato di fertilizzanti e pesticidi, un merito che Schnepf attribuisce anche all’introduzione delle coltivazioni OGM a partire dal 1996. Non dimentichiamoci però che il rapporto risale al 2004, prima cioé della controffensiva della natura sotto forma di super-erbacce infestanti: da allora il consumo di erbicidi è sensibilmente aumentato.

L’efficienza energetica dell’agricoltura USA presenta due faccie: a una fase iniziale di risultati rapidi e ragguardevoli nel ridurre la somministrazione di input a parità di prodotto è seguita, a partire dagli anni Novanta, una situazione di sostanziale stasi, come se non esistessero più ulteriori margini di miglioramento.

 

Non si tratta dell’unica criticità. Dal 1990 a oggi, il prezzo di fertilizzanti e agenti chimici ha segnato una costante ascesa; Schnepf calcola che nel 2002-03 essi ammontassero al 18,4% dei costi complessivi del comparto agricolo.

I tre elementi essenziali che costituiscono i fertilizzanti chimici sono indissolubilmente associati agli idrocarburi: l’azoto (in inglese ‘nitrogen’) si ricava dal gas naturale, mentre fosforo e potassio si estraggono da miniere dove si impiegano macchinari fortemente energivori alimentati da derivati del petrolio.

L’impiego dei tre nutrienti è molto differente, dall’avvento della Rivoluzione verde a oggi il consumo di azoto è cresciuto esponenzialmente nel tempo diventando preponderante:

Come appena spiegato, l’azoto si ottiene dal gas naturale che negli USA oramai è sinonimo di shale gas, ottenuto con la famigerata tecnica estrattiva della fratturazione idraulica (fracking) che di certo contamina terreni e falde acquifere e che probabilmente interferisce a livello sismico. Vista la concorrenza per la generazione di elettricità – destinata ad aumentare dato il declino inesorabile del nucleare – malgrado gli ottimi riscontri produttivi dello shale segnati negli ultimi anni (che potrebbero essere presto un ricordo), gli USA dipendono fortemente dalle importazioni di azoto:

 

Cerchiamo ora di tirare le somme per trarre qualche conclusione.

L’agricoltura statunitense si è avviata sulla strada della sostenibilità?

Sicuramente dal 1975 a oggi sono stati compiuti grandi sforzi per ‘chiudere i buchi nel secchio’ e sviluppare tecniche che permettessero di ridurre l’input esterno a parità di prodotto. Tuttavia, se la sostenibilità viene intesa secondo il suo significato autentico, ossia di “condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri” (Enciclopedia Treccani), siamo ancora lontani anni luce. Entro una certa soglia, non si riesce più a ridurre la dipendenza da risorse non rinnovabili e anzi ci si lega mani e piedi allo shale gas e altre tecniche ecologicamente molto impattanti. E’ quindi legittimo parlare di sviluppo dell’efficienza o al più di contenimento del danno, ma la sostenibilità non è di casa.

Il costo degli idrocarburi influisce su quello dei prodotti agricoli?

Certamente, del resto la correlazione prezzo petrolio/prezzo alimenti è nota da tempo e quasi tutte le maggiori crisi alimentari mondiali sono coincise con bruschi rincari del prezzo degli idrocarburi. Attualmente, molti coltivatori lamentano che i finanziamenti previsti dalla PAC europea di fatto servano solo a calmierare le spese per i fertilizzanti.

Lo scenario agricolo statunitense può rappresentare un quadro probante dell’agro-industria a livello mondiale?

Gli USA, nonostante recenti eventi che ne hanno intaccato lo status di superpotenza egemone, sono ancora la nazione più avanzata tecnologicamente, fattore che anche in campo agricolo si fa sentire. Consultando i database della FAO e della IFA, chiunque può constatare come altri stati che hanno registrato negli ultimi anni exploit produttivi (ad esempio Brasile, Argentina, Cina e India) sono riusciti nell’intento aumentando vistosamente l’impiego di fertilizzanti chimici e/o pesticidi. Ne consegue pertanto che il livello di efficienza dell’agroindustria, globalmente parlando, è decisamente inferiore agli standard americani.

Come si può agire essendo l’agricoltura sostenibile meno produttiva della convenzionale?

In estrema sintesi, bisogna intervenire su tutte le storture del sistema alimentare: sprechi di filiera, coltivazioni dedicate alla produzione di biocarburanti, allevamento di animali nutriti con prodotti per alimentazione umana, ecc.

Quali sono i risvolti socio-economici del paradigma agricolo statunitense?

A conclusione del suo rapporto Schnepf riporta un dato molto significativo, ossia la ripartizione dei ricavi tra tutte le componenti coinvolte nella filiera:

Per ogni dollaro speso per un genere alimentare, l’introito per gli agricoltori è meno del 20%; un valore analogo a quello ottenuto sommando insieme i ricavi dei soggetti impegnati nell’imballaggio, nel trasporto, nell’erogazione di energia e nella pubblicità. L’abnorme guadagno del settore packaging, in particolare, sembra rivelare perché molti provvedimenti apparentemente di semplice buon senso stentino a imporsi sul mercato. Sembra proprio che ricercare la sostenibilità ecologica sia anche un buon modo per assicurare una maggiore giustizia sociale.

Fonte immagine in evidenza: Wikimedia Commons.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

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