Oggi, a pochi giorni dalla grande mobilitazione globale del 15 marzo 2019, la sedicenne Greta Thunberg è già un’icona, una portavoce, il simbolo di una sollevazione autentica e ribelle, pacifica e colorata ma determinata e, per molti versi, inattesa.
Figlia della cantante d’opera Malena Ernman e dell’attore Svante Thunberg, la caparbia ragazzina svedese ha iniziato la sua singolare protesta davanti al parlamento di Stoccolma dopo l’eccezionale ondata di calore e i devastanti incendi boschivi che lo scorso agosto hanno colpito i paesi scandinavi.
Per settimane, ogni venerdì, utilizzando lo slogan “skolstrejk for klimatet” (sciopero
scolastico per il clima) scritto su un semplice cartello, si è posizionata in un angolo dell’accesso al palazzo del Riksdag e lì è rimasta fino a quando qualcuno a iniziato ad
accorgersi di lei chiedendole che cosa stesse facendo e perchè.
Da quel momento, questa giovane sensibile e acuta, rompendo coraggiosamente il muro della sindrome di Asperger da cui è affetta, ha cominciato a parlare e con straordinaria fermezza, competenza e proprietà di linguaggio, non si è più fermata.
I giornalisti che per primi le hanno posto qualche domanda hanno immediatamente colto la novità e l’enorme potenzialità di quanto stava accedendo ma certamente non potevano immaginare che le parole e l’atteggiamento di Greta sarebbero divenuti tanto virali. Utilizzando gli hashtags Twitter #Klimatstrejka, #ClimateStrike e #FridaysforFuture, il suo messaggio limpido si è diffuso con una rapidità fuori dal comune coalizzando intorno alla sua figura l’attenzione e il sostegno di un numero sempre maggiore di studenti e di giovani. Alla sua prima uscita internazionale, il 31 ottobre, ha partecipato alla Dichiarazione di ribellione organizzata a Londra dal movimento per la disobbedienza civile Extinction Rebellion ma è stato con il suo discorso del 4 dicembre 2018 al vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenuto a Katowice in Polonia, che la sua personalità e i contenuti del suo intervento hanno preso il volo. Un discorso netto, maturo e dai contenuti radicali che ha spiazzato lo stesso segretario generale dell’ONU, António Guterres, che l’aveva
invitata a parlare.
Dopo di allora Greta ha partecipato alla manifestazione Rise for Climate davanti al Parlamento Europeo, ha parlato al meeting annuale del World Economic Forum di Davos in Svizzera e infine a Bruxelles, alla Conferenza del Comitato economico e sociale europeo dove è stata accolta da migliaia di studenti in marcia.
Il suo messaggio è chiaro e non deformabile. In primo luogo Greta si rivolge ai suoi coetanei, alla generazione che (se le cose non cambieranno) sarà investita in pieno dalla tragedia planetaria del riscaldamento globale e che sarà martoriata dai devastanti effetti previsti dalla comunità scientifica internazionale. A questa generazione Greta chiede di prendere coscienza, di informarsi e di reagire. In secondo luogo si rivolge agli adulti e ai decisori politici in particolare, ovvero a coloro che non solo sono responsabili delle emissioni climalteranti e della crisi ecologica generalizzata ma che (tranne poche eccezioni) non fanno niente per evitarla. A questi, giustamente bacchettati per il loro egoismo e per la loro incompetenza, non chiede di ascoltare le sue rivendicazioni ma di leggere i report degli scienziati e di parlare con loro per comprendere quanto sia grave la situazione.
Ma c’è di più, nel senso che le parole e l’azione di Greta sono sostanziali e coerenti sia nella sua scelta vegana sia in quella di spostarsi usando il treno o l’auto elettrica per limitare le emissioni di CO2.
Nella sua esposizione del problema, l’idea di base è che non c’è più tempo da perdere e che siamo già entrati in una fase di non ritorno in cui l’apocalisse climatica ha già fatto il suo ingresso nella nostra vita quotidiana, anche se i più ancora non riescono a vedere la realtà e a cogliere la drammaticità della situazione.
Il suo volto serio e pensoso è la rappresentazione plastica di un timore che si fa certezza, di un’angoscia che si tramuta in sfida aperta e che, visibilmente, non si fermerà fino a quando non avrà ottenuto qualche risultato. Nella sua espressione di adolescente, nella naturale miscela di fanciulezza e aspirazione alla maggiore età, prende forma una istanza nobile e non velleitearia che, semplificando, si potrebbe sintetizzare in un accorato “io e la mia generazione abbiamo diritto al futuro”, inteso come diritto fondamentale all’esistenza e a vedere garantite le risorse materiali che la rendono possibile.
Con la sua azione, Greta evidenzia e contesta il paradosso di un mondo fondato sul determinismo meccanicistico, sul profitto e sulla logica scientifica che fa finta di non comprendere gli allarmi prodotti dalla stessa ricerca scientifica; come a dire che il metodo scientifico va bene quando è finalizzato alla produzione di tecnologia e di soldi, ma non va bene quando rivela verità scomode per il sistema economicofinanziario e per i suoi referenti politici.
La sfida di Greta e dei ragazzi che vogliono cambiare la storia è dunque questa, puntare il dito sul colpevole immobilismo dei potenti e sulla ostentazione di chi vuole a tutti i costi rimanere aggrappato ad un passato non più sostenibile, per reclamare non solo il diritto ma la necessità di immaginare un mondo diverso, più sobrio, più equo, più intelligente.
Il termine “giustizia climatica” che ora emerge nelle conferenze, nei cortei e nei gesti
concreti delle ragazze e dei ragazzi che un pò ovunque alzano la bandiera della loro legittima rivendicazione, serve ad indicare che la crisi del clima non è solo una questione di natura ambientale ma che soprattutto costituisce una questione etica e politica.
La nemesi che ora prende il volto di Greta e di quello della migliore gioventù che da qui al 15 marzo e poi oltre quella data continuerà la sua straordinaria mobilitazione, è un monito alla incoerenza degli adulti e dei loro rappresentanti che, come scrive l’attivista svedese, rimproverano ai ragazzi di stare in piazza per non fare i compiti mentre loro stessi rifiutano di fare i propri ovvero di governare in modo decente questo mondo.
Nessuno può dire quale sviluppo potrà prendere la rivoluzione concettuale e comportamentale che in questo tiepido inverno muove i suoi primi importanti passi. Quello che sappiamo è che la protesta e la proposta, scevra da condizionamenti ideologici e dall’improbabile sostegno di soggetti esterni cui qualche pseudogiornalista ha già fatto riferimento, è un’occasione straordinaria da non perdere.
E’ bene infatti ricordare che già oggi la concentrazione dei gas serra in atmosfera è la più elevata degli ultimi 800mila anni e che il Carbon budget, cioè la quantità di gas che le attività umane possono ancora immettere in atmosfera per rispettare l’obiettivo degli accordi internazionali Parigi, agli attuali ritmi di emissione, è di circa 50 Gigatonnellate all’anno e che questa disponibilità verrà esaurita in poco più di dieci anni. E’ la scienza dunque e non il turpiloquio delle big companies del petrolio, che, come non si stanca di ripetere Greta, ci fornisce l’orizzonte da traguardare.
Abbiamo davvero poco tempo per invertire la rotta e per evitare di schiantarci sulle rocce costituite dalla folle insensibilità e dalla incapacità di assumerci le nostre responsabilità di specie rispetto all’enorme danno che abbiamo già provocato al fragile equilibrio degli ecosistemi e che sta causanto una dolorosissima quanto sottaciuta estinzione di massa sul pianeta.
Ecco perchè la rivoluzione di Greta e di chi accoglie il suo messaggio è una rivoluzione della verità, perchè con le sue semplici parole d’ordine squarcia il velo dell’ipocrisia dominante e infrange l’ottuso tentativo di conservare privilegi che depredano i beni comuni e pesano come macigni sui principali sistemi viventi, sulle popolazioni più indigenti e sul futuro stesso dell’umanità.