Notoriamente, gli incontri tra i ‘sette grandi del pianeta’ – nell’era dei Brics, chiamarli ancora i ‘7 paesi più industrializzati’ è una barzelletta – non sono mai forieri di buone notizie, tuttavia il recente vertice del G7 in Baviera rischia di essere ricordato come uno dei peggiori in assoluto.
Partiamo da quello che i mass media hanno presentato come un impegno epocale, ossia l’intento di ridurre le emissioni dei gas serra dal 40% al 70% (in base ai valori del 2010) entro il 2050, per scongiurare un aumento delle temperature medie globali superiore ai 2°C rispetto all’inizio dell’era industriale. Prescindendo dal fatto che tale soglia stia assumendo una connotazione sempre più ideologica e ascientifica, è dai tempi della conferenza sul clima di Copenaghen 2009 che si insiste sui 2°C e si ipotizzano tagli alle emissioni di ogni genere, per poi lasciare le buone intenzioni sulla carta in nome dell’ossessione per la crescita economica. L’unica differenza rispetto al passato è che il G7 bavarese auspica che la crescita diventi ‘sostenibile e bilanciata’, senza spiegare ovviamente come.
Sono dell’idea che, dopo molti anni di scetticismo climatico se non di vero e proprio negazionismo, siamo giunti in una nuova fase non meno pericolosa, che chiamerei ‘feticismo del riscaldamento globale’: si ammette l’esistenza del problema, ma lo si astrae dal contesto ignorando altre questioni ecologicamente rilevanti (impronta ambientale, perdita di biodiversità, esaurimento risorse) presentandolo come qualcosa risolvibile attraverso artifici tecnici e sempre e comunque nel quadro economico-politico dominante. Un tossicodipendente che cercasse di disintossicarsi partecipando a dei rave party avrebbe più probabilità di successo.
E la droga per rianimare un’economia già in ripresa ma non troppo, secondo il G7, si chiama TTIP, il famigerato accordo di libero scambio tra Stati Uniti e UE, il cui scopo è di piegare le legislazioni nazionali ai diktat delle imprese transnazionali. Angela Merkel ha oramai sposato in pieno questa causa, annunciando addirittura di voler chiudere l’accordo entro l’anno. Da questo punto di vista, le proposte di ‘riforma’ costituzionale della maggioranza di governo italiana vanno lette alla luce del TTIP, perché solo un esecutivo accentratore e autoritario può pensare di tenere a bada una popolazione costantemente attaccata sul piano della difesa dell’ambiente e dei diritti sociali.
L’iniziativa del TTIP a molti sembrerà un ritorno al passato, a prima dello scoppio della crisi economica, quando la globalizzazione neoliberista era considerata l’apice delle meravigliose sorti progressive dell’umanità: in realtà, ci troviamo di fronte a una situazione nuova e persino più inquietante.
Il liberoscambismo basato sul WTO (l’organizzazione mondiale per il commercio), infatti, si rifaceva a una concezione per così dire ‘cosmopolita’ del capitalismo, dove sembrava fosse disponibile una fetta della torta per tutte le nazioni (o quantomeno per tutte le più importanti oligarchie). Le teste d’uovo di Banca Mondiale, FMI, WTO e pifferai di ogni sorta condannavano all’unisono la cecità dei contestatori della globalizzazione, incapaci di capire che il libero scambio commerciale era la premessa fondamentale per garantire la pace nel mondo. A poco più di dieci anni di distanza, la situazione è drasticamente mutata, e i falchi possono finalmente dismettere i panni delle colombe.
Chi conosce un po’ la storia moderna sa bene che le tendenze ‘cosmopolite’ (e quindi parzialmente pacifiche) del capitalismo si esauriscono non appena le stagnazioni economiche inaspriscono le contese tra stati per il controllo dei commerci e delle materie prime. La fine del XIX, la cosiddetta Bella Epoque, è passata alla storia come un periodo di pace (almeno per i popoli con il colore ‘giusto’ della pelle) garantito dall’alta finanza e dal laissez faire, ma l’acuirsi della Grande Depressione (1873-1896, secondo la vulgata storica) ha spinto le principali nazioni a intraprendere misure economiche che, se da una parte hanno sbloccato la stagnazione, dall’altra hanno creato tensioni geopolitiche sempre pià insanabili, ponendo le premesse per la prima guerra mondiale.
La riunione dei ‘grandi’ non si è ridotta da 8 a 7 per caso: le dichiarazioni di Obama sulla presunta volontà di Putin di ricreare i fasti dell’imperialismo sovietico e l’appoggio incondizionato del G7 al governo ucraino sulla Crimea – con la minaccia di nuove sanzioni economiche verso Mosca – suonano come minacciosi campanelli d’allarme verso la Russia, la quale per la prima volta dalla fine della guerra fredda viene additata pubblicamente come nemico. Russia che però, come nota acutamente Federico Rampini, marcia a braccetto con la Cina, sempre più spina nel fianco della decadente egemonia americana. La formazione di un’alleanza Russia-Cina opposta all’asse USA-UE-Giappone potrebbe davvero rappresentare il preludio della catastrofe e viene il sospetto che le spese militari oggi invocate come necessità per fronteggiare la minaccia dell’ISIS (vedi i cacciabombardieri F35 in Italia) siano in realtà pensate per scenari di crisi molto differenti.
È curioso come un provvedimento epocale e controverso quale il TTIP abbia ottenuto l’approvazione istantanea dei governanti dei G7 senza dibattiti nei parlamenti (se non proprio in qualsiasi consesso pubblico), malgrado l’eterogeneità nella composizione degli esecutivi, che spazia dalla destra conservatrice (Gran Bretagna, Canada), passando per le formazioni centriste liberal-democratiche e cristiano sociali (Giappone, Germania) fino a comprendere i partiti che militano nel Partito Socialista Europeo (Francia, Italia). Si tratta inequivocabilmente della morte della politica da parte delle istituzioni che in teoria dovrebbero maggiormente rappresentarla. Agli oppositori del TTIP l’onere di rivitalizzarla e restituirle dignità.
Fonte immagine in evidenza: Daily Mail