Come annunciato sul canale Youtube, ho comprato e letto il libro di Luca Simonetti Contro la decrescita: la decisione è nata dopo che Simonetti – che avevo citato in una nota in un precedente articolo – è intervenuto, originando un dibattito intenso che, almeno per quanto riguarda le conversazioni virtuali intrattenute con il sottoscritto, è degenerato in flame.
A scanso di equivoci, esordisco dicendo che, dopo la lettura del libro, posso addirittura condividere alcuni aspetti del pensiero di Simonetti: alcune considerazioni sulle cautele con cui bisogna criticare la modernità o i dubbi su Simone Perotti e la ribellione individualistica del downshifting, ad esempio, hanno molti punti di contatto con quanto ho scritto personalmente in Svolta radicale o Democrazia radicale. “Risolvere il problema dello ‘spreco’ non è questione di morale, è questione di politica” (pag. 126) lo diciamo noi di DFSN fin dalle origini – anche se con intento diverso – ed è stato motivo di contrasto con qualche autoproduttore fautore del cambiamento solo su base individuale.
Consiglio persino ai decrescenti di acquistare il libro, non parliamo di un’opera che dà lustro alla libreria ma €9,99 di e-book ci possono stare, soprattutto per tranquillizzare il suo autore sul pericolo che la decrescita presenti gli ‘elementi culturali necessari per la nascita del fascismo’ (pag. 229) oppure che i suoi sostenitori siano ‘grotteschi e velleitari’ alla maniera dei primi adepti del nazismo (pag. 223); per quanto riguarda me, credo di aver smentito inequivocabilmente un grazioso commento rivoltomi da Simonetti: “Ho paura che qui sia all’opera una sorta di riflesso condizionato: leggi parole e frasi che non ti piacciono, ti si rizzano i capelli in testa, cominci a strillare “nontisentonontisentonontisento” e scappi”. Nessuna fuga, nessuna reazione isterica e, meno che mai, nessuna tentazione autoritaria: siamo persone pacifiche e disposte a interloquire anche con chi ci attacca pesantemente, chiediamo solo di poter esporre i nostri argomenti in un dibattito aperto e democratico.
La mia intenzione originaria era di praticare una decostruzione capitolo per capitolo, ma, dopo aver iniziato da quello che più mi premeva di più commentare, intitolato ‘I limiti della crescita’, e dopo aver scritto 42 pagine di commenti (rispetto alle 8 originarie), ho capito che si sarebbe trattato di uno sforzo titanico e decisamente noioso. Ma c’è una ragione ancora più importante.
Tutto il testo è permeato da faziosità, in particolare per quanto riguarda le persone che a suo dire vanno inserite tra i decrescenti: passi per Vandana Shiva, Carlo Petrini o Ermanno Olmi, ma altre scelte sono inaccettabili. Nell’introduzione si dice che aderisce alla decrescita “chi è convinto che una volta (che per alcuni significa quaranta o cinquant’anni fa, per altri il Settecento, per altri ancora il Paleolitico) si vivesse molto meglio di oggi” e addirittura “un terrorista come Unabomber” (pag. 10), autore in realtà di un manifesto neoluddista privo di qualsiasi contatto con la decrescita. Un capitolo intero è intitolato I primitivisti, ovvero com’era bella la vita nelle palafitte, contro l’anarco-primitivismo di John Zerzan, che probabilmente ritiene la decrescita nulla più di una stupida moda radical-chic (forse lo stesso pensiero di Simonetti). Non una parola su persone e su soggetti che invece hanno collaborato direttamente con le diverse realtà della decrescita, vedi il movimento delle Transition Town o scienziati di primo piano come Ugo Bardi e Richard Eisenberg. Meglio inserire tra le fonti ‘decrescenti’ il libro Post-crescita di Giampaolo Fabris, cioé un autore che per tutta l’opera non fa altro che tuonare parole durissime sulla decrescita e i suoi sostenitori. Oppure dimenticarsi che la parola ‘decrescita’ esiste solo dal 2002 e cercarne i precursori in pensatori della destra di inizio XX secolo, come Evola e Prezzolini, a cui nessun decrescente si è mai sentito accomunato, per quanto ne sappia. È difficile trovare anche solo una pagina dell’opera senza confusioni volute o illazioni gratuite sui decrescenti.
Simonetti ovviamente può replicare che non esiste un marchio registrato della decrescita, e che può fare tutti i collegamenti che gli sembrano più idonei: è una questione di doxa, insomma, per dirla alla maniera dei filosofici greci. Se per lui Zerzan, Fabris e Unabomber sono dei decrescenti – anche contro il parere dei diretti interessati – chi glielo può contestare?
Molte pagine, poi, pullulano di critiche cavillose. Ad esempio, nel capitolo ‘La decrescita felice’ accusa i decrescenti di non sapere che cosa sia il PIL:
Un breve riassunto: il PIL (prodotto interno loro, o reddito nazionale) altro non è che la somma del valore monetario di tutti i beni e i servizi prodotti in un dato periodo di (di solito, un anno) in una data economia. E si chiama PIL o reddito nazionale perché reddito e prodotto sono la stessa cosa: quel che io produco è il mio reddito (e a livello nazionale coincide con la somma dei consumi e degli investimenti, perché quel che io produco è il consumo o l’investimento di qualcun altro) (pag. 24)
Aggiunge alla pagina successiva, contro l’argomentazione di Pallante per cui i beni autoprodotti non rientrano nel PIL:
…Se produco un cespo di insalata ho accresciuto il mio reddito, e dunque anche il PIL (che non è altro, ricordiamolo, che la somma di tutti i bene e i servizi prodotti, cioé la somma di tutti i redditi), esattamente di un cespo di insalata. (pag. 25)
Seguiamo il sillogismo aristotelico alla base di tutto il ragionamento:
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se ‘reddito’ e ‘prodotto’ sono la stessa cosa;
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se il bene autoprodotto si può quantifciare monetariamente;
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allora l’autoproduzione aumenta il PIL
In questa disquisizione, che fa coincidere qualsiasi prodotto a un reddito, l’avvocato Simonetti non sente la necessità di una nota bibliografica a un’opera di economia. Cerchiamo allora sul Dizionario di economia e finanza della Treccani:
Il PIL misura il risultato finale dell’attività produttiva dei residenti di un Paese in un dato periodo. La nozione di ‘prodotto’ è riferita ai beni e servizi che hanno una valorizzazione in un processo di scambio; sono quindi escluse dal PIL le prestazioni a titolo gratuito o l’autoconsumo.
Ovviamente Simonetti lo sa. Ma ecco come salva capra e cavoli:
Se fossero tantissimi a autoprodurre insalata, le autorità nazionali preposte al calcolo del PIL dovrebbero necessariamente, per continuare a dare un’idea attendibile dell’entità del prodotto annuale, fornire una stima dell’insalata autoprodotta dai cittadini nei loro orti… (pag. 25)
Omissione totale sul fatto che, a oggi, l’unico ‘reddito figurativo’ effettivamente impiegato nel calcolo del PIL (stratagemma che secondo il keynesiano Luciano Gallino serve solo per gonfiarlo artificiosamente) è quello derivante dal possesso di abitazioni, imputando alle famiglie residenti il valore presunto dell’affitto che pagherebbero se non fossero proprietarie. Non si capisce come sarebbe possibile fare altrettanto con l’autoproduzione, ma si tratta di qualcosa di teoricamente impossibile? No. La teoria del PIL di Simonetti è valida anche se tutti i metodi di calcolo attuali sono basati solo su scambi monetari? Anche qui siamo a livello di doxa, basta separare la teoria dalla pratica e puoi dimostrare qualsiasi cosa.
L’idea di discutere per ore con un moderno Dottor Sottile su questioni totalmente astratte, trascurando il fatto concreto – ossia il diverso ‘zaino ecologico’ tra insalata autoprodotta e venduta in busta dalla grande distribuzione, ad esempio – non mi attraeva particolarmente. Sarebbe stato come convincere Don Ferrante che la peste esiste realmente, malgrado sia stata brillantemente confutata dai suoi profondi ragionamenti.
La situazione cambia radicalmente, però, riguardo ai capitoli ‘La crescita infinita’ e soprattutto ‘I limiti della crescita’: qui non è più questione di doxa, ma di sophia, le opinioni devono lasciare spazio all’obiettività e soprattutto a un rigore metodologico, a maggior ragione se come Simonetti ci presentiamo quali fautori della scienza e del suo metodo. La critica argomentata di questi capitoli è fondamentale inoltre perché, se mi si passa l’espressione, sono ‘l’asso pigliatutto’ che gli consente di risolvere a suo favore molti altri confronti dialettici con gli argomenti dei decrescenti. Le contestazioni mosse alla sobrietà, al riuso, all’agricoltura tradizionale, al dono, al comunitarismo, alla produzione e alla critica del consumismo, si basano infatti sulla ‘dimostrazione’ operata in quella sezione, ossia che la fissazione dei decrescenti ‘a prendere per necessità ineluttabili cose che sono, al più, dei rischi, raggiunge livelli parossistici’. (pag. 67). Le problematiche poste dalla decrescita da pragmatiche sono ridotte a mera speculazione filosofica, una riedizione in salsa moderna della filosofia stoica. La ‘storia’ ha dimostrato che potremo mantenere i consumi e i servizi attuali, di che preoccuparsi allora?
La decostruzione del capitolo ‘I limiti della crescita’ di Contro la decrescita (che verrà operata a puntate), fa venire il dubbio che l’intellettuale Simonetti abbia ceduto davvero troppo terreno all’avvocato Simonetti, proprio nel campo in cui era meno congeniale agire così. Per evitare giudizi affrettati e imprecisioni, ho deciso di sottoporre le mie critiche alla revisione di un gruppo di persone che, all’interno di DFSN, potesse supplire ai miei limiti: la mia scelta è caduta su Giulio Manzoni, Manuel Castelletti e Daniele Uboldi. Il loro apporto è stato preziosissimo per correggere e integrare quanto avevo scritto, ragion per cui ho deciso che gli articoli di decostruzione che seguiranno saranno attribuiti a Felice_Mente, nome collettivo riferito al nostro gruppo di lavoro.
La critica ci è costata tempo e un lavoro di analisi delle fonti particolarmente accurato, non è nulla di raffazzonato e lasciato al caso. Non pretendiamo certo di aver scoperto ‘la verità’, ma non la si può ignorare con un’alzata di spalle. Pertanto, mi auguro che Simonetti – l’unico per altro che può spiegare le nostre perplessità – partecipi attivamente e costruttivamente al confronto: tutti i suoi commenti saranno approvati e il più tempestivamente possibile pubblicati. Ha tutti i mezzi per dimostrare la nostra eventuale presunzione o superficialità. Non ha nulla da temere, direi anzi che lui può solo trarne giovamento:
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se dovesse portare risposte convincenti alle obiezioni, rafforzerà il valore del libro. Mi permetto di anticipare che alcune constatazioni mosse sulla metodologia (in particolare la scelta delle fonti e la faziosità nell’affrontare il problema ecologico) potranno forse essere confutate, ma solo portando opportuni argomenti, che sarebbe stato meglio inserire nel libro per evitare l’accusa di evidente parzialità. Un ottimo spunto per integrare un’eventuale seconda edizione di Contro la decrescita;
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potremmo fargli sorgere dei dubbi. In quel caso apprezzerà il fatto che, malgrado tutti i nostri difetti insormontabili, dal confronto con noi ne sia uscito arricchito;
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almeno una parte delle nostre obiezioni potrebbe rivelarsi fondata. In quel caso Simonetti, pur essendo il libro già dato alle stampe, ne farà tesoro per le proprie pubblicazioni successive.
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Come no. Quando avrete finito, e non appena avrò tempo anch’io (non che voglia atteggiarmi a uomo tremendamente occupato, ma ogni tanto nel mio piccolo pure io devo lavorare), provo a rispndere. Un saluto e grazie per l’attenzione.
Molto felice del tuo feedback: spero proprio di iniziare un periodo all’insegna del ‘fatti non flame’ (ci concederai solo ogni tanto qualche piccolo sassolino dalle scarpe, dai:-) ). Solo una piccola avvertenza: siccome sono in arrivo 9 o 10 puntate (dipende da come ‘sezioniamo’ l’articolo originale, più di 40 pagine di word) che pubblicheremo una volta a settimana, mi auguro che le varie osservazioni non si accumulino, sarebbe un peccato; se riesci a starci diero ogni 2-3 settimane secondo me viene tutto meglio, sperp che i tuoi impegni te lo consetano. Ancora grazie e a presto sulle nostre pagine, ti aspettiamo.
Il fatto che se ne parli “contro” è confortante, significa che la cosa interessa e forse spaventa pure