Democrazia radicale. La decrescita come contropotere sociale

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Ho scritto il libro precedente, Svolta radicale,pensando alle persone provenienti come me da un background culturale di sinistra, cercando di aprirle alla decrescita e a nuove prospettive, demitizzando molti totem vecchi e nuovi (marxismo, socialdemocrazia, sviluppo sostenibile su tutti).

In Democrazia radicale mi rivolgo direttamente ai decrescenti, ponendo un interrogativo che, tra riscoperta dell’autoproduzione ed illuminazioni interiori, mi sembra decisamente trascurato: la decrescita è compatibile con le istituzioni politiche attuali? Questa domanda in realtà ne presuppone a sua volta un’altra: la nostra aspirazione alla decrescita deve avere come nucleo centrale l’evidenza scientifica del degrado ambientale o l’autolimitazione come anelito di libertà e autonomia?

Nel primo caso, il rischio di un fascismo ecologico e di una tecnocrazia imperante è elevatissimo. Nel secondo, se intendiamo la decrescita come contropotere sociale (espressione molto azzeccata coniata da Latouche) i problemi a livello di organizzazione politica sono enormi. Sono giunto alla conclusione che esiste una incompatibilità sostanziale tra Stato-nazione e decrescita, e che sia necessario pensare a nuovi tipi di istituzione, basati su di un’organizzazione sociale radicalmente democratica incentrata sulla filosofia dei beni comuni. Non penso che ciò si ottenga con qualche sconclusionata ‘rivoluzione’, colpi di Stato o attentati, bensì attraverso una costante opera di democratizzazione dello Stato e di autonomia delle comunità locali, che porti non all’esclusione identitaria ma a nuove forme di interdipendenza e cooperazione.

Per tali ragioni, in queste pagine ho cercato innanzitutto di smontare il ‘feticcio dello Stato’ (come lo chiamava Marx) oramai radicato nell’inconscio delle persone. Ho anche ritenuto doveroso approfondire la situazione attuale, in particolare analizzando le premesse su cui poggia l’ideologia unica neoliberale, quella che per molti anni della mia vita ho bollato come insulsa, insensata e ideata da menti stupide, limitandomi a uno sguardo molto superficiale. Ne è venuta fuori invece un’ideologia di dominio razionale nella sua criminale immoralità, frutto di riflessioni in gran parte condivisibili sulle trasformazioni dell’ultimo trentennio del XX secolo, scoprendo così che gli stupidi erano ben altri (e mi sono sentito abbastanza parte di essi). Ho rivalutato così il pensiero neoliberale e, se possibile, ho imparato a odiarlo ancora di più.

Nel terzo capitolo ho illustrato le idee di pensatori molto originali che, condividendo talvolta la lettura neoliberale della crisi, se ne distaccano completamente proponendo un percorso di autonomia e libertà nettamente ostile al capitalismo. Sulla loro scorta ho cercato di tratteggiare il quadro di una società dei beni comuni, ricercando nella realtà attuale tutte le possibili ‘avanguardie’ di cambiamento.

Ho ragionato anche su potenzialità e pericoli insiti in Internet, il medium privilegiato dai movimenti sociali di base contemporanei – Occupy Wall Street, Indignados, movimenti della primavera araba – e ciò mi ha condotto inevitabilmente al Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, non solo forza politica emersa prepotentemente negli ultimi anni ma anche unica a sostenere apertamente la causa della decrescita. Sono consapevole delle critiche che potrà attirarmi questo capitolo, dove vengono evidenziate alcune storture del movimento che a mio parere non si possono tacere.

A scanso di equivoci – in particolare a chi contesterà la mia fiducia nel popolo sovrano, quando apatia e consumismo regnano sovrani – io non credo che una democrazia radicale possa, da sola, risolvere magicamente tutti i problemi, semplicemente ritengo che solo un potere diffuso possa portare a decisioni improntate al bene comune; si tratta quindi di una condizione necessaria ma non sufficiente. Non credo invece che ciò sia possibile con forme autoritarie e accentrate, tranne forse in casi eccezionali sotto una forte pressione popolare. Per altro, sono convinto che istituzione alienanti – come quelle della democrazia rappresentativa – possano solo creare gente alienata, mentre altre di diversa natura potrebbero liberare immaginazione, energie e coraggio imprevisti, come vari esempi storici hanno dimostrato (ad esempio la Comune di Parigi del 1871, dove solo poco tempo prima la stessa popolazione insorgente aveva eletto un governo cittadino blandamente riformista; oppure i referendum del giugno 2011, che hanno fatto del ‘disimpegnato’ e ‘reazionario’ popolo italiano il primo in Europa a schierarsi contro la privatizzazione dell’acqua e l’energia nucleare)

Così come dagli appassionati dalla decrescita ho imparato tantissimo, mi auguro di aprire loro nuovi orizzonti, nella speranza che intendano approfondirli ulteriormente. In caso contrario, l’autoresi si consolerà sapendo cioé di aver abbeverato la sete di conoscenza del lettore con l’acqua di pensatori brillanti e geniali, al di là delle mie personalissime opinioni.

 

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