Decrescita: due anime, una sola via

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Il catastrofico degrado del pianeta e lo sfruttamento indiscriminato di risorse sono ben note ai decrescenti, a cui forse è meno chiara l’importanza delle modalità con cui approcciare la decrescita e l’ecologia in genere, se siano esse di carattere scientifico o politico; una differenza fondamentale secondo André Gorz (2009).

Gorz, contrariamente alle opinioni dominanti, diffidava profondamente di una linea ecologica basata sull’analisi scientifica e la conseguente ‘necessità assoluta’, nonostante la forza intrinseca di questa argomentazione. A suo giudizio si rischiava di riproporre un dogmatismo scientista e antipolitico simile a quello che aleggiava in URSS a causa dell’accettazione per fede del materialismo storico dialettico nella forma del Diamat, che finiva col trasformare in ‘scientifiche’ e quindi in ‘naturali’ delle asserzioni di carattere politico, favorendo in questo modo l’eteroregolazione della società dall’alto da parte di una espertocrazia burocratica e annientando autonomia e pluralismo. Il fatto che le leggi dell’entropia e le varie forme di devastazione del pianeta poggino su basi scientifiche molto più obiettive e concrete del Diamat non fa che peggiorare la situazione:

L’eteroregolazione fiscale e monetaria ha, secondo i suoi sostenitori, il vantaggio di condurre all’obiettivi dell’ecocompatibilità senza dover cambiare le mentalità, il sistema di valori, le motivazioni e gli interessi economici degli attori sociali… La presa in conto dei vincoli ecologici si traduce così, nel quadro dell’industrialismo e della logica del mercato, in un’estensione del potere tecno-burocratico… Essa abolisce l’autonomia del politico in favore dell’espertocrazia innalzando lo Stato e gli esperti di Stato a giudici dei contenuti dell’interesse generale per sottomettervi gli individui. (1)

Gorz proponeva invece una visione riconducibile allo spirito del pensiero ecologico originario, incentrato sull’autolimitazione volontaria e la difesa contro l’invasione del quotidiano da parte degli apparati economico-amministrativi. La difesa della natura, in quest’ottica, diventa un obiettivo conseguente, perché la difesa dell’ambiente vitale nel senso ecologico e la ricostituzione di un mondo vissuto si condizionano e si sostengono l’un l’altra. L’una e l’altra esigono che la vita e l’ambiente vitale siano sottratti al dominio dell’economia, che crescano le sfere di attività nelle quali la razionalità economica non sia applicata. (2)

I decrescenti e gli ecologisti in genere hanno quasi sempre preferito invertire i fattori, e alcuni orientamenti, come quelli legati alla cosiddetta deep ecology, assumono a volte forme di idolatria della natura se non di vera e propria misantropia. Persino Serge Latouche, il più importante pensatore legato alla decrescita, senza giungere a questi eccessi talvolta è scivolato su pericolose bucce di banana.

In un’intervista concessa al sito Web Lettera43, Latouche, dopo aver difeso l’estrema destra sostenendo che “non tutto quel che dicono è stupido. C’è una parte insopportabile, ma se sono popolari – e lo saranno sempre di più – è perché hanno capito alcune cose, hanno ragione”, così chiudeva il colloquio: Oggi penso che la democrazia sia un’utopia che ha senso come direzione. Ma la cosa importante è che il potere, quale che sia, porti avanti una politica che corrisponde al bene comune, alla volontà popolare, anche se si tratta di una dittatura o di un dispotismo illuminato.

La costernazione è massima perché tali parole provengono da uno dei massimi intellettuali viventi, autore di alcune delle riflessioni più acute e brillanti degli ultimi decenni: viene davvero difficile immaginare che, anche solo per un attimo, abbia potuto mostrarsi tanto ingenuo e fideista nei confronti del potere. Eppure cerchiamo ugualmente di prenderlo sul serio, provando a immaginare un dispotismo illuminato in senso ecologico (3)

Può rientrare nel ‘dispotismo illuminato’ di Latouche una nazione fortemente impegnata nella protezione degli animali, in massicce campagne di riforestazione, che investe ben il 7% del PIL in energie rinnovabili e che grazie alla sua natura autoritaria può permettersi di operare un rigido controllo delle nascite? Se la risposta è affermativa, allora sappiate che questa descrizione corrisponde a quella della Repubblica Popolare Cinese(4), ovvero la nazione che contribuisce maggiormente all’effetto serra, che per ottenere l’acquiescenza della popolazione – cioé per garantire a una fascia abbastanza sostanziosa l’accesso a uno stile di vita di tipo occidentale – è costretta a una crescita economica folle.

L’idea della democrazia come inutile ostacolo al risanamento ambientale è stata spressa ad alta voce da illustri intellettuali, quali James Lovelock (ispiratore della teoria di Gaia), David Shearman (contributore dell’IPCC), Randers Jorgen (coautore de I limiti dello sviluppo e membro del Club di Roma); non a caso, noterebbe Gorz, tutti scienziati.

Queste personalità hanno portato spesso come argomento a favore della loro tesi il fallimento delle varie conferenze internazionali sul clima (Copenaghen 2009, Cancun 2010, Durban 2013), incapaci di giungere a un accordo condiviso sulla riduzione delle emissioni di gas serra: è davvero singolare come scienziati capaci di indagare sui fenomeni più reconditi della biosfera siano ciechi di fronte a una realtà tanto palese. Innanzitutto queste conferenze hanno avuto come protagonisti Stati, democratici e non, con i più autoritari che si sono solitamente segnalati per accordi totalmente al ribasso. Molte organizzazioni di cittadini si sono invece distinte denunciando le pressioni delle grandi lobby sulla questione climatica e le connivenze con la politica; innumerevoli sono nel mondo le proteste popolari contro opere ad alto impatto ambientale, mentre referendum come quelli tenuti in Italia e Austria contro la costruzione di centrali atomiche – che alcuni di questi scienziati, come Lovelock, si ostinano a considerare un rimedio contro la crisi ecologica – testimoniano di popolazioni che non si sono fatte irretire da promesse propagandistiche di bollette a basso prezzo e simili. Insomma, o gli scienziati confondono la democrazia con qualcos’altro (ad esempio il mercato libero mondiale) o ne hanno un’idea alquanto distorta; oppure, a voler essere maligni, sperano di ottenere in virtù del loro status di esperti una posizione di privilegio in una società ecologica autoritaria, un po’ come si vede in alcuni film di fantascienza – e in modo simile a quanto accadeva agli intellettuali nel mondo sovietico.

La critica degli scienziati non va quindi rigettata, bensì messa correttamente a fuoco e integrata con le osservazioni di Gorz. Alla questione ambientale si sovrappone un grave problema politico: al di là di fantomatici dispotismi ecologici, la filosofia ispiratrice della decrescita dell’autolimitazione è compatibile con la mission e il bisogno di legittimità dello Stato? Può essere lo Stato la forma politica adatta per perseguire una politica ecologica volta a risanare il pianeta? Se la risposta è no – ed è la mia opinione – allora si tratta di esplorare nuove e più valide forme di governo.

(1) Gorz André, Ecologica, Jaca Book, Milano 2009, pag. 48. Così si spiega anche perché intellettuali intelligenti come Giulietto Chiesa, ad esempio, non riescano a immaginare una decrescita ‘felice’ o ‘serena’, proprio perché teorizzano che a guidare il processo di decrescita debba essere lo Stato, e in questo senso hanno perfettamente ragione a dubitare.

(2) Ibidem, 66

(3) Storicamente il dispotismo illuminato è stata una tendenza di governo di alcuni sovrani settecenteschi (tra cui Maria Teresa e Giuseppe II d’Austria, Federico II di Prussia, Carlo III di Spagna, Caterina II di Russia) volta ad implementare alcune riforme di stampo illuministico per favorire l’accentramento statale e l’assolutismo monarchico ai danni di clero e nobiltà. Aveva quindi un carattere machiavellico e strumentale, ben poco interessato alla diffusione degli ideali illuministi, per cui incontrò ben presto l’ostilità della borghesia: ovviamente il dispotismo per ragioni intrinseche non può assumere un carattere liberale, e come vedremo neppure ecologico.

(4) La Cina post-maoista, delineata da Deng Xiaoping nel comitato centrale del PCC del dicembre del 1978, si è rivelata ‘illuminata’ sotto molto aspetti: ha aperto al capitalismo occidentale ma dettando il gioco secondo le proprie regole, adottando un mix di misure liberiste, keynesiane e nazionaliste allo scopo di favorire la crescita economica e gli investimenti stranieri ma evitando di perdere sovranità e di finire fagocitata dall’influenza delle organizzazioni sovranazionali come il Fondo Monetario e il WTO (in pratica l’opposto di quanto successo alla Russia post-sovietica). Machiavelli ne sarebbe rimasto sicuramente affascinato.

 

 

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

3 Commenti

  1. Perché mai provare orrore per una forma di governo non democratica se comunque rivolta all’interesse globale? Quando si formulano delle ipotesi devono sempre essere basate su un ragionamento realistico altrimenti ci stiamo raccontando favolette. Che tutte le grandi democrazie occidentali siano asservite alle lobby economiche non mi sembra che sia nemmeno da mettere in discussione, quindi è certo che i governi democratici quando ci sarà da prendere decisioni dolorose non lo sapranno fare perché in fondo non saranno liberi di farlo. Adesso quando parliamo di decrescita sembra una cosetta tipo chiudere il rubinetto quando ci laviamo i denti. Ma entro pochissimi decenni le decisioni dei governi o non ci saranno, si crepa e buonanotte, o dovranno essere cose tipo dimezzare la popolazione mondiale in una generazione con l’obbligo per le nuove coppie di fare 1 o 0 figli; vietare la circolazione delle merci oltre un raggio di cento km, quindi controllo totale del commercio e di conseguenza della libera iniziativa; razionalizzazione dell’acqua e delle fasce energetiche e altre quisquilie del genere. Quali sarebbero governi in grado di prendere iniziative simili? Le nostre democrazie credo proprio di no.

    • Provo orrore per il semplice fatto che la dittatura per il bene comune non esiste. Sono della stessa idea di Rousseau: solo una sovranità diffusa PUO’ ricercare il bene comune, che non significa che necessariamente SEMPRE ci riesca. Quanto al quadro che fai del mondo, al di là della sventolata democrazia liberale, mi sembra che viviamo già nell’epoca ‘si crepa o buonanotte’, nel senso che si stanno già selezionando continenti come l’Africa destinati a sparire per diventare serbatoi delle elite fortunate rimaste. E poi quale potere talmente centralizzato, che necessiterebbe di una megastruttura enorme, potrebbe mai avere un carattere anche solo vagamente ecologico? E poi l’unica dittatura globale verrebbe proprio dalle lobby economiche.
      Se la democrazia radicale è un’utopia, il fascismo ecologico, il dispotismo illuminato, ecc mi sembrano francamente delle idiozie. E non oso pensare cosa combinerebbero degli invasati che, novelli messia, reclamerebbero un potere assoluto al fine di salvare il pianeta, una megalomania che neppure Hitler o Stalin hanno mai avvicinato.

      • La situazione e` certamente critica e le masse non stanno dimostrando alcuna capacita` di decidere democraticamente sul come risolverla, bisogna quindi affidarsi ad un governo che decida senza l’approvazione delle masse ?
        Ma certamente la dittatura e` il disastro peggiore per l’umanita` anche perche` non potrebbe mai decidere per il bene comune delle masse ma lo farebbe solamente per il beneficio dell’elite al governo. Esempi abbondano ovunque…

        Purtroppo e` chiaro che tutte le previsioni di Rino siano inevitabili: riduzione delle nascite, razionalizzazioni energetiche, produzione localizzata, controllo delle frontiere, ecc… ma come convincere tutti, specialmente quelli che hanno gia` acquisito vantaggi tali per cui anche nell’arco della loro vita, non andrebbero incontro a conseguenze troppo serie a causa della crisi imminente ?

        Il dilemma mi suggerisce il seguente pensiero, che i matematici capiranno al volo:

        i promotori del progresso vedono tecnologia, crescita, sviluppo ecc… come le soluzioni che ci salveranno; essi vedono uno sviluppo esponenziale dell’umanita` [ l’esponenziale e` una curva matematica la cui stessa crescita aumenta costantemente raggiungendo molto velocemente valori infiniti… ]

        i decrescisti, gli ambientalisti, ed altri gruppi di pensiero riconscono l’esistenza di un limite fisico a tale crescita e quindi si aspettano un cambiamento di tendenza catastrofico a meno che non si faccia qualcosa di molto serio… [ cioe` la curva matematica esponenziale verra` brutalmente interrotta da una discontinuita` e crollera` drasticamente a meno che non la interrompiamo noi in modo controllato linearizzandola… ]

        ma forse la matematica ci suggerisce un’altra possibilita`: la serie divergente.

        [ Nella serie divergente i valori si alternano senza mai convergere, ci potrebbero essere allo stesso tempo i valori crescenti verso l’infinito e quelli decrescenti verso lo zero o sottozero… cioe` nessuna soluzione. ]
        Forse questo e` cio` che sta avvenendo, questa e` la migliore rappresentazione della realta` di incremento costante del differenziale tra ricchi e poveri, dell’incapacita` di trovare una soluzione tra chi vuole la democrazia e chi si affiderebbe a qualche tipo di despotismo piu` o meno illuminato.

        Dopo tutto, cio` e` gia successo in passato, i coloni dell’America hanno lasciato un Europa in tumulto per incapacita` di convergere…

        a serie divergente sembra rappresentare al tempo stesso la crescita ambiziosa e la decrescita inevitabile.

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