Decrescita: cavalcarla o esserne travolti

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“Vogliamo cedere alla cultura per cui chi crea ricchezza è cattivo, brutto e va allontanato? Penso alla Basilicata: bisogna mandar via Eni, mandiamo via la Fiat, facciamo una grande operazione imprenditoriale e viviamo di decrescita felice? La decrescita è felice solo per chi ha un posto e una rendita” (Matteo Renzi, 4 aprile 2016)

Ci risiamo: il presidente del consiglio Matteo Renzi torna ad attaccare la decrescita felice, a un anno distanza dall’ultima bordata contro i suoi sostenitori che, a giudizio dello statista dallo slogan al fulmicotone, andavano “fatti vedere da gente brava”. In quell’occasione alcune persone pazienti e di buona volontà provarono vanamente a spiegargli la differenza tra decrescita felice e recessione, illudendosi forse che al premier gliene potesse importare qualcosa (anche in quest’occasione qualcuno  ha voluto replicargli direttamente).

Probabilmente è il caso di ignorare le farneticazioni renziane e di dare retta a persone che sicuramente il politico fiorentino reputerebbe ‘gente brava’,  se non altro perché culturalmente parlando distano anni luce dalle idee decrescenti. Larry Summers ad esempio, ex segretario al Tesoro di Clinton, ogni giorno cha passa trova sempre più conferme riguardo alla teoria della ‘stagnazione secolare‘, mentre la presidente del FMI Lagarde constata una ripresa molto più lenta del previsto (per usare un eufemismo) dove i famosi BRICS, le nazioni emergenti che avrebbero dovuto assurgere a locomotiva della crescita economica del XXI secolo, costituiscono una pesante minaccia per l’equilibrio finanziario internazionale.

Ultimo ma non ultimo, Mario Draghi paventa il rischio di nuovi schock per l’Europa a causa della bassa crescita, oramai si grida al miracolo per un paio di decimali di punti di PIL guadagnati, quando neanche tanto tempo fa performance così deficitarie sarebbero state accolte con disgusto (“sotto il 2,5% è crescita anemica”, sentenziava la Confindustria). Non dimentichiamo che l’Europa è la culla dell’industrializzazione e che essa storicamente ha sperimentato per prima alcuni fenomeni (crescita economica, aumento della popolazione e successiva transizione demografica, crisi cicliche, ecc) presto imitati (nel bene e nel male) in Nord America e dove si sia diffuso lo sviluppo occidentale. Analizzando alcuni trend energetici italiani per un articolo dedicato al referendum del 17 aprile, mi sono incuriosito e ho voluto confrontarli con quelli dell’intera Unione Europea, allargando poi il panorama ad altre questioni. Riporto alcune statistiche particolarmente interessanti:

Totale emissioni di gas serra dell’UE (1990-2012) Fonte: Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA), 2014

gas_serra UELe emissioni di gas serra hanno raggiunto il picco nel 1995 per poi calare sensibilmente.

consumo energiaDall’inizio del XXI secolo, i consumi energetici hanno assunto una china discendente. derivati_petrolioL’impiego di derivati del petrolio è sceso a livelli inferiori a quelli degli anni Novanta.

Cicciomessere_Tutti gli immigrati che servono all'Europa_01(1)La transizione demografica oramai è un fatto un compiuto e, malgrado i movimenti migratori, si prevedono tassi di crescita della popolazione declinanti nei prossimi decenni.

Infine, pur non disponendo di un dato aggregato delle 28 nazioni componenti l’UE, l’impronta ecologica pro capite dei paesi membri (in particolare Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia) risulta in calo, per quanto ancora molto elevata.

Ovviamente, bisogna soppesare accuratamente tali dati perché una loro lettura superficiale e approssimativa porterebbe soltanto acqua al mulino dello sviluppo sostenibile e delle teorie decantanti il progresso tecnologico e l’impatto positivo a lungo termine del PIL sull’ambiente (ipotesi della curva ambientale di Kuznets). Le principali criticità sono le seguenti:

  • questi trend ‘virtuosi’ non sono comunque sufficienti per affrontare le gravi problematiche di carattere ecologico e di esaurimento delle risorse che dobbiamo affrontare (l’impronta ecologica europea, ad esempio, è a livelli palesamente insostenibili);
  • in gran parte sono legati a dinamiche correlate alla globalizzazione, tali per cui molti settori industriali altamente energivori ed inquinanti sono stati delocalizzati in Asia e in altre zone del pianeta dove vige un basso costo del lavoro;
  • per questa ragione, computando impronta ecologica, emissioni e consumi energetici delle merci importate, qualunque presunta virtù ambientalista sparirebbe ignominiosamente.

Comunque, per quanto siano frutto in gran parte del trasferimento di esternalità e della ‘stagnazione secolare’, resta il fatto che l’Europa in stato recessivo presenta tendenze positive sul piano ecologico e le reazioni possibili a questo scenario sono essenzialmente due. La prima è simile a quella di un atleta che, entrato oramai nella fase declinante della carriera e prossimo al ritiro, non accetti l’inevitabile e tenti disperatamente di ripetere le prestazioni del periodo giovanile: si potrà sottoporre ad allenamenti severissimi, magari ricorrere al doping e ottenere ancora qualche exploit, senza però alterare un verdetto improcrastinabile e rischiando di rovinare gravemente la propria salute. Indubbiamente, le politiche attuali della UE stanno seguendo questo indirizzo, massacrando le popolazioni con politiche di ‘austerità’ e tentando vanamente pratiche ‘dopanti’ come colmare il picco degli idrocarburi attraverso lo sfruttamento di risorse secondarie (vedi ipotesi inglesi di ricorrere al fracking o la strategia di trivellazioni del governo italiano) oppure sussidiando con incentivi a pioggia le imprese affinché risollevino temporaneamente l’occupazione (vedi il famigerato Jobs Act). Siccome si tratta di una lotta titanica quanto vana, ha perfettamente ragione Renzi a parlare di ‘decrescita infelice’, dovrebbe solo precisare di essere lui uno degli indiscussi protagonisti di questa corrente di pensiero, non certo Latouche, Pallante o altri.

L’alternativa è riconoscere che, in presenza di una  tendenza sistemica, il tentativo di sovvertirla andrebbe incontro al disastro; meglio cercare di cavalcarla, prima che si trasformi in un cavallo selvaggio e imbazzarrito impossibile da domare. In quel caso, ci si imbatte in due problemi fondamentali:

  • valorizzare i trend positivi sul piano ecologico, dando concretezza alle ‘virtù’ per ora dovute al trasferimento di esternalità e alla recessione;
  • ipotizzare forme di solidarietà sociale diverse dai classici meccanismi basati sulla redistribuzione della crescita economica.

Facile a dirsi, molto complicato nei fatti. La crescita economica, nel sistema economico capitalista (e in misura differente anche nel socialismo reale) è servita per tamponare le gerarchizzazioni sociali e per rendere tollerabili e persino auspicabili misure come il lavoro salariato, che agli albori dell’industrializzazione erano ritenute inaccettabili forme di sfruttamento. Se la ricerca della crescita nella stagnazione secolare significa sottoporsi al più grande progetto di darwinismo sociale della storia, cavalcare la tendenza sistemica esige di condannare a prescindere tutte quelle storture che, venuta meno l’azione lenitrice della crescita, assumerebbero proporzioni spaventose – si pensi alla disuguglianza, che negli ultimi vent’anni è aumentata in parallelo al crollo dei tassi di crescita. Richiede inoltre una ridefinizione del concetto di lavoro e del rapporto dell’individuo con la comunità; in ultima analisi, si impone un ripensamento generale delle forme di partecipazione politica.

Non è qualcosa che si possa chiedere ai governanti attuali, i quali però possono distinguersi  per il grado di ostinazione o ragionevolezza nell’accettazione del declino e del relativo degrado ecologico, intraprendendo misure più o meno utili per un cambio di paradigma. Una cosa è certa: la condotta alla Renzi, che invita a ‘credere negli investimenti e in chi crea ricchezza’, promuovendo lo sfruttamento intensivo di fonti fossili, la realizzazione di ‘grandi opere’ e inneggiando all’élite neo-aristocratica dei vari Marchionne, rappresenta la via più diretta e dolorosa per l’infelicità. Per quanto il nostro istrionico premier ami dileggiare la decrescita felice, egli – con il suo ingenuo ottimismo e la sua presunzione – calza a pennello come paladino della decrescita ‘infelice’, di chi prova a conservare il sistema esistente indifferente ai richiami della realtà, pur avendo sempre in bocca la parola ‘cambiamento’.

Immagine in evidenza: Matteo Renzi (fonte: Wikipedia)

 

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

1 commento

  1. la cosa piu bella di questi ultimi tempi è che il movimento per la decrescita comincia a far paura davvero; dunque stiamo facendo le cose giuste

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