Decrescendo & decostruendo / Riotta il censore e il declino dell’Italia

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Come ogni bravo professore, sprono sempre i miei studenti a leggere i quotidiani e guardare i telegiornali, in realtà saranno anni che non compro una copia cartacea e non sono esattamente un appassionato dei TG – preferisco altri veicoli di informazione. Quest’estate, mentre ero in spiaggia comodamente sdraiato sul lettino, ho intravisto una copia de La Stampa, buttando svogliatamente l’occhio sulla prima pagina e sull’editoriale di Gianni Riotta Se la colpa del declino è di tutti noi… e dopo averlo letto mi sono sentito in effetti molto colpevole, ma non per le medesime ragioni dell’autore di questo capolavoro: mi sono pentito di non aver usato meglio cinque preziosi minuti della mia esistenza.
Di solito in questa rubrica decostruisco articoli di critica alla decrescita o apologia della crescita; questa volta invece ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso, una via di mezzo tra un sermone e una filippica condotta da un pifferaio dell’ideologia dominante. Come al solito tra parentesi in corsivo i miei commenti al testo.

Se la colpa del declino è di tutti noi, La Stampa, 8 agosto 2014
L’Italia è sperduta in un sogno domestico. «Piccolo è bello», aziendine che non esportano, le multinazionali «rubano», vanno all’estero, meglio boicottarle.

(Riotta decide di usare un’ironia sferzante… l’ironia, non dimentichiamolo, è figura retorica per cui si esprime un messaggio opposto al significato letterale – ad esempio: “bravo, continua così!” , per dire a uno di piantarla – Quindi, tradotto dall’ironia, significa: le aziendine che non esportano – cioé la stragrande maggioranza in un paese normale – devono chiudere e essere inglobate da multinazionali che, pur delocalizzando la produzione all’estero, vanno sostenute con entusiasmo. Forse sono troppo perduto nei miei sogni domestici, ma a me tutto ciò sembra sadomasochismo economico)

La tecnologia non paga tasse «perché» crea ricchezze immateriali, siamo popolo di Bulloni e Cravatte, roba «concreta».
(E questo che è? Parole in libertà? Dadaismo? A parte gli scherzi, cosa diavolo vuole dire questa frase? Evidentemente Riotta è pervaso dal sacro spirito profetico e, come capitava alla sacerdotessa Pizia dell’oracolo di Delfi invasata da Apollo, fatica talvolta a trasformare le intuizioni dello spirito in espressioni di senso compiuto)

I «diritti» sono «diritti» e includono i «nostri» tempi, lenta giustizia, lento Stato, scarsa scuola, zero produttività, scioperi selvaggi vedi caos valigie a Fiumicino d’agosto e umilianti certificati medici che fioccano per fermare l’Etihad che compra Alitalia, come se i guai della compagnia non avessero molti complici, politici, manager, sindacati.
(Notare come Riotta mischi un concetto positivo, i diritti e la loro rivendicazione, ad altri negativi come la lentezza della magistratura e l’inefficienza della scuola, sottintendendo che siano i diritti delle persone la causa dell’inefficienza. Quanto ai politici, manager e sindacalisti che hanno contribuito ad affondare Alitalia… a suo tempo li hai denunciati tutti con il tuo serio giornalismo d’inchiesta all’americana, vero Gianni?)

La meritocrazia va scoraggiata, «siamo tutti uguali», dall’asilo alla pensione precoce.
(Sul discorso del merito invece non metto assolutamente in dubbio la buona fede di Riotta, il quale più volte ha dimostrato di essere un grande estimatore della meritocrazia. Indimenticabile al riguardo fu un’edizione del 2009 del TG1 – diretto all’epoca dal nostro eroe – durante il disastro del terremoto in Abruzzo, quando la conduttrice venne incaricata di riportare gli ascolti record del telegiornale. E che cavolo, mica siamo tutti uguali!)

L’economia globale non è «all’italiana», meglio Slow Economy, chilometro 0 nel lavoro e nella vita.
(Meglio la fast economy e la distruzione del pianeta! E al diavolo la famiglia! Certo che il buon Riotta, se avesse fatto il giornalista e non avesse indossato i panni di Catone il Censore, avrebbe letto i rapporti ISTAT scoprendo che la produzione industriale nel trimestre considerato è addirittura aumentata, quindi il discorso degli italiani pelandroni non regge)

Tasse altissime, ma chi le paga è uno straccione o un fesso no?
(L’Amministratore Delegato dell’azienda proprietaria del giornale su cui scrive Riotta risponderebbe sicuramente ‘fesso’… Marchionne, infatti, come dimostrato da Report – e non dal TG1 con o senza Riotta, guarda un po’ il caso – paga una quota di tasse ridicola in Italia)

I nostri padri e nonni, mezzo secolo fa, varavano Autostrada del Sole e Metropolitana di Milano. Oggi non vogliamo infrastrutture che, si sa, creano mazzette per corrotti e mafiosi, rovinando la natura.
(Ammetto di non comprendere molto bene il black humor e forse qui siamo di fronte a uno di questi casi… se dobbiamo limitarci a semplice ironia, Riotta vorrebbe farci credere che nelle grandi opere non sono coinvolte tangenti, mafia e degrado ecologico. Poi, detto incidentalmente, la FIAT ha interessi nella TAV e altre infrastrutture… ma non vogliamo assolutamente mettere in dubbio la deontologia e l’indipendenza professionale!
Piuttosto, vorremmo ricordare che molti dei nostri padri e nonni hanno assistito anche alle tragedie del Vajont o della Valtellina dovute al mancato rispetto dei vincoli del territorio, a catastrofi  ecologiche e sanitarie come quelle provocate dalla industria ICMESA di Meda – passato alla storia come il disastro della diossina di Seveso – o dell’Eternit di Casale Monferrato; hanno vissuto l’epoca di Tangentopoli e dello scoperchiamento degli interessi economici mafiosi nell’edilizia e nelle infrastrutture. A differenza di certi giornalisti, quelle generazioni e i loro discendenti non sono rimasti fermi a mezzo secolo fa)

Nel caleidoscopico sogno, l’economia italiana è la peggiore in Europa, non cresce da 14 anni, i salari sono fermi dall’euro, il presidente Bce Draghi conferma che neppure Freud investirebbe un cent in un paese onirico.
(Invasato da uno spirito profetico, Riotta esagera i già critici dati macroeconomici italiani, che parlano di un economia in recessione dal 2008, non dal 2000. Quando agli investimenti esteri, Etihad che cos’è? E cosa dire degli ingenti investimenti cinesi degli ultimi due anni?)

Alitalia era gioiello di stile, saltata Air France chi fa la guerra a Etihad spera forse di tornare alle uniformi chic delle Sorelle Fontana?
(Per fortuna che’AD di Etihad James Hogan ha già annunciata un’Alitalia più sexy! Spero non a partire dalle hostess)

I nostri marchi vanno così ai saldi uno dopo l’altro, lusso, industria, servizi. Di chi è la «colpa»? Online, talk show, giornali e bar niente dubbi, «Dei politici», come se non li eleggessimo noi, destra, sinistra, 5 Stelle. Se qualcuno tra lettrici e lettori ha voglia di ragionare da sveglio, dopo le ultime penose notizie sul Pil, la virtuale recessione e la conferma di Draghi che se non cambiamo e subito, investimenti non ne arriveranno più (altro che certificati medici romani…), il quadro cambia.
(Può darsi che la classe politica sia lo specchio del paese che la elegge… ma un giornalista che ha lavorato per testate prestigiose dell’editoria stampata e televisiva forse ha più potere dell’uomo della strada, non credi Gianni? Vado a memoria ma grandi tirate alla classe politica da parte tua non me le ricordo… e perché non fai qualche nome? Più facile prendersela con il popolo-bue?
Inoltre si noti che, malgrado l’intento dichiarato dell’articolo sia di incitare il risveglio morale del popolo italiano, si immagina esclusvamente un riscatto tramite investimenti stranieri. Con le sue sole forze il paese non va da nessuna parte)

Calderon de la Barca scriveva nel 1635 che «La vida es sueño», ma l’economia – purtroppo – no. La narrazione notturna che noi italiani facciamo a noi stessi parla di qualità della vita, solidarietà, famiglia, servizi pubblici gratuiti, imprenditoria, artigianato.
(Narrazione notturna? Ma facci capire Riotta: volontariato, ricerca del benessere per sé e le proprie famiglie, imprenditori, artigiani e quei pochi politici che cercano di assicurare dei diritti fondamentali ai cittadini… sono valori negativi come spacciare droga o rubare?)

La realtà parla di disoccupazione giovanile al 47%, al Sud 60-70%: quando un ragazzo arriva a 30 anni e non ha mai avuto responsabilità integrarlo in un laboratorio di innovazione non è difficile, è impossibile. Centinaia di migliaia di giovani non studiano né lavorano, abbiamo la colpa morale di perdere una generazione, i migliori, caparbi, a cercarsi la strada da soli, i peggiori, lividi nel risentimento online. Parlate con i nostri laureati che spillano birra nei bar di Londra, affettano pane nei bistrot di Parigi e svernano da travet a Monaco per capire. La verità è semplice e durissima: l’Italia tutta, dai vertici alle periferie, ricchi e poveri, classe dirigente e lavoratori, non funziona nell’economia globale, non crea lavoro e ricchezza, perde comunità e valori.
(Più crescita, più occupazione, il ragionamento non fa una grinza… o forse sì. Diamo un’occhiata ai dati de Il mondo in cifre 2014 edito da The Economist:

PAESE            CRESCITA ANNUA 2006-10     DISOCCUPAZIONE 2010-11
Italia                              -0,6%                                       8,1%
Francia                           0,5%                                       9,1%
Germania                        1,2%                                       8,5%

La semplice esposizione dei numeri non spiega granché, se non che la correlazione diretta crescita-occupazione è una bufala. Sull’emigrazione dei nostri concittadini potrebbe rientrare un discorso legato al diverso grado di precarietà del lavoro nei tre paesi, ai differenti sistemi di protezione sociale, alla qualità dell’offerta di lavoro; probabilmente la condizione di disoccupato o sottoccupato in Francia e Germania è più vivibile che da noi. Forse analizzare le cause sarebbe un compito da giornalista, invece di scrivere paternali)

Lo so, il terzo delle piccole imprese che esporta se la cava, ma i due terzi affondano. Lo so, ci sono casi brillanti di manager e marchi, grandi o piccoli, Luxottica, Cucinelli, Cantine Settesoli, ma da soli non cambiano la corrente.
(Raramente nella mia vita ho assistito a manifestazioni così orgogliosamente aristocratiche di classismo ed elitarismo. Se tu sei artigiano, contadino, operaio, lavoratore autonomo, medico, pratichi volontariato, mandi avanti una famiglia… sei nessuno, un fallito che non aiuta il paese. Per essere qualcuno devi fare il manager, oppure gestire un brand apprezzato dalla super-élite – oppure scrivere editoriali per La Stampa)

Il mantra è «riforme di struttura», agenda di innovazione, giustizia, scuola e laboratori, fisco, produttività, export, apertura delle professioni, mercato del lavoro, rilancio domanda (ieri su Repubblica Federico Fubini stila con acribia il da farsi).
(Un articolo candidato per questa rubrica… grazie Gianni!)

Ma perché, malgrado gli sforzi di Monti e Letta, Passera e Padoan, Renzi, Padoan e Del Rio, l’«agenda» non parte? Se per voi la colpa è solo «loro», non vi convincerò ma, finalmente, davanti al Pil negativo, Grecia e Spagna che faran meglio di noi e Fiumicino in rivolta agostana da 1976 di Aquila Selvaggia, è ora di dirsi che la colpa è «nostra».
(Meno male che Riotta ha frequentato la Columbia University Graduate School of Journalism e collaborato con New York Times e Washigton Post, assimilando in pieno il ruolo del giornalista anglosassone, instancabile cane da guardia della democrazia che passa al setaccio ogni minimo neo della politica! Qui sembra che a scrivere sia un cortigiano di Luigi XIV: “ma perché il Re è così bravo e buono e il popolo non lo apprezza?”)

Dalla Tav a Messina, dai sindacati grandi e piccini, dalle Pmi alla grande industria, dagli imprenditori alle professioni, alle lobbies e la pubblica amministrazione, noi italiani siamo imputati.
(Come al solito buttiamo tutto in in un gran calderone, che tanto stiamo facendo quattro chiacchiere al bar, mica siamo sulla prima pagina di uno dei maggiori quotidiani nazionali! In particolare cosa c’entrano la TAV e ‘Messina’?– immagino si debba leggere ‘il ponte sullo stretto’. Ovviamente il ‘declino’ è da imputare anche alla resistenza contro le grandi opere inutili, condotte da popolazioni apatiche e nullafacenti che per l’occasione si riscoprono stranamente attive)

Siamo come la Nazionale azzurra in Brasile, vecchie glorie e coppe impolverate in bacheca, in campo risse, niente gioco, sconfitte.
(Ma sì dai, tiriamo in ballo anche il calcio! In fondo tutto il popolo italiano è fatto di milionari svogliati)

Se Matteo Renzi ha fatto qualcosa di positivo fin qui è stato provar a scuotere i cittadini dal torpore malinconico in cui sprofondano. In un suo classico saggio del 1959 – vigilia di boom economico e Dolce Vita – «La fine del mondo antico», lo storico Santo Mazzarino ammoniva: Roma comincia a declinare assai prima dei Barbari, quando classi dirigenti e intellettuali cadono nella depressione da «declino». Secoli prima che l’Impero crolli, la sua forza morale si esaurisce, perché il «declino» si nutre di se stesso.
(Insomma, noi italiani siamo troppo depressi e malinconici, oltre ad aver esaurito la nostra forza morale – cosa che spinge Riotta il Censore a sferzarci severamente. Peccato che solo qualche riga prima eravamo dei beoti felicemente immersi in strane ‘narrazioni notturne’… si vede che di giorno siamo malinconici e di notte ci imbottiamo di antidepressivi, non c’è altra spiegazione. Siamo un popolo di bipolari)

È questo il male peggiore del Paese nella dispeptica estate 2014, siamo rassegnati a declinare senza batterci e gli appelli del premier non bastano più. Nell’amarissima predica del Venerdì Santo 2005, il futuro Papa Ratzinger disse di temere perfino per la barca della Chiesa. Bergoglio cambia l’umore subito, con sorriso e speranza, «siate felici senza far proseliti, non siate di cattivo umore!» e vara riforme radicali.
(Da persona non credente e non troppo amante della Chiesa cattolica, ho sempre pensato che l’avvicendamento al soglio pontificio sia da ascrivere al carattere non esattamente da icona mediatica del prelato tedesco, ma non mi sono mai spinto come Riotta a dipingerlo come un musone depresso! Sono anche andato a cercare il discorso in questione, dove semplicemente Benedetto XVI ripeté uno dei consueti anatemi contro il relativismo. Quanto alla frase virgoletta di Bergoglio – che stando a Riotta ha il merito principale di praticare un pontificato stile dipendente di Mcdonald’s, sempre con il sorriso stampato in bocca – non risulta da nessuna parte. Ho trovato invece questa dichiarazione di Papa Francesco, che non mi sembra portare acqua al mulino del giornalista: “È provato che con il cibo che avanza potremmo dar da mangiare alla gente che ha fame. Quando lei vede le fotografia dei bambini denutriti in diverse parte del mondo, le scoppia la testa, non si può capire. Credo che viviamo in un sistema economico mondiale che non è buono. Al centro di tutto il sistema economico deve esserci l’uomo e la donna, e tutto deve essere al servizio dell’uomo. Ma noi abbiamo invece messo al centro il denaro, il dio denaro. Siamo caduti in un peccato di idolatria, l’idolatria del denaro”. Chi lo sa, magari dopo la proclamazione anche Bergoglio venendo in Italia è stato colpito dalla sindrome del declino…)

Se cambia così un’istituzione che ha 2000 anni ed è, davvero, «globale» perché non un Paese che vanta la terza economia dell’Unione Europea e la sesta manifattura del pianeta?
(Ma come? Fino a un secondo fa l’Italia era stata trascinata nel baratro dalla sua popolazione indolente, era stata umiliata da Spagna e Grecia, e invece può vantare questi assi?)

Le riforme non richiedono né tecnici visionari come Lord Keynes, né politici mitici come F. D. Roosevelt: richiedono a noi cittadini di accettare il cambiamento con umiltà, consapevoli che non si vendono più automobili, cibo, servizi, artigianato, turismo, biglietti aerei, abbigliamento «all’italiana», ma competendo ad armi pari nel mondo.
(Ma cosa significa esattamente ‘competere ad armi pari nel mondo’? In tutta questa filippica non si capisce granché, se non che la gente deve rinunciare ai diritti sul lavoro, a una vita slegata dalla professione e all’idea che esista un’imprenditoria non multinazionale. Quanto all’accettare ‘con umiltà’, una cosa è certa: non è gente come Riotta che rischia di essere particolarmente colpita dalle ‘riforme’, quindi mi sembra un modo molto facile di predicare)

«Riforme» vuol dire prezzo da pagare a breve e vantaggio futuro: per volerle servono speranza, entusiasmo, consapevolezza che i figli valgono quanto i padri, coraggio morale. Solo se speranza e coraggio saranno risvegliati in noi, le riforme saranno attuate, il Pil ripartirà e i giovani lavoreranno: altrimenti la recessione, il «declino» se volete, non si fermerà, nella cacofonica, isterica, furbetta, guerra di opposte propagande.
(E’ possibile che in questa decostruzione abbia indugiato eccessivamente sull’aspetto ‘morale’ della vicenda, ossia il fatto che l’ultragarantito e facoltoso Riotta, giornalista pagato da una multinazionale, si sia elevato a nuovo profeta Isaia, censore dei costumi corrotti degli italiani. Italiani che tra l’altro non voglio certo presentare come modello di virtù, anzi, ma per motivi diversi da quelli di Riotta, ad esempio lo scarso spirito di cittadinanza e un provincialismo campanilista capace di sfociare nel razzismo più bieco.
Cercando di astrarre al di là dell’autore, mi sembra evidente che il pezzo rifletta in pieno lo spirito del capitalismo neoliberista, il quale, presentandosi obiettivo ed estraneo ‘alle opposte propagande’, in realtà dimostra un tasso di ideologismo fuori dal comune, cercando di instillare il senso di colpa nella popolazione incapace di essere abbastanza competitiva, di non riconoscere l’evoluzionismo di mercato come logica di vita, di rimanere ancorata a valori inutili come la famiglia, il rispetto dell’ambiente, l’uguaglianza e la necessità di tutelare chi non ‘merita’. E se anche la crescita dovesse riprendere e i giovani lavorare – come profetizza Riotta – il contesto da legge della giungla in cui ciò accadrebbe sarebbe un effetto collaterale accettabile?
Lo slogan di Rosa Luxemburg era ‘socialismo o barbarie’, quello di Riotta sembra più che altro ‘crescita e barbarie’. Difficile immaginare un ‘declino’ peggiore)

Fonte immagine in evidenza: rielaborazione personale immagine Wikipedia

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

5 Commenti

  1. Dato che “il medium è il massaggio” diceva Marshall Mcluhan (nel senso che il medium massaggia, rincuora, consola il lettore-telespettatore [lo studioso si rfieriva soprattutto alla televisione ma il discorso penso che vada bene per tutti i media]) significa che questo articolo ha gratificato, ha consolato, rinforzato le idee, i valori, i modi di pensare e di agire dei lettori de “La Stampa”.
    Che le cose dette siano vere o meno non importa!
    Ma poi ( purtroppo per tutti) la storia farà giustizia!!

  2. Mi spiace di non avere letto la versione integrale dell’articolo di Riotta.
    Da quello che scorgo, leggendo i brani riportati da Igor, penso che lo scritto del giornalista de La Stampa si presti a piu’ chiavi di lettura.

    La Stampa, si sa, è della famiglia Agnelli. Dunque si tratta di un giornale assolutamente ben introdotto nella “logica” del sistema.
    Che Riotta, guardi in filigrana il sistema, col piglio di chi vuole affermare il contrario e dica quello che dice, ci può anche stare.
    Però è un fatto che metta in fila una serie di negatività che bene danno il quadro della realtà.
    Il tono assertivo negativo del tipo: “per forza che va male: questo è un paese di incapaci”, in realtà mette a nudo la debàcle italiana.

    Chi pensa in modo sistemico, ritenendo che le cose di oggi siano la somma di quanto si è sedimentato nei mesi, negli anni, nei secoli, non può non vedere nella contemporaneità il fallimento storico delle classi dirigenti di questo Paese.
    Non può non scorgere negli enormi squilibri territoriali, nella precarietà e frammentazione dell’economia, nelle forti disuguaglianze tra le classi sociali l’assoluta anarchia che ha consentito questa deriva.

    Riotta, a modo suo, ne prende atto.
    Il quadro , a tinte fosche che dipinge, indipendentemente da ciò che vorrebbe dimostrare, sono il segno evidente di un fallimento annunciato.
    Fallimento che, quantomeno, data da un secolo e mezzo: da quando, cioè, è nata l’Italia unitaria.
    Fare del sud una colonia, privilegiare il nord quale “motore” dello sviluppo in quanto territorialmente vocato a connettersi con l’Europa continentale, decidere a tavolino delle sorti di centinaia di migliaia di contadini, di mezzadri, di braccianti trasformandoli in migranti al servizio delle industrie del nord, congestionare i grandi centri urbani del triangolo industriale, sono state scelte che hanno lasciato il segno.
    Ed è stato un rincorrersi tra necessità di competere coi paesi piu’ sviluppati d’Europa ( Germania, Francia, Inghilterra) ed esigenza di garantire, comunque, un welfare state che rendesse possibile la “coesione sociale”; soprattutto nelle regioni che piu’ pesantemente hanno pagato per questo disegno.

    L’Italia arriva tardi e male al capitalismo.
    Già nel ‘600 era un paese arretrato, con una agricoltura estensiva, quando nel resto dell’Europa riformata il reddito agrario era piu’ che doppio, rispetto a quello della gran parte degli stati italiani.
    A Riotta, parafrasando una frase retorica, si potrebbe ricordare che: “tutti i nodi vengono al pettine”.
    C’è sempre un “pettine” che, percorrendo i “capelli” rintraccia anche quanto sfugge alla mano frettolosa che li accarezza.
    I “nodi” della storia li si ritrova tutti: magari indistinti, con-fusi tra piu’ situazioni calcificate ma pure presenti.
    Non importa perchè Riotta abbia scritto quello che ha scritto.
    Però l’ha scritto.

    • L’articolo di Riotta è assolutamente completo, non riporto mai solo estratti in questa rubrica perché mi si potrebbe accusare di prendere frasi fuori contesto.
      Sicuramente Riotta è un’intellettuale ‘responsabile’, come direbbe Chomsky, quindi quando parla manda messaggi che rappresentano bene l’establishment che gli mette la penna in mano. Da quel punto di vista, lui ha ragione nel suo predicozzo.
      Però, sapendo appunto cosa e chi rappresenta, il suo pensiero va decostruito. Se lui dice che gli italiani non riescono ad adattarsi alle condizioni del capitalismo globalizzato neoliberale, questo per chi non condivide questa ideologia deve essere una sorta di complimento.

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