Il deconstructing è una tecnica per cui, attraverso un’attenta opera di analisi, si cerca di smontare il significato di un testo, apparentemente immediato e legittimo, allo scopo di farne emergere la fallacia, l’incoerenza e gli stereotipi su cui in realtà si basa; è stato spesso usato dalla critica femminista per evidenziare il sessismo che permea gran parte della cultura e dei media. In questa sede vorrei applicare tale metodo ad alcuni testi apologetici della crescita economica: la prima vittima è Sandro Trento, docente di Economia presso l’Università di Trento. In corsivo sono contenuti i miei commenti all’articolo, mentre i grassetti sono presenti nel testo originale. (Ove non indicato altrimenti, i dati statistici sono stati reperiti da Il mondo in cifre 2014 redatto dall’Economist).
La crescita economica resta la priorità – Sandro Trento, blog de Il Fatto Quotidano, 28 ottobre 2013
L’economia italiana non cresce da circa venti anni ma secondo alcuni questo non è un problema, perché anzi bisognerebbe rifiutare la logica dello sviluppo e della crescita, cambiare modello e porsi altri obiettivi. Vale la pena allora dire due parole, forse banali per alcuni, ma sicuramente utili per rispondere a chi sostiene che non dovremmo più preoccuparci della crescita economica. (Inizia la sfida per vedere se prevarrà l’utilità o la banalità!)
La crescita del prodotto (crescita economica) è davvero un indicatore sbagliato?
Gli economisti sono troppo interessati al benessere materiale e dimenticano altri indicatori come la qualità dell’ambiente o il benessere psicologico? (No, non tutti gli economisti. Anche tra quelli di orientamento tradizionale, Joseph Stiglitz, Amartya Sen, Jean-Paul Fitoussi hanno contestato il Pil come indicatore di benessere: forse bisognerebbe dire due parole banali anche a loro?)
Quale sono i benefici della crescita economica?
Va detto innanzitutto che noi italiani, europei, occidentali, siamo talmente ricchi che diamo per scontati tutta una serie di fattori legati alla ricchezza economica. Se parlassimo con gli abitanti del Mozambico o del Laos scopriremmo come molte cose che per noi sono garantite, per loro non lo sono per niente. (Al diavolo il rigore intellettuale, l’economia mica è una scienza! Chi critica la crescita economica fine a se stessa non contesta, necessariamente, l’abbondanza e la ricchezza, entro limiti socialmente ed ecologicamente compatibili. Le stesse persone contrarie a un’ulteriore crescita dell’Italia saranno presumibilmente favorevoli a quella del Mozambico e del Laos, che anzi per crescere – due parole ‘banali ma utili’, caro Trento: la Terra non è infinita – avranno bisogno che paesi già sviluppati come l’Italia restino almeno stazionari. Comunque, nel decennio 2001-2011 il Mozambico tanto vituperato è cresciuto del 7,3% all’anno, lo sapeva? E secondo i dati dell’Indice Globale della Fame 2013, il Mozambico ha un indice di denutrizione decisamente superiore a quello del paese con la più bassa crescita economica del mondo, cioé lo Zimbawe – 21,5 contro 16,5)
Prendiamo la “speranza di vita”. La speranza di vita, cioè il numero di anni che in media ciascun abitante di un certo paese alla nascita potrà attendersi di vivere, dipende dal reddito economico e cresce al crescere del reddito nazionale. Le ragioni sono in parte ovvie: i cittadini di paesi ricchi (come l’Italia) hanno un’alimentazione migliore, hanno accesso ad acqua e ad alimenti in abbondanza, sono vaccinati contro una serie di malattie, vivono in città con sistemi fognari, e hanno sistemi sanitari e farmaci molto avanzati. Questi fattori riducono la mortalità infantile, allungano la vita degli adulti e consentono di curare le persone nel corso della vita. Il risultato è che la speranza di vita in Italia sia tra le più alte del mondo. Nei paesi ricchi le case sono riscaldate in inverno e spesso condizionate d’estate e questo accresce la protezione da una serie di malanni. (Non c’è dubbio: Trento merita di essere annoverato come il Dottor Sottile del XXI secolo! E’ persino riuscito a dimostrare che è meglio essere ricchi che poveri, impresa mai riuscita ai maggiori intellettuali della storia! Comunque la nazione più ricca del mondo, gli Stati Uniti, sono al 46° posto per speranza di vita – peggio, ad esempio, di Costa Rica, Cile e Cuba – e leader indiscussi nella classifica dell’obesità)
Ma la speranza di vita dei cittadini dei paesi avanzati cresce anche per motivi meno ovvii. Una ragione è legata al fatto che nei paesi avanzati si registra un progressivo aumento dei posti di lavoro nei servizi e una diminuzione dei posti di lavoro in agricoltura e nell’industria. Nei paesi più ricchi quindi si riduce via via la quota di popolazione che svolge lavori faticosi e pericolosi. Anche nei lavori domestici l’uso di elettrodomestici riduce la fatica e quindi il rischio.
Il benessere economico, cioè l’aumento del Pil, accresce la speranza di vita.
La vita diventa più lunga a seguito del benessere economico ma diventa anche più piacevole. Gli indici di sviluppo umano (Hdi) mostrano che i paesi più ricchi hanno cittadini più in salute, più istruiti, che faticano meno per vivere. (Questo è vero per i paesi a industrializzazione matura che hanno avuto una crescita lineare e costante. Se la smettesse di inventare l’acqua calda – cioé di scoprire che la ricchezza è meglio della povertà – e ragionasse invece sull’esponenzialità dei tassi di crescita, Trento scoprirebbe cose interessanti. Basta aprire i rapporti dell’Onu sullo sviluppo umano, invece di citarli a vanvera, e constatare che nessuno degli amati Brics appare nelle prime trenta posizioni, mentre il solito Mozambico, Sudan, Bangladesh, Afghanista, Pakistan – tutte nazioni che nel 2001-2011 sono cresciute con tassi superiori al 6% annuo – sono stabilmente in fondo alla classifica)
Nei paesi più ricchi c’è meno lavoro minorile. Nei paesi poveri (reddito pro-capite tra 500 e 1000 dollari all’anno) il lavoro minorile è tra il 40 e il 50 per cento. Il lavoro minorile non è frutto di genitori crudeli ma è il risultato della povertà. Quando una famiglia è povera tutti sono spinti a lavorare, anche i bambini. (No! Ma davvero? E io che pensavo che i figli dei miliardari non andassero a lavorare in miniera perché i loro genitori erano più buoni di quelli dei poveri! Anche in questo caso, comunque, quello che dovrebbe essere un serio ricercatore abbonda di luoghi comuni. Il Global Slavery Index ci presenta una realtà molto più varia e complessa, dove economie emergenti come quelle di India e Pakistan presentano una situazione più grave di Somalia, Congo, Burundi, Etiopia e Malawi, ossia i cinque paesi più poveri del mondo)
Nei paesi più ricchi i lavoratori sono più produttivi e quindi possono lavorare meno ore per poter raggiungere un reddito soddisfacente e questo fa sì che anche il tempo libero è maggiore. Intere industrie, dal turismo, alla ristorazione, ai video giochi, prosperano nei paesi ricchi proprio perché le persone hanno reddito alto e molto tempo libero. (Forse sono scemo io – più leggo questo articolo più mi viene il dubbio – ma mi sembra che la ricetta economica degli economisti alla Trento per ridare competitività all’Italia sia quella di farci lavorare di più e in condizioni più precarie, non ho mai sentito tutto questo elogio dell’ozio da parte dei vari Ichino, Fornero, ecc.. Questi sacrifici vanno fatti, dicono, per rispondere alla crescita dei paesi ‘emergenti’ dove la forza lavoro – bambini compresi – di tempo al ristorante o ai videogiochi ne passa veramente poco…)
In Francia, Italia, Germania, Regno Unito e Giappone, ad esempio, i lavoratori lavorano 1.000 ore in meno all’anno rispetto a quanto avveniva nel 1870. Anche nel lavoro domestico, l’aumento di tecnologie moderne (lavatrici, forni a micro onde etc.) consente di avere più tempo libero. (Nelle nazioni citate, caro Trento, c’è anche stato un forte movimento sindacale che si è battuto per il miglioramento degli standard lavorativi, riduzione dell’orario di lavoro compresa; un movimento non molto gradito dagli apologeti della crescita dell’epoca. Comunque Stati Uniti e Giappone risultano tra le dieci nazioni dove si lavora più ore all’anno, a dimostrazione che non esiste una correlazione diretta più ricchezza=più ozio).
Ma un aspetto che forse molti trascurano è il nesso tra reddito e inquinamento. All’aumentare della ricchezza di un paese diminuisce l’inquinamento. Dasgupta, Mody, Roy e Wheeler “Environmental regulation and development: a cross country empirical analysis” World bank policy research working paper n. 1448, april 1995, 20 mostrano come i paesi con i migliori indicatori ambientali (più basso inquinamento dell’aria, dell’acqua etc.) sono quelli più ricchi. I paesi più ricchi infatti possono adottare tecnologie più moderne, meno inquinanti, possono usare prodotti di qualità migliore che comportano minore distruzione ambientale etc. (Senza nulla togliere alla ricerca citata da Trento – che, si badi bene, risale a diciotto anni fa – lo studio più affidabile riguardo alla capacità di una nazione di affrontare la problematica ecologica è l’Enviromental Performance Index, costantemente aggiornato dall’università di Yale. Nell’edizione del 2012, il ranking stabiliva che la nazione più ricca del mondo, cioé gli USA, sono solo al 49° posto, mentre il Costa Rica è quinto tenendosi dietro Francia, Italia e Gran Bretagna. Dei Brics, solo il Brasile si salva un po’ – 30° – mentre gli altri sono dei disastri ecologici)
La graduatoria dell’Organizzazione mondiale della sanità sull’inquinamento urbano conferma questo legame tra reddito pro capite e migliore qualità dell’aria nelle città: le città cinesi o indiane sono molto più inquinate di quelle europee o americane. Ma le città americane o quelle tedesche sono molto meno inquinate di quelle italiane. (Dopo aver brillato finora con perle di inutile buon senso, ora Trento ci delizia con un altro asso nella manica dell’accademico disonesto: le statistiche riportate a caso. Il rapporto dell’OMS citato da Trento riguarda la concentrazione di PM10 nell’atmosfera, e ci indica solamente che la regolamentazione del traffico nelle città statunitensi e tedesche è migliore di quella italiana, nulla di più. L’Italia ha tante magagne, ma se non altro possiamo vantare un indice EPI migliore di USA e Germania e un’emissione di gas serra pro capite decisamente inferiore).
Servono soldi per combattere l’inquinamento e quindi per avere un ambiente più pulito. A meno che non si pensi di tornare al livello delle tribù amazzoniche, che vivono di caccia, sono nomadi..e la cui speranza di vita media è sui 30 anni. (E vai con le battutone! Facciamo un po’ di cabaret, che da comici forse si rende meglio!)
Questo nesso tra protezione ambientale e livello di ricchezza sembra contro-intuitivo e molto ambientalismo diffonde erroneamente la tesi opposto, errata.
La qualità ambientale in realtà è un po’ come il tempo libero: i paesi più ricchi sono molto più sensibili alla qualità dell’ambiente, rispetto ai paesi più poveri; così come danno molto più valore al tempo libero. La qualità dell’ambiente ha un valore più alto per i paesi ricchi che non per i paesi poveri. I paesi poveri hanno come priorità la lotta alla miseria, dare lavoro a tutti, industrializzarsi e quindi usano tecnologie più vecchie, anche se più inquinanti, adottano standard di protezione ambientale meno rigorosi. (Notare che per Trento ‘ecologia’ significa solamente adottare tecnologie innovative e più efficienti, avendo ovviamente in mente la crescita ‘verde’: è espunta qualsiasi considerazione sul consumo di risorse. Ne consegue quindi che questo articolo è di un classismo mostruoso, e un lettore ignaro ne dedurrebbe che le nazioni più povere sono quelle che inquinano di più, le ricche di meno. Nulla di più falso: a livello pro capite, le nazioni più ricche del pianeta sono i maggiori emettitori di gas serra e la loro impronta ecologica supera di due o tre volte le capacità di rigenerazione del pianeta; persino paesi emergenti come India e Cina sono su livelli decisamente inferiori: uno statunitense emette il triplo di gas serra di un cinese e ha un’impronta ecologica due volte e mezza superiore – si vedano le statistiche della IEA e del Living Planet Report. Figuriamoci se questi confronti vengono fatti con i paesi poveri. Il rispetto dell’ambiente non si giudica contando il numero di pale eoliche o di pannelli fotovoltaici).
E non è vero che solo il capitalismo inquina. L’unione sovietica era un sistema nel quale i disastri ambientali erano giganteschi. Il fatto che ci fosse il comunismo dittatoriale riduceva anzi la possibilità per la popolazione di protestare se una centrale nucleare aveva perdite radioattive. (L’Unione Sovietica, così come gli attuali Brics, era una nazione che voleva recuperare un gap tecnologico secolare con l’Occidente nel giro di qualche decennio, e ci è riuscita solo attraverso una durissima dittatura.Nella classifica dei 30 paesi a maggior crescita economica, in base al al Democracy Index dell’Economist solo alcune nazioni – come l’India o il Ghana – rientrano tra le ‘democrazie imperfette’, le altre sono tutte regimi autoritari, nonché tra i più inquinanti al mondo. Si direbbe quindi che una crescita economica rapida e massiccia comporti, proprio come è stato per l’URSS, un altissimo costo in termini di rispetto della democrazia e dell’ambiente).
Serve più crescita, quindi più reddito, per avere più protezione ambientale: auto meno inquinanti, trasporti collettivi più efficienti, prodotti riciclabili, energie rinnovabili, edifici più eco-sostenibili, cibo di migliore qualità, farmaci più efficaci, e così via. (Riciclaggio, trasporti collettivi, efficienza energetica, energie rinnovabili e agricoltura sostenibile, alla lunga portano alla riduzione del Pil, e ‘giustamente’ chi si è battuto per la crescita negli ultimi cinquant’anni è stato sostenitore del trasporto privato, dei combustibili fossili, di opere ad alta intensità energetica, della grande distribuzione organizzata. Per fortuna i sostenitori della crescita non hanno dato retta ai consigli bislacchi di Trento!)
Serve più crescita per dare lavoro ai giovani, per ridurre ancora l’orario di lavoro, per avere più tempo libero da dedicare alla cultura, ai viaggi, ai rapporti umani, all’ozio. (Ma almeno mettetevi d’accordo una buona volta: non si doveva lavorare di più per crescere? Comunque, sul punto dell’occupazione, il discorso sembrerebbe non fare una grinza: in una società della crescita, a più crescita corrisponde necessariamente più occupazione; quindi, i famosi Brics si troveranno in una situazione di netta superiorità, in termini occupazionali, rispetto alla vecchia e rigida Europa, per non parlare dell’Italia che “non cresce da vent’anni”. Beh, proviamo a fare ciò che che sarebbe, teoricamente, il mestiere di Trento – verificare le proprie teorie attraverso riscontri concreti – e allora saltano fuori dati decisamente interessanti:
NAZIONE CRESCITA PIL PRO CAPITE ($) DISOCCUPAZIONE (media 2000-2011)
Brasile 4,2% 12.590 8,7%
Russia 2,8% 13.000 7,7%
India 8,0% 1.510 4,3%
Cina 10,5% 5.450 4,1%
Sudafrica 2,8% 8.070 24,7%
Italia – 0,6% 36.130 8,1%
Da questi dati sorgono spontanee alcune considerazioni:
– anche ragionando in termini economici tradizionali, non si capisce proprio in che cosa consisterebbe il miracolo economico sudafricano;
– non esiste alcuna correlazione tra crescita e occupazione, tutto dipende dal livello tecnologico di una nazione. Paesi come l’India e la Cina, che hanno ancora vaste aree di agricoltura non meccanizzata ad alta intensità di lavoro, presentano tassi di disoccupazione più bassi di nazioni maggiormente sviluppate in questo versante come Brasile e Russia, che per altro riscontrano una disoccupazione molto simile a quella dell’Italia, malgrado crescano nettamente di più;
– il reddito giornaliero pro capite italiano è di quasi 100 dollari al giorno, cioé un’ottantina di volte superiore a quella che la Banca Mondiale ritiene essere la soglia di povertà conclamata. Invece di tanta enfasi sulla crescita, non sarebbe meglio sottolineare la vergogna di una nazione che, a fronte di un dato statistico così favorevole, presenta problemi sociali ed ecologici molto gravi?)
Serve più crescita economia per stare meglio. (Trento per tutto l’articolo, non potendo difendere la crescita per la crescita, ha volutamente confuso la crescita con la ricchezza accusando i decrescenti di essere sostanzialmente dei primitivisti. Per il resto non ha fatto altro che ricorrere a luoghi comuni e stereotipi di infimo valore, chicchiere da bar che hanno ben poco a che vedere con la ricerca).
Ha torto chi pensa che possiamo fermarci e tornare indietro. (Sempre avanti miei prodi!)
La priorità resta la crescita economica (Fino a scoppiare!)
🙂 Ho provato una gran soddisfazione a leggere il tuo articolo: credo che la difficoltà più grande di tutti noi sia proprio quella di combattere i luoghi comuni sulla crescita, perchè sono troppo radicate nell’immaginario di tutti. Nessuno di informa e tutti si lasciano trasportare dalla corrente…quando poi questa valanga di considerazioni assurde e, come mi dicesti una volta, a ben leggere davvero poco intelligenti, vengono da un professore di economia su un noto giornale, ti cascano davvero le braccia.
Che dire, a tenere il blog su Il Fatto, dovresti essere tu! 🙂
Grazie! Mi hai ricordato che devo studiare di più!
Beh Miriam, nel XXI secolo e con Internet per la verità andare a cercare dei dati corretti è abbastanza facile… certo per un prof univesitario dovrebbe esserlo ancora di più! Comunque sei troppo buona, la dedica che ho fatto a Democrazia radicale è stata quanto mai opportuna! Un saluto e auguri di buon anno!
Oh Igor! Non avevo ancora letto la dedica!!! E’ per me un grandissimo onore!!! Ma se permetti, non credo affatto di essere la tua unica lettrice…forse sono solo uno di quei lettori che ritiene giusto far sapere allo scrittore che ha apprezzato (e molto) la sua opera, soprattutto quando sente di aver imparato qualcosa. Comincerò prestissimo a leggere il tuo ultimo libro.
Che il 2014 sia per te foriero del successo che meriti e, se non è questa la tua ambizione, che ti porti comunque la luce e il colore di una buona vita, la vita che tu desideri per te.