Decostruendo Contro la decrescita #4

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Picco del petrolio

Nel capitolo ‘I limiti della crescita’ Simonetti accenna molto en passant al tema del picco del petrolio, presentandolo sostanzialmente come una teoria non suffragata da fatti, una predizione di Cassandra rimasta costantemente inavverata.

L’unica fonte utilizzata al riguardo è un altro articolo di Vaclav Smil: Peak oil: a catastrophic cult and complex realities, pubblicato nel 2006. Nuovamente, una bibliografia talmente scarna su di un argomento così controverso lascia adito a parecchie perplessità. Perché Simonetti non ha consultato i lavori di Bardi, uno dei maggiori specialisti sull’argomento, omettendo di riportare contenuti sia del libro La Terra svuotata (2011), sia gli articoli liberamente disponibili sul suo blog Effetto Risorse (già effetto Cassandra)? Perché non ha dato un’occhiata al sito the oil drum, uno dei più aggiornati in materia di petrolio ed energia?

Prima di tornare sulla questione, può essere utile analizzare l’articolo di Smil al di là dei passi inseriti in Contro la decrescita (in una nota al testo a pag. 240). A giudizio di Smil, le preoccupazioni sul picco del petrolio sono insensate sia perché nel mondo restano molti giacimenti inutilizzati (che in base ai dati del U.S. Geological Survey stima in 3 trilioni di barili) sia  perché, soprattutto, al petrolio si possono presto affiancare sicure alternative energetiche:

Technical advances—ranging from conversion of gas to liquids to increasing recoveries of coalbed methane and, perhaps already within two or three decades, to the first extraction of methane from hydrates—will gradually supply more gas. And beyond nonconventional oil and a variety of natural gases lie the challenging opportunities of harnessing renewable energy flows, above all by more efficient photovoltaics and even better wind turbines, and introducing smarter and inherently safe ways of nuclear fission.

Cominciamo riflettendo sulle risorse non sfruttate e sul petrolio ‘non convenzionale’, tematiche a cui Bardi ha dedicato approfondite analisi nel libro La terra svuotata e in vari articoli sui suoi blog.

Il problema concernente non solo il petrolio, ma tutte le materie prime sfruttate per produrre energia, non riguarda la quantità ancora disponibile, bensì la convenienza energetica, data dal rapporto tra l’energia estratta e quella impiegata per l’estrazione (EROEI o ritorno energetico dell’investimento ). Un giacimento di petrolio situato molto in profondità o off-shore, ad esempio, abbassa di gran lunga il valore dell’EROEI, diminuendo proporzionalmente il guadagno economico dell’estrattore. Bardi, rielaborando alcuni dati di Charles Hall e Vasilis Ftenakis, assegna al petrolio degli ‘anni d’oro’ – cioé ai primordi dell’estrazione intensiva – un EROEI compreso tra 50-100, mentre quello attuale lo ridimensiona a 15-20. Triste ironia della sorte, Smil nel suo articolo porta ad esempio i giacimenti situati nel Golfo del Messico, teatro del tragico disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel 2010. Lo sfruttamento di risorse a basso EROEI comporta l’aumento progressivo non solo dei prezzi ma anche dei rischi, i quali possono raggiungere proporzioni tali da rendere difficile una quantificazione monetaria.

Se pensiamo di supplire all’estrazione tradizionale con sabbie bituminose, scisti bituminosi o biocombustibili, la situazione è ancora peggiore: Bardi assegna alle prime un valore di EROEI attorno a 3-5, mentre quello di biocombustibili e scisti è prossimo a 1 o addirittura al di sotto del pareggio energetico, senza contare le gravi problematiche ambientali o la competizione con l’alimentazione umana che tali fonti sussidiarie comportano.

L’alternativa principale al petrolio resta il gas naturale, il cui EROEI è definito intorno a 20; in termini logistici è però meno pratico del petrolio, in quanto va trasportato tramite gasdotti o liquefatto e immagazzinato in apposite navi, dove va mantenuto sotto pressione, refrigerato e poi rigassificato, tutti processi energeticamente onerosi e pericolosi, perché il gas liquefatto è volatile e altamente esplosivo. Anche Smil, in un articolo del 2011 che esamineremo successivamente, ritiene non economico il gas liquefatto.

La confusione sulle ipotesi legate al picco del petrolio è aggravata dal fatto che la più importante agenzia internazionale sull’energia, la IEA, da alcuni anni conduce una sorta di gioco delle tre carte inserendo nel computo della produzione anche le risorse non convenzionali, (olio di scisto, gas condensabili, biocarburanti) strumentalizzando la realtà. L’ha ben spiegato Bardi nell’articolo La grande illusione di abbondanza, pubblicato sul suo blog ospitato dal Fatto Quotidiano, incentrato sulle osservazioni condotte dal ricercatore spagnolo Antonio Turiel sulle stime della IEA:

Vediamo di seguire il ragionamento di Turiel. Dice: ammettiamo che tutti i dati della Iea siano giusti e prendiamo per buone le sue ardite estrapolazioni. Rimane però un problema: la Iea ci parla di produzione in termini di “barili di petrolio” ovvero in termini di volumi. Ma quanta energia contengono i volumi di risorse “non convenzionali,” che sono la base delle previsioni della Iea?

Qui c’è un grosso problema: un litro di etanolo, per esempio, produce molta meno energia di un litro di petrolio. Lo stesso vale per i biocombustibili, per i gas condensabili e per le altre varie sostanze che compongono la categoria dei liquidi “non convenzionali”. Turiel prende un valore medio del 70% per la resa energetica di queste risorse e corregge il grafico della Iea di conseguenza. Ecco i risultati (figura rielaborata da Marco Pagani)

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A sinistra ci sono le previsioni dell’Iea in “barili di petrolio”, a destra gli stessi dati, in “barili equivalenti”, ovvero modificati tenendo conto della minore densità energetica delle risorse non convenzionali, tenendo conto anche del diverso “ritorno energetico” (EROEI), ovvero rapporto fra energia ottenuta e energia spesa.

Turiel ha elaborato il secondo grafico avvalorando i trend della IEA, a suo giudizio troppo ottimistici, perché il declino della produzione sarà probabilmente più rapido (5% anno e non 3%), i pozzi da sviluppare saranno utilizzabili solo per il 50% mentre quelli da scoprire potrebbero essere esagerati di quattro volte. Se ciò fosse vero, il secondo grafico andrebbe corretto in questo modo:

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Solo il futuro ci darà una risposta definitiva. In ogni caso, queste analisi ci permettono di trarre alcuni spunti importanti sulla validità degli argomenti di Smil. Dai grafici è evidente che sia la IEA, sia Bardi che Turiel sono concordi nel fissare nel 2004-2005 il picco di produzione del petrolio convenzionale e il rapido esaurimento dei pozzi a partire dal 2015.

Tutto ciò è molto importante per riabilitare la figura di Marion King Hubbert, sminuita da Smil (e quindi da Simonetti). Hubbert è il geologo statunitense che già nel 1956 aveva ipotizzato il picco mondiale intorno al 2000. Una precisione davvero rimarchevole, se consideriamo che alcuni paesi produttori, come l’Arabia Saudita, hanno spesso calmierato la produzione al fine di evitare eccessive fluttuazioni dei prezzi. Hubbert aveva già dato prova di sé prevedendo il picco della produzione statunitense agli inizi degli anni Settanta, poi realmente verificatosi.

È strano che, a otto anni dalla pubblicazione, l’articolo di Smill sia sembrato tanto convincente a Simonetti da farne il suo asso nella manica contro le argomentazioni picchiste, visti gli eventi che si sono susseguiti da allora. Lo sfruttamento dei ‘nuovi giacimenti non intaccati dall’uomo’ ha portato alla tragedia del Golfo del Messico, mentre si cerca in tutti i modi di preservare i santuari artici dalle grinfie delle trivelle. Parlare di ‘fissione nucleare intrinsecamente sicura‘, dopo l’incidente del 2011 a Fukushima, è uno scherzo di cattivo gusto. Gli idrati di metano, ben lungi dall’essere sfruttati, rappresentano una pericolosa minaccia a causa della loro liberazione nell’atmosfera dovuta allo scioglimento del permafrost. Le fonti non convenzionali e i biocarburanti rischiano di contribuire ulteriormente al degrado ambientale e alla fame nel mondo, senza fornire soluzioni concrete all’esaurimento della produzione convenzionale. E per finire, le energie rinnovabili, parola dello stesso Smil – in un altro altro articolo che esamineremo successivamente – non possono mantenere da sole una civiltà industriale delle proporzioni attuali.

Dispiace che Simonetti abbia fatto un torto a Hubbert, perché gli sarebbe bastato consultare meglio la bibliografia di Contro la decrescita per ricredersi. Alle pag.53-54 di 2052, Randers dichiara come avvenuto o imminente il picco del petrolio convenzionale, con tanto di grafico illustrativo: svista o uso discutibile delle fonti?

Simonetti non dà peso al problema del picco del petrolio perché per lui è un fatto sostanzialmente marginale: come vedremo, la sua idea è che, finito il petrolio, si userà qualche altra risorsa e il gioco è fatto. Tutto così facile? Nella prossima puntata spiegheremo che la questione è ben più complessa e problematica.

Immagine in evidenza: rielaborazione personale immagini creative commons.

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