Decostruendo Contro la decrescita #2

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Puntata uno

La critica di Simonetti nel merito delle conclusioni de I limiti dello sviluppo proviene dai seguenti tre articoli di ricerca:

Vaclav Smil:Limits to growth revisited. A review essay (2005)

Matthew A.Cole: Limits to growth, sustainable development and environmental kuznets curves: an examination of the environmental impact of economic development (1999)

Sandy Rodger: A Critique of the “World3” Model Used in “The Limits to Growth” (2010)

Analizziamoli uno ad uno.

Vaclav Smil, Limits to growth revisited. A review essay (2005)(1)

L’articolo dello scienziato ceco-cannadese (sei pagine di un documento pdf a una colonna) è l’asse portante delle obiezioni. Leggendolo si scopre che è stato Smil a indurre in errore Simonetti sulla relazione tra diminuzione della terra arabile e aumento della resa del terreno:

Declining arable land still keeps lowering food production, while in the real world there is, globally, an obscene surplus of food as epidemics of obesity affect more and more countries.

E anche i toni sarcastici sono ricalcati pari pari:

For all of this in a majestic translation you might as well reread (or you are in for an even greater treat if you have never read it) the sixth chapter of the King James version of Luke’s Gospel. As the Romans would have it, nihil novum sub sole.

Ma entriamo nel merito delle critiche, per la verità non particolarmente incisive, malgrado la repulsione verso il Rapporto che permea tutto il documento. Anzi, contravvenendo alla premessa dello stesso Simonetti in apertura del capitolo ‘I limiti della crescita’, Smil si concentra non sul modello ma sui parametri, che a suo dire raggruppano troppi macroaggregati non omogenei (passo riportato e tradotto in Contro la decrescita, pag. 62-63). Effettivamente, tale scelta si ripercuote nel margine di approssimazione del tracollo economico (la ‘forbice’ di mezzo secolo nello scenario base è abbastanza ampia), ma non inficia minimamente il ragionamento di fondo. Insomma, il dito indica la luna, ma Smil guarda il dito. Ricordiamoci che, nel 2005, anno di pubblicazione dell’articolo, non sembravano esserci avvisaglie di una crisi globale, mentre Simonetti, che ha scritto il libro dopo il 2010, avrebbe avuto tutti gli strumenti per riflettere adeguatamente, se solo avesse compreso che le previsioni del Rapporto vertono sulla fine della crescita e non delle risorse.

La critica di Smil in realtà non entra nella sostanza del Rapporto, ma diffida del metodo – l’uso del computer nell’analisi previsionale – a suo dire totalmente inadeguato allo scopo della ricerca; dopodiché nutre dei preconcetti, per così dire ‘filosofici’, sugli scopi stessi che si prefissa lo studio. A suo parere le previsioni di lungo periodo sono insensate a prescindere e per convincere il lettore propone questo esempio (espunto da Simonetti):

In 1955 it was just six years after the Communist victory in China’s protracted civil war and three years before the beginning of the worst (Maomade) famine in history, which killed some 30 million people. At that time China, under a regime unrecognized by the United States, was an impoverished, subsistence agrarian economy, glad to receive a few crumbs of wasteful Stalinist industrialization, and its annual per capita GDP was less than 4 percent of the US mean. Yet by 2005 China, still very much controlled by the same Communist party, had become a new workshop for the world, an indispensable supplier of goods ranging from pliers to laptops (no Wal-Mart, that paragon of American capitalism, without Communist China); and the fate of America’s wobbly currency depended to a large degree on China’s willingness to continue record purchases of US Treasury bills. If you are certain that you could have anticipated all of this in 1955 (or for that matter in September 1976 right after Mao’s death, or even in summer 1989 after the Tiananmen killings), then you are holding the wrong job.

Ovviamente è un paragone fuorviante, perché gli avvenimenti politici non presentano le stesse caratteristiche di regolarità dei fenomeni fisici, chimici e biologici. Tuttavia, si può stare al gioco e affermare che già nel 1955 era possibile prevedere la progressiva industrializzazione della Cina, proprio perché la Russia staliniana in trent’anni era passata da nazione quasi esclusivamente agricola a seconda superpotenza planetaria. Alla morte di Mao, le relazioni tra Cina e Stati Uniti si erano consolidate già dai tempi della presidenza Nixon, mentre nel 1989 il nuovo corso economico inaugurato da Dieng Xiaoping (celebre la sua frase “arricchirsi è glorioso”), incentrato sull’introduzione all’economia di mercato, era operativo già da un decennio, e le proteste di piazza Tiananmen rappresentarono anche una reazione a tale indirizzo politico. I maggiori esperti di geopolitica, per ciascuna delle fasi storiche indicate da Smil, avevano sicuramente elaborato modelli che comprendevano il corso dei fatti poi verificatosi.

Smil – e con lui Simonetti – sembra inoltre ignorare che il Rapporto del 1972, proprio perché non immaginava una natura umana ‘monolitica’ e omologata, aveva previsto dieci diversi scenari, a seconda della capacità di affrontare i problemi posti dalla fine dello sviluppo, miglioramenti tecnologici inclusi (ci torneremo più tardi).

Le perplessità sull’atteggiamento dello scienziato ceco-canasese aumentano proseguendo nella lettura; colpisce in particolare la sua reazione all’edizione del 2004 di The Limits to Growth (revisione autocritica dell’opera originaria compiuta dalla medesima equipe). Nuovamente, non muove alcuna obiezione nel merito della ricerca, semplicemente non crede nell’utilità pratica di questo tipo di studi:

Both the original report and its 30-year update are thus profoundly ahistorical. We simply cannot specify a distant, desirable global optimum (whatever its name: limits to growth, sustainable economy, reduced ecological footprint) and lay down technical and economic specifications tending, globally, toward that goal. Human societies are too human for such grand designs: they create miraculous advances even while tolerating incomprehensible failures.

Qui Simonetti fraintende l’accezione con cui Smil utilizza il termine ‘astorico’, intendendolo cioé come ‘antistorico’, quindi antiscientifico (‘lo stato del mondo attuale… sarebbe stato ben difficile da immaginare nel 1950’, pag. 67). Smil non si spinge a tanto, si limita a constatare che ‘le società umane sono troppe umane’, cioé del tutto indolenti di fronte alle minacce non immediate e non chiaramente circostanziate; si destano solo a latte versato, dando però prova a quel punto di grande ingegnosità:

The world always unravels as it is built a new; a polity may collapse but the underlying civilization may live on. Human ingenuity and adaptability always offer a frustrating mixture of advances and failures

In questa visione bizzarramente dialettica, studi come I limiti dello sviluppo sono pragmaticamente sbagliati (non empiricamente), inutili per fronteggiare i pericoli che vengono minuziosamente descritti: per questo sono un ‘sermone’, non nel senso che gli ha dato Simonetti – cioé di mitologia ascientifica – non c’è nulla di sbagliato nella sostenibilità e nella riduzione dell’impronta ecologica, semplicemente l’opinione pubblica è sorda a questo tipo di sensibilizzazione.

Smil non intende negare che si stia andando verso l’overshoot del pianeta, ma pensa che il genere umano affronterà il tracollo economico allo stesso modo in cui ha fatto i conti con la Grande Depressione di fine XIX secolo o la Crisi del 29:

Like all other grand empires, the Evil one was sure to collapse, but who would have, even in 1985, timed it for 1991? Like other fundamentalist fanatics, militant Muslims have never admired modernity but who would have, in 1991, forecast 9/11 of 2001? And yet these discontinuities rarely compound in a single direction: world history does not move up or down. Neither is it made of oscillations of ascent and collapse, hope and despair.

Da qui nasce il suo ottimismo per il futuro:

There is a great deal of inertia in long-range technical and social developments, and this fact allows us to look ahead with a great deal of understanding.

Non sono trentamila anni che l’homo sapiens è sulla Terra, non se l’è sempre cavata? Vuoi che non passi anche questa? Sembra un po’ una riproposizione in salsa tecnologica della scommessa di Pascal sull’esistenza di Dio: non ci sono prove concrete del futuro sviluppo tecnico, ma all’umanità conviene crederci.

Smil infatti non specifica nulla al riguardo al ‘great deal of inertia in long-range technical and social developments’. Ma Simonetti, attraverso un parallelo con un brano di Sergio Ricossa sulla transizione della civiltà umana da cacciatrice-raccoglitrice ad agricola (pag. 66), sposa in pieno la sua tesi:

…anche ammesso (e non concesso) di sapere quanto petrolio esista ancora e quando si esaurirebbe al tasso di prelievo attuale, non è detto che il petrolio continuerà ad avere la stessa, o anche alcuna, importanza. La caccia e la raccolta a un certo punto smisero di averne e l’umanità è sopravvissuta ugualmente… I difensori di World3 tendono a minimizzare queste critiche, ma il fatto è che mutamenti nell’impiego, sostituzioni fra input, aumenti di efficienza conducono a cambiamenti sostanziali, e se il modello non ne tiene conto si condanna da solo a non poter dire nulla di utile. (pag. 66-67).

Purtroppo, dall’accenno al petrolio, si comprende che la lettura dell’articolo di Smil non è servita a riportare Simonetti sulla ‘dritta via’, cioé l’approssimarsi della crisi economica e non della fine delle risorse. E, purtroppo anche per Smil, il Rapporto ha tenuto conto dell’eventuale progresso tecnologico, spesso in modo volutamente ottimistico. Se il modello World3 è ‘troppo rigido’, Simonetti lo è ancora di più. A pag. 64 scrive:

Per fare un esempio, è evidente che un elevato tasso di sostituzione tra fonti energetiche fossili e rinnovabili muterebbe completamente gli scenari contemplati nel modello.

Ciò è vero, ma in tutti i sensi. Coprire vaste porzioni di territorio con pannelli fotovoltaici, ad esempio, potrebbe significare la perdita di terreno agricolo, con il rischio che per recuperarlo vengano abbattuti boschi e foreste; problemi analoghi sorgono dalle coltivazioni dedicate alla produzione di biocarburanti. In entrambi i casi le emissioni inquinanti sono destinate ad aumentare malgrado l’uso delle rinnovabili. Senza contare che, per costruire pale eoliche e pannelli fotovoltaici, occorrono magneti e minerali rari la cui abbondanza non è affatto sicura.

Bisogna dare atto a Simonetti di aver cercato, in ossequio alla ‘dialettica storico-tecnologica’ di Smil, esempi concreti nella storia (un po’ più recenti del neolitico) che potessero servici da faro per il futuro; tuttavia, come vedremo nelle prossime puntate, si riveleranno dei boomerang contro il loro stesso autore.

Ricapitolando, dall’esame dell’articolo di Smil possiamo trarre le seguenti conclusioni:

  • l’autore esprime alcune perplessità sui principi fondanti di World3 e nutre legittime riserve riguardo ai modelli previsionali in genere e alla loro capacità di influenzare l’opinione pubblica. Tuttavia, queste posizioni avevano senso quando l’articolo è stato pubblicato – il 2005, prima del crack globale. Una volta avvenuto, vanno accantonate per capire se tale tracollo è il principio della crisi irreversibile della crescita descritta nel Rapporto;

  • Smil non sembra affatto contestare l’idea di una crisi globale, anzi, rientra nella sua concezione della storia umana come alternarsi di cicli espansivi e recessivi. Sulla base dei precedenti storici (non meglio specificati), lo scienziato ceco-canadese deduce che, anche nel caso della crisi descritta dal Rapporto, l’umanità riuscirà a trarsi d’impaccio grazie a qualche nuova tecnologia, di cui però non riesce a proporre alcuno spunto, ma che sarà talmente ‘speciale’ da non causare alcuna esternalità, diversamente dalle fossili.

Per queste ragioni lo studio appena esaminato non è sufficiente per intaccare la validità del Rapporto e suffragare i pesanti giudizi di valore di Simonetti.

Matthew A.Cole, Limits to growth, sustainable development and environmental kuznets curves: an examination of the environmental impact of economic development (1999)

Rispetto al precedente, l’articolo di Cole, è un po’ più corposo (11 pagine disposte su due colonne). Solo una paragrafo, però, è dedicata a I limiti dello sviluppo, e non è da escludere che la confusione di Simonetti tra limiti della crescita e limiti delle risorse si debba alla lettura di questo contributo. Si legge infatti alla seconda pagina:

…this model assumed that population and industrial capital would continue to grow exponentially, leading to a similar growth in pollution and in demand for food and non-renewable resources. The supply of both food and non-renewable resources was assumed to be fixed. Not surprisingly given the assumptions, the model predicted collapse due to non-renewable resource depletion.

Nel 1973, un equipe composta dallo stesso Cole e da altri ricercatori propose come confutazione parziale del Rapporto il riciclo e la sostituzione di alcune materie non rinnovabili. Per il resto, l’articolo mostra decisamente i segni del tempo (non a caso risale al 1999): si concentra sulle emissioni di anidride solforosa e ossido di azoto, per monitorare gli effetti delle normative che molti paesi occidentali avevano varato tra gli anni Ottanta e Novanta (ad esempio con l’aggiornamento del Clean air act negli USA) per contrastare il fenomeno delle ‘piogge acide’. Cole introduce il concetto di ‘curva di Kuznets’, che rappresenta l’andamento della concentrazione nell’atmosfera di alcuni agenti inquinanti dopo le normative ambientali, che in alcuni casi assume la forma di U rovesciata.

Kuznets

Simonetti, sulla base di ciò, si spinge decisamente troppo in là:

…non si può dare per scontato neppure un rapporto diretto tra crescita dei consumi e industrializzazione, da un lato, e crescita dell’inquinamento dall’altro. Le ricerche più recenti hanno infatti rivelato che non esiste una relazione univoca tra le prime e l’inquinamento, e ancora una volta è l’eterogeneità delle macrovariabili a causare gli errori. Esistono tipi di inquinamento che si riducono al crescere dei consumi e dell’industrializzazione (facendo così parlare di “curve di kuznets” per l’inquinamento’). (pag. 63-64)

Sorvoliamo sul fatto che ‘le ricerche più recenti’ proposte da Simonetti risalgano a quindici anni fa, e cerchiamo di capire perché la curva ambientale di Kuznets non è un concetto particolarmente affidabile:

In effetti, per alcune sostanze inquinanti, dopo un primo aumento, si è osservata una diminuzione grazie a un’ulteriore crescita economica; in genere si è trattato di alcune delle sostanze che inquinano aria e acqua. Così le emissioni di anidride solforosa dalle ciminiere sono dapprima cresciute con l’industrializzazione, ma sono state ridotte quando un’economia è entrata nella sua fase post-industriale. Tuttavia, a un esame complessivo, non si può sostenere la tesi della Ekc (curva ambientale di Kuznets, ndr). Infatti, anche se l’inquinamento da singole sostanze tossiche diminuisce nel tempo, aumenta in genere il dispendio complessivo di energia e di risorse. Di conseguenza proprio nelle economie post-industriali ci sono emissioni di CO2 e volumi di rifiuti imponenti, e si preleva infinitamente di più dalla natura. Le emissioni di alcune sostanze nocive diminuiscono poi anche perché i processi di produzione più inquinanti sono trasferiti in altre regioni, per esempio dall’Europa alla Cina. Infine la tesi della Ekc è contraddetta generalmente in tutto il mondo dal fatto che il vertice della curva di carico ambientale può raggiungere un livello già troppo alto prima di scendere, forse con danni irreversibili per la natura e gli esseri umani in paesi a rapida crescita (per esempio India e Cina..(2)

In effetti, gran parte dei successi dei paesi occidentali in campo ambientale derivano esclusivamente dalla progressiva deindustrializzazione e delocalizzazione in Cina e altre nazioni con manodopera a basso costo; siccome queste producono massicciamente per l’esportazione in Occidente, forse le emissioni inquinanti per la produzione e il trasporto andrebbero conteggiate in modo diverso, non su base rigidamente nazionale. Nel capitolo ‘La crescita infinita’, Simonetti in una nota al testo riporta questo commento di Peter Victor:

I cambiamenti nella composizione del PIL aiutano a spiegare come le economie di molti Paesi ricchi siano cresciute dal 1975 al 1993 di circa il 78% (…) mentre il loro fabbisogno totale di materiali è rimasto suppergiù lo stesso.

E’ il medesimo concetto applicato all’utilizzo delle risorse, ma anch’esso si spiega con il fatto che gran parte del settore industriale pesante è stato trasferito in nazioni in via di sviluppo. In ogni caso, lo studio di Cole non pregiudica minimamente la validità degli assunti del Rapporto.

Sandy Rodger, A Critique of the “World3” Model Used in “The Limits to Growth” (2010)

Veniamo allo studio più recente proposto (2010), a cui Simonetti rimanda in una nota a questa frase:

Ma la critica più importante [al modello World3, ndr] è stata quella di non avere inserito nel modello né l’innovazione tecnologica né i prezzi. (pag. 64)

Quanto è importante questa critica – molto spuntata, riguardo all’evoluzione tecnologica – per la validità generale del Rapporto? Da come ne parla Simonetti, si presumerebbe che anche Rodger appartenga alla scuola di chi considera lo studio ‘astorico’, ‘nulla più di una predica’. Leggiamo allora cosa scrive nell’introduzione alla ricerca:

The Limits to Growth was a seminal publication in the early 1970s, when it was becoming apparent that mankind’s growth in population and wealth might exceed planet earth’s capacity. In critiquing the modeling used in The Limits to Growth, this essay considers both the modeling itself, and the context into which it fell in terms of public communication, acceptance, and ultimately action.

Nearly 40 years later the modeling has proved to be strikingly accurate despite much criticism, but arguably has failed to mobilise significant action. So, as a piece of environmental leadership it joins the (sadly) long list of contributions which were accurate but not influential. Nevertheless the continuing story of The Limits to Growth is central to today’s environmental issues, notably climate change. This work needs excellent mainstream leadership to achieve, belatedly, the results it deserves.

Forse questa presentazione benevola risale a prima dello sviluppo dello studio, è possibile che alla fine abbia cambiato radicalmente idea e si sia dimenticato di riscrivere l’introduzione. Meglio dare uno sguardo direttamente alla conclusione:

So overall LTG (Limits of growth, ndr), using the World3 model, was and remains powerful in highlighting the arithmetic of exponential growth with physical limits. It’s relative simplicity provoked initial challenge but has proved a sound basis for continuing refinement. It’s prognosis was “inconvenient” in the 1970s, but turned out to be substantially “true.” Al Gore (2006 An Inconvenient Truth) and many others continue to advocate essentially the same line of argument, and even as we emerge from recession, the essential challenges, to a civilization constructed around growth, remain.

Ma allora la critica sul mancato inserimento dei prezzi e dell’innovazione tecnologica?

Various commentators address how better to develop the model in economic terms, in fact much of the initial response to LTG was from the economic community.
– Using pricing to reflect substitution choices between industrial investments, resource sources etc, rather than modeling these effects directly as World3 had done.
– Attempting to model environmental degradation in economic terms.
Others attempted to apply scientific principles
–regarding resource use as analogous to entropy and in that context considering recycling and its theoretical energy requirements (Ayres 1999)
None of this directly contradicts LTG, but attempts to refine it piece by piece with more sophisticated modeling.

Non serve proseguire oltre. Nella prossima puntata, rifletteremo ulteriormente sulla metodologia di Simonetti nella scelta delle fonti, in particolare per quanto concerne gli studi omessi.

(1) In un contributo di prossima pubblicazione su DFSN, Daniele Uboldi tratterà del modello World3 presentando alcune analisi più recenti di Smil, le quali sono molto più concilianti verso I limiti dello sviluppo rispetto all’articolo del 2005 utilizzato in Contro la decrescita.

(2) Sachs e Morosini, Futuro sostenibile. Le risposte eco-sociali alla criis in Europa, Edizioni Ambiente, Milano 2011, pag. 94-95

Immagine in evidenza: rielaborazione personale immagini creative commons.

Tutte le citazioni presenti nell’articolo di opere protette da diritto di autore fanno riferimento alla legge 22 aprile 1941, n.633, art.70: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera”.

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