Decostruendo Contro la decrescita #1

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Simonetti introduce correttamente il Rapporto sui limiti dello sviluppo (1) – commissionato dal Club di Roma a tre scienziati del MIT (Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jorgen Randers), pubblicato nel 1972 e successivamente sottoposto ad aggiornamenti periodici – specificando che non si tratta di una ‘previsione’, come spesso viene inteso (a differenza di 2052 di Randers, lavoro molto più visionario in quanto cerca di delineare nei particolari le caratteristiche che avrà assunto la società umana a metà del nostro secolo), bensì di un modello computerizzato (World3) basato su cinque variabili: popolazione mondiale, industrializzazione (ossia capitale fisso), inquinamento, produzione alimentare e consumo di risorse. Prima ancora di entrare nel dettaglio, Simonetti mette già in allerta il lettore, perché

pare innegabile che le opinioni dei committenti (in particolare un certo scetticismo verso la scienza e la tecnica, come pure una innegabile nostalgia per i buoni vecchi valori di un tempo) siano state in gran parte condivise dai ricercatori. (pag. 59)

Per la verità, sembra difficile dipingere tre ricercatori, all’epoca tutti sotto i 35 anni e tra i pionieri nell’uso del computer per l’analisi previsionale, come nostalgici dei bei tempi andati. La loro ‘colpa’, come chiarisce Simonetti in una nota, risiede nell’introduzione all’opera, ‘rea’ di spiegare che la complessità della società contemporanea e l’evoluzione tecnologica, oltre a molti vantaggi, presentano anche effetti collaterali potenzialmente pericolosi per il pianeta, se non si interviene tempestivamente. Tutto ciò basta a Simonetti per denotare

…diffidenza per i processi decisionali in democrazia e la preferenza per il decisionismo dei governi tecnocratici o francamente autoritari. (pag. 59)

Anche qui, dei tre autori solo Randers può essere accusato in tal senso, per alcuni passi di 2052 contro la lentezza dei procedimenti democratici. Al contrario, nella premessa a I limiti dello sviluppo Aurelio Peccei ritiene che solo una forte partecipazione democratica potrà rianimare istituzioni oramai burocratizzate e sclerotizzate:

Senza una forte ventata di opinione pubblica mondiale, alimentata a sua volta dai segmenti più creativi della società – i giovani e l”intellighenzia’ artistica, intellettuale, scientifica, manageriale – la classe politica continuerà in ogni paese a restare in ritardo sui tempi, prigioniera del corto termine e d’interessi settoriali o locali, e le istituzioni politiche, già attualmente sclerotiche, inadeguate e ciò non pertanto tendenti a perpetuarsi, finiranno per soccombere. Ciò renderà inevitabile il momento rivoluzionario come unica soluzione per la trasformazione della società umana, affinché essa riprenda un assetto di equilibrio interno ed esterno atto ad assicurarne la sopravvivenza in base alle nuove realtà che gli uomini stessi hanno creato nel loro mondo. (pag. 14)

Vedere in tale ‘momento rivoluzionario’ l’anticamera del fascismo ecologico è abbastanza pretestuoso. Ma tralasciamo i preconcetti dell’autore ed entriamo nel merito della questione.

Prima di sfoderare i ‘pezzi da novanta’ della critica, Simonetti precisa che il Rapporto non fa previsioni sull’esaurimento delle risorse (non lo si può dichiarare confutato se nel 2000 il petrolio non è finito, ad esempio), ma studia l’interazione reciproca delle variabili nel corso del tempo; la confusione sugli scopi può essere fuorviante per la comprensione generale dell’opera:

La conseguenza è stata che, anziché concentrarsi sul modello e verificare se esso fosse corretto (come gli stessi autori auspicavano), quasi sempre ci si è limitati a discutere dei dati, che erano molto meno interessanti.

Perfetto! Purtroppo però, poche righe dopo, Simonetti cadrà nel medesimo errore. Ma qual è la tesi fondamentale del Rapporto?

Siccome le risorse della Terra non sono infinite, la crescita esponenziale è destinata a incontrare limiti insuperabili (i ‘limiti della crescita’ del titolo), comunque entro e non oltre il 2100, a meno che non si faccia qualcosa, e presto, per ridurre il tasso di crescita. (pag. 60)

Fuochino. Non è solo un problema di risorse della Terra, che gradualmente diminuiscono ma restano sempre molto abbondanti per tutto il secolo XXI (nel secondo capitolo di Contro la decrescita, Simonetti tuona contro la concezione della Natura benevola di Vandana Shiva, ma se fosse per la Terra lei accontenterebbe ancora per un po’ il nostro desiderio di crescere). Gli ostacoli insormontabili sono rappresentati dall’input energetico, dall’aumento di popolazione, dall’inquinamento e dalla flessione delle rese agricole. Le risorse ci sarebbero ancora ma, a causa del collasso economico dovuto all’incapacità di far fronte efficacemente a questi fattori, non sono sfruttabili.

Secondo lo scenario base del Rapporto (quello cioé che ha seguito il trend realmente accaduto: nessun intervento per contenere la crescita dal 1972 a oggi), il collasso si verificherebbe già nella prima metà del XXI secolo, ben prima quindi della fine delle risorse:

In caso contrario, cioé se i prelievi di materia prima e energia, il consumo di terra e alimenti, la popolazione e l’inquinamento dovessero continuare a crescere ai tassi attuali, sarebbe inevitabile una catastrofe. (pag. 60)

Gli autori del Rapporto, malgrado le polemiche scatenate, cercano di minimizzare l’uso della parola ‘catastrofe’: introduzione a parte, compare sei volte in 146 pagine della prima edizione italiana. Detto ciò, il tipo di catastrofe esaminata non assume i connotati di un bombardamento atomico, celermente distruttivo, è più simile a una cottura a fuoco lento ma costante. Il crollo del mondo sovietico può essere indicativo: dopo che l’economia è sprofondata in recessione all’inizio degli anni Ottanta, si sono verificati una graduale paralisi dell’apparato industriale, l’indebolimento dell’istituzione statale, una diminuzione degli standard di benessere e della speranza di vita. Se il mondo sovietico avesse abbracciato tutto il pianeta, allora sarebbe stata l’inizio di una ‘catastrofe’ nel senso dato dagli autori.

Fin qui Simonetti può non essere stato preciso, ma la descrizione de I limiti dello sviluppo è ancora sufficientemente corretta. Adesso però iniziano i guai, quando si incaponisce con le ‘predizioni inavverate’ che sarebbero a suo dire presenti nel Rapporto:

in verità, alcune autentiche predizioni, nel Rapporto, benché poche, c’erano; alcune si sono rivelate corrette (come quella sul livello della popolazione mondiale, nel 2000), altre no (come quella per cui, “ancora prima dell’anno 2000, l’umanità si troverà di fronte a una drammatica carenza di terra”). Coloro che si sono messi su questa strada hanno finito, prima per prendere per oro colato affermazioni che invece nella versione ufficiale del Rapporto erano solo ipotesi (poi risultate scorrette, e successivamente modificate dagli stessi autori), e poi per prendere nuovamente per Vangelo le ipotesi incluse nell’ultima versione; col risultato, abbastanza farsesco, di continuare a spostare in avanti di decennio in decennio la data prevista per l’esaurimento delle risorse, e sempre col tono oltraggiato di chi ritiene di pronunciare sempre ovvietà e si indigna che nessuno prenda le necessarie contromisure illico et immediate… finché non siamo in grado di stabilire se il petrolio (o il gas, il carbone e via dicendo) finirà in 20, in 200 o 500 anni, è difficile dire in che cosa il discorso si differenzi da un memento mori… (pag. 61-62)

Si resta sgomenti da come Simonetti sia totalmente andato in corto circuito logico, ignorando le sue stesse premesse iniziali. Proviamo  a puntualizzare ciascun errore:

  • Simonetti confonde la ‘carenza di terra’ con la ‘riduzione della produzione agricola’: attraverso gli opportuni input, è possibile accrescere la resa per ettaro, e quindi fino a un certo punto aumentare la produzione malgrado la carenza di terra. È molto strano che a Simonetti, che nel capitolo ‘L’agricoltura di sussistenza’ decanta le lodi della rivoluzione verde e dell’agricoltura industriale ad alti input energetici (evitando qualsiasi riferimento ai  rendimenti decrescenti degli ultimi anni), sia sfuggita questa semplice constatazione. Ed è  singolare che una persona così informata si sia scordata del drammatico fenomeno del land grabbing (l’accaparramento di terre nei paesi più poveri del mondo da parte di governi di nazioni ricche e imprese transnazionali); o che non abbia semplicemente pensato al ‘consumo di territorio’, a cui il nostro paese è sempre più soggetto. Tutti questi sono chiari sintomi della ‘drammatica carenza di terra’, certificata  dagli ultimi dati della FAO, mostranti una diminuzione della superficie agricola dell’1% dal 2002 al 2009, nonostante l’aumentodella deforestazione per ricavare suolo agricola.

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  • L’unica vera imprecisione del Rapporto del 1972 riguardava la correlazione tra inquinamento e mortalità: siccome, dei due ‘scenari base’ previsti, sembra essersi verificato quello più ottimistico riguardo alla disponibilità di risorse, è ipotizzabile che ciò abbia contribuito a rallentare la mortalità. A nostro parere, le previsioni allarmanti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla diffusione dei tumori nel mondo, che confermano un trend in atto da alcuni decenni, potrebbero testimoniare degli effetti degli agenti inquinanti sulla popolazione umana. Il cancro non è una malattia fulminante (salvo rare eccezioni), non è contagioso e quindi potrebbe incidere marginalmente sui tassi di mortalità.

  • Nell’intero Rapporto l’unica ‘predizione’, se si vuole chiamarla così, riguardante lo scenario base (il solo che ci interessi), stabilisce che la grande crisi economica inizierà nella prima metà del XXI secolo.
  • Ma veniamo all’errore più grave. Dopo la corretta prolusione iniziale, Simonetti incomprensibilmente commette uno svarione madornale: trasforma lo scopo reale del Rapporto – definire l’inizio del collasso economico, ossia la fine della crescita – nella determinazione dell’esaurimento delle risorse.

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Modello di scenario base nell'edizione originale del Rapporto, ipotizzando risorse naturali doppie rispetto alle stime allora disponibili: il crollo economico avviene a metà XXI secolo per l'eccessivo inquinamento e calo della produzione agricola, benché le risorse si mantengano relativamente abbondanti.

Come ha potuto Simonetti sbagliarsi a tal punto? Una lettura attenta del Rapporto non può lasciare adito a dubbi. Nelle due varianti di scenario base (dove varia l’ipotesi sulla quantità di risorse sfruttabili), il collasso economico non avviene mai per la ‘fine’ delle risorse, ma rispettivamente per il crollo della produzione agricola e per l’eccesso di inquinamento, agevolati entrambi dal progressivo esaurirsi delle risorse a basso prezzo. Per una volta, si poteva persino contraddire il proverbio per cui i libri non si giudicano dalla copertina, dal momento che il titolo dell’opera è I limiti della ‘crescita’ (‘sviluppo’ nell’edizione italiana) e non I limiti dellerisorse‘.

Il memento mori si preannuncia molto prima che le risorse scarseggino, come sottolinea Ugo Bardi:

Quindi, dove ci troviamo rispetto a queste “cose materiali” oggi? Beh, da un lato è chiaro che NON stiamo esaurendo niente: la produzione dei minerali più importanti non è in declino e non manca nessun bene minerale sul mercato, almeno se siamo disposti a pagarne il prezzo. A volte si diceva che il messaggio de “I Limiti dello Sviluppo” era che avremmo finito presto le risorse minerali. Ma non è vero. “I Limiti dello Sviluppo” non hanno mai detto niente del genere. Era chiaro dai calcoli riportati nello studio che non avremmo finito le risorse minerarie principali prima della fine del ventesimo secolo. Il punto è del tutto diverso: molto prima di finire fisicamente le risorse finiremo le risorse economiche.

Tutte le riflessioni di Simonetti si basano quindi su presupposti errati – sufficienti però per fargli dire che il Rapporto ha ‘scientificità (e utilità)‘ addirittura ‘prossima a zero’ (pag. 62) – ragion per cui occorre accantonare il suo libro, riflettere sul mondo reale e capire se le ipotesi del Rapporto trovano qualche riscontro concreto. Ricapitoliamo le due ipotesi di lavoro principali del Rapporto e confrontiamole con il mondo in cui viviamo:

  • Non avendo seguito le raccomandazioni del Rapporto, la civiltà industriale andrà incontro a un collasso economico che avrà luogo nella prima metà del XXI secolo.

  • Tale crollo economico sarà causato da una crisi agricola o dall’aggravarsi del degrado ambientale.

Partiamo dalla prima considerazione: ci troviamo già coinvolti in una crisi economica, la cui fine non sembra prossima? Gran parte dei cittadini del globo, soprattutto quelli dei paesi a industrializzazione matura, dal 2008 a oggi urlerebbe a gran voce di sì, ma forse sono troppo influenzati da decrescenti e ‘catastrofisti’. Diamo uno sguardo allora a numeri freddi e obiettivi; essi indicano chiaramente un principio di stagnazione a livello mondiale a partire dalla fine del 2009:

pil mondiale

Fonte: www.sokratis.it

Questa situazione, ovviamente, non ha destato l’attenzione solo dei decrescenti. Larry Summers, già Chief economist della Banca Mondiale, già dirigente del Dipartimento del Tesoro sotto Clinton e Segretario al Tesoro di Bush II, già ultras del neoliberismo – insomma, una specie di Serge Latouche di segno contrario – in un drammatico discorso al FMI, tempio secolare della crescita economica, ha annunciato l’avvento di una ‘stagnazione epocale’. È bene ricordare che, convenzionalmente, si fa iniziare il ‘crack globale’ con il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers alla fine del 2007, ma esso è stato preceduto da diverse crisi economiche locali: crisi delle ‘tigri asiatiche’ (1997), crisi russa (1998), crisi dell’Argentina e sudamericana (2001); tante piccole scosse di preludio al terremoto mondiale. Attualmente gli Stati Uniti sono in ripresa, ma la Cina rallenta e persino la locomotiva brasiliana inizia ad arrancare. Tutto considerato, abbozzare l’idea di trovarci in una grave crisi economica non è poi roba da fondamentalisti della decrescita.

Se diamo per assodato che ci troviamo in una crisi dalla quale non si vede via di uscita imminente, essa si è manifestata in almeno una delle modalità descritte dal Rapporto, aggravarsi dell’inquinamento o crisi agricola? Anche in questo caso, qualsiasi cittadino mediamente informato è subito folgorato dalle minacce sempre più serie poste dal riscaldamento globale del pianeta dovuto all’eccessiva immissione di gas serra nell’atmosfera, talmente grave che negli ultimi rapporti il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) sentenzia che all’umanità resta meno di un ventennio (17 anni, secondo il rapporto del 2014) per prendere adeguate contromisure, prima di ingenerare cambiamenti irreversibili. L’economista Nicholas Stern, autore del Rapporto Stern, studio commissionato dal governo britannico per analizzare le ripercussioni economiche dei cambiamenti climatici, stima che possano incidere per il 20% del PIL mondiale (pari all’impatto negativo delle due ultime guerre mondiali messe assieme), per cui suggerisce di investirne almeno l’1% contro quest’emergenza. Emblematicamente, nel libro Un piano per salvare il pianeta, Stern ritiene pretenzioso l’obiettivo di limitare la concentrazione di CO2 nell’atmosfera a meno di 450 ppm – sebbene molti scienziati la ritengano eccessivamente elevata – perché ‘alcuni lo vedrebbero come un abbandono o un’inversione della crescita economica e dello sviluppo’ (pag. 180), ammettendo implicitamente il legame tra crescita e inquinamento. Per la cronaca, Simonetti in Contro la decrescita ha deciso di ignorare completamente il problema dell’effetto serra (in relazione alle tematiche della decrescita), ritenendo più opportuno dedicare due capitoli alla confutazione del primitivismo e uno alla ricerca di connessioni tra il pensiero dei decrescenti e quello di intellettuali di nicchia anti-modernisti di inizio Novecento.

Per quanto subordinata all’inquinamento, anche la spiegazione della crisi come crollo della produzione agricola non è da scartare, nel senso che si può rintracciare almeno un indizio: nel 2007-2008, il prezzo dei cereali ha subito una brusca impennata provocando una crisi alimentare mondiale con gravi conseguenze nel Sud del mondo. Lo stesso fenomeno ha colpito contemporaneamente le principali materie prime non alimentari, con fluttuazioni di prezzi attribuite dai commentatori economici a speculazioni finanziarie tramite futures; tuttavia, nel biennio 2004-2005, il petrolio aveva subito anch’esso un picco verso l’alto, un fatto che ha di certo influenzato negativamente la produzione agricola, per cui la finanza può essere stata beneficiaria ma non causa scatenante del fenomeno.

Ovviamente, scopriremo solo vivendo se queste avvisaglie sono il preludio allo scenario base. Bastano però semplici constatazioni per convalidare la plausibilità del Rapporto; sicuramente non possiamo permetterci di dire che il modello World3 ‘esclude ogni possibile confronto con la realtà’, che è fondamentalmente ”una predica’ o ‘un culto apocalittico catastrofista” (pag. 62), ‘del tutto astorico’ (pag.67), che autori come Jean-Pierre Dupuy, Jospeh Tainter o Guido Cosenza abbiano sviluppato ‘una teoria (pseudo)scientifica del necessario crollo della civiltà industriale’ (pag. 67); teorie per altro che Simonetti si dispiace di non poter controbattere adeguatamente per problemi di spazio (primitivism first!).

Simonetti, di professione avvocato, non conduce studi personali sull’argomento, quindi deve necessariamente ricorrere a delle fonti esterne che, visti i giudizi trancianti, dovranno risultare particolarmente convincenti. Nella prossima puntata esamineremo criticamente ciascuna delle fonti utilizzate da Simonetti  per contestare la validità delle tesi del Rapporto.

(1) Da qui in avanti e nelle puntate successive per comodità ci riferiremo a questo studio chiamandolo indistintamente ‘I limiti dello sviluppo‘ o ‘Rapporto

Immagine in evidenza: rielaborazione personale immagini creative commons.

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