Da Ravenna al mondo

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Dalla fine del 2001, per ragioni sentimentali, ho cominciato gradualmente a lasciare Novara per trasferirmi a Ravenna, e dal 2003 ci risiedo in pianta stabile. Una scelta di cui non mi sono mai pentito, non solo perché la relazione amorosa è felicemente sfociata in matrimonio: per tante ragioni, trovo che la qualità della mia vita sia migliorata. Oramai sono talmente integrato che la mia parlata (mai stata particolarmente dialettale, per la verità) è fortemente infiltrata da espressioni e inflessioni romagnole.

Certo, fin da subito mi saltarono all’occhio alcuni aspetti non esaltanti. Il primo riguardava la rete ferroviaria estremamente sottodimensionata e, più in generale, un sistema di trasporto pubblico molto limitato: avevo potuto permettermi fino a 23 anni di non sentire l’esigenza di prendere la patente, lasciato il Piemonte ciò non era più obiettivamente possibile. In secondo luogo, era palese una spiccata tendenza per la cementificazione selvaggia.

Come spesso capita, le calamità riescono a tirare fuori la parte migliore della gente: dai tantissimi giovani che si sono messi a spalare il fango (senza aver bisogno di mettersi a favore di telecamera o di ricevere l’ispirazione da Ignazio La Russa o Enrico Mentana) fino ai contadini che hanno sacrificato i propri campi permettendo la rottura controllata degli argini, scongiurando così che le acque invadassero il centro storico di Ravenna.

Tuttavia, è arrivato il momento che la cittadinanza romagnola e in particolare ravennate si faccia un serio esame di coscienza. Secondo i dati ISPRA, Ravenna è la seconda città italiana per consumo di suolo, solo Roma riesce a fare di peggio. Si sperava che la grave crisi in cui versa da alcuni anni la nota Cooperativa Muratori & Cementisti (CMC, colosso dell’edilizia famoso per essere impegnato nei lavori della TAV e di altre ‘grandi opere’) potesse rallentare il fenomeno, ma è accaduto l’esatto contrario.

Per ‘dare un po’ di lavoro’ e grattare il fondo del barile della crescita, le ultime aree verdi e agricole sono state invase dalle ruspe per costruire gli ennesimi supermercati. L’alluvione ha bloccato i lavori per l’allargamento della Strada Statale Adriatica, il cui scopo dichiarato è “una viabilità da paese civile” (sindaco Michele De Pascale dixit), con buona pace di una linea ferroviaria con Bologna non raddoppiata e che rende il pendolarismo tra le due città una vera e propria odissea (attualmente risultano fortemente danneggiate tutte le tratte Ravenna-Bologna e Ravenna-Ferrara).

Per non parlare poi della difesa a oltranza delle trivelle off shore per l’estrazione di metano, vero e proprio totem intoccabile malgrado i rendimenti produttivi oramai pessimi. Mentre i progetti per riconvertire le piattaforme in modo da ospitare generatori eolici stentano a decollare, l’amministrazione ravennate si è subito messa a disposizione per ospitare una delle navi rigassificatrici (emblematico l’appello di De Pascale alla premier Meloni: “Abbiamo detto sì al rigassificatore, ora l’Italia ci aiuti”). La contestazione popolare c’è stata, ma obiettivamente non paragonabile a quella di Piombino.

Ambiguità e oscurità ovviamente non sono certo prerogativa esclusiva di Ravenna e dei suoi abitanti. Mentre scrivo, il maltempo rischia di ricreare i disastri accaduti in Romagna anche in altre regioni: possiamo accettare in modo fatalista la ‘nuova normalità’, ipotizzare manipolazioni della geoingegneria, oppure accusare in modo superficiale per la scarsa manutenzione del territorio. O forse, una volta che i nodi sono venuti prepotentemente venuti al pettine, potremmo accettare le nostre responsabilità e stilare un’opportuna gerarchia di priorità.

2 Commenti

  1. Caro Igor, il tuo articolo pacato e gentile induce a riflettere sia sul latte versato sia su come evitare di versarne altro. Io abito a Castel Bolognese, in provincia di Ravenna, da due anni (prima ero poco distante, a Imola provincia di Bologna ma culturalmente romagnola). A Castello mi sono subito trovato benissimo e devo dire che così a pelle mi piace di più stare in Romagna che in Emilia. Quando vado a Bologna, dove ho abitato per 30 anni, soffro e mi trovo malissimo…
    Ora però, fatti i complimenti alla Romagna, parliamo del “latte versato”, senza crocifiggere nessuno, ma anche senza nascondere la polvere sotto il tappeto. Il primo grave difetto è l’eccessiva cementificazione del territorio, spesso portata avanti in ossequio ad un’idea di progresso e di modernità che va respinta. Il progresso non si misura a colpi di centri commerciali, superstrade, zone industriali, quartieri dormitorio. Il progresso o porta ad un reale miglioramento della qualità di vita o è un inganno. La qualità della vita io la misura con la facilità di comunicare e relazionarsi con i nostri concittadini, di avere strade poco “affumicate” dalle auto, aree verdi in cui passeggiare nel tempo libero, un’ampia offerta ricreativa e uno standard alto dell’offerta culturale. Per alcuni di questi parametri la Romagna è messa meglio di altre regioni, per altri manco per niente.
    Della manutenzione del territorio, specie quello appenninico dal quale è arrivato il disastro non voglio nemmeno parlarne. Questa è una piaga che accomuna la Romagna alle altre regioni del Nord, del Centro e del Sud. Dopo ogni sciagura si parla per un po’ di tempo di prevenzione, poi si torna a fare come prima, cioè a dimenticarsene. Un’ultima cosa provocatoria, ma non troppo. Mi son sempre chiesto che senso abbia avere un’unica regione, l’Emilia-Romagna, che mette insieme esigenze, tradizioni e problemi molto diversi. Tra Piacenza e Ravenna non c’è niente in comune, Bologna è un po’ una via di mezzo tra Emilia e Romagna, ma è una città che ha perso ogni identità e che vive di rendita. Preferirei di gran lunga una Romagna autonoma, con le sue istituzioni regionali, le sue tre province, i suoi tanti piccoli comuni belli, efficienti e spesso governati molto bene.

    • Mah… in una prospettiva bioregionale sicuramente, ma oggi come oggi secondo me la regione Romagna sarebbe poco più di un altro centro di costo. Anche perché i presidenti di regione romagnoli (vedi Vasco Errani, di Massa Lombarda) non mi pare siano stati esaltanti, anzi.

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