Critica della ragione agroindustriale #3: le cause della fame (seconda parte)

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(Critica della ragione agroindustriale #1, #2)

Vecchie vacche sacre…

Cowspiracy, documentario del 2014 realizzato grazie a un’iniziativa di crowdfunding, è il classico esempio di progetto nato con ottime intenzioni ma sfociato in esiti discutibili. Partendo dalla lodevole premessa di denunciare l’insostenibilità ambientale dell’industria della carne, gli autori hanno inficiato l’intera operazione a causa della tesi precostituita secondo cui lo stile di vita vegano è “il solo modo di vivere in modo sostenibile ed etico su un pianeta con 7 miliardi di altre persone” (frase tratta dal film), che li ha portati a distorcere alcuni fatti allo scopo di negare perentoriamente la possibilità di metodi di allevamento e pesca ecocompatibili.1Così facendo, si è depotenziata enormemente la riflessione critica e la capacità informativa, rendendo Cowspiracy un documento dai toni assolutisti e sfacciatamente faziosi, rimasto poi relegato nelle insulse beghe da social media ‘vegani vs onnivori’, ottimo per rafforzare i convincimenti di chi fosse già deciso a rinunciare alla carne ma altrettanto ideale per allontanare molti potenziali interessati, dissuasi dalla narrazione eccessivamente manichea.

Eppure, non c’era alcun bisogno di forzare la mano per portare alla luce una realtà abnorme e convalidare le potenzialità del veganesimo come proposta costruttiva per dissociarsi da situazioni palesemente inaccettabili. Infatti, nonostante i pascoli costituiscano globalmente il 70% circa dei terreni agricoli, quasi un terzo dei seminativi è destinato a nutrire il bestiame, dando quasi l’impressione che l’agricoltura sia pensata prioritariamente per sfamare gli animali anziché gli umani (figura 4), con entrambi i gruppi a contendersi una quota quasi analoga di un prodotto della Terra fondamentale come i cereali (figura 5).

Figura 4

 

La diffusione della pratica di nutrire il bestiame con i cereali risale al secondo dopoguerra, al fine di impiegare proficuamente il surplus dei coltivatori statunitensi, specialmente quando i paesi beneficiari del Piano Marshall cominciarono a recuperare la propria capacità produttiva dopo la devastazione bellica;2da allora è diventata una consuetudine zootecnica, al punto che in Nord America, Europa e Oceania la quota consumata dal bestiame supera quella umana (figura 5).3

Figura 5. Fonte: Erb et al. (2012)

Numeri ragguardevoli, che però quasi impallidiscono prendendo in considerazione la soia, di cui si stima che circa i tre quarti della produzione mondiale siano destinati agli animali.4Esistono ragioni valide per sottrarre colture adatte alle esigenze umane assegnandole a creature perfettamente capaci di nutrirsi di erba, vegetali non edibili e cascami? Secondo i principi della termodinamica, assolutamente no: gli animali allevati a cereali infatti restituiscono sotto forma di carne, uova e latte meno cibo di quanto ne assumono – sei chilogrammi di proteine vegetali ne producono mediamente una animale.5L’unico merito ascrivibile è permettere l’allevamento intensivo, tecnica di cui i sostenitori decantano le virtù ambientali per la possibilità di stipare più animali in meno spazio di quanto sarebbe necessario con le pratiche tradizionali (mutatis mutandis, la medesima giustificazione addotta per preferire la coltivazione intensiva a quella biologica); in realtà, siamo in presenza di un obbrobrio sul piano etico, ecologico e sanitario, denunciato da FAO e OMS non solo per la diffusione di agenti inquinanti ma anche perché contribuisce al pericolosissimo fenomeno della resistenza agli antibiotici.6

In buona sostanza, per sostenere il mercato della carne – in crescita dopo l’ascesa dei BRICS – sacrifichiamo terreni peggiorando il degrado del nostro già martoriato pianeta e promuovendo una dieta, quella ‘americana’ ricca di proteine animali, condannata dalla medicina per i pericoli che reca alla salute, come diabete, infarto, problemi cardiovascolari, obesità e cancro. E’ solo masochismo o c’è dell’altro?

e nuove

L’impiego di combustibili derivati da vegetali non è affatto una novità, risale addirittura all’Ottocento (i primi propulsori diesel erano alimentati con olio di arachidi) e durante le due guerre mondiali o le crisi petrolifere sono stati talvolta utilizzati per sopperire alla scarsità di idrocarburi. E’ stato però negli anni Novanta, dopo il varo del Protocollo di Kyoto e la crescente consapevolezza del riscaldamento globale dell’atmosfera – unitamente alle prime avvisaglie di esaurimento del petrolio a buon mercato – che i biocarburanti hanno acquisito una dimensione rilevante nelle strategie energetiche fino a realizzare apposite colture, caso in cui è più opportuno parlare di ‘agrocarburanti’. La UE ha stabilito entro il 2020 per ciascun membro aderente l’obiettivo di raggiungere una quota del 10% di energia rinnovabile nei trasporti, mentre negli USA, sotto la presidenza di George W. Bush, è stato varato l’Energy Policy Act che, tra le varie disposizioni, impone di aggiungere etanolo alla benzina venduta sul mercato.

L’ex presidente, nel Discorso sullo stato dell’Unione del 23 gennaio 2007, mentre infuriavano i conflitti in Iraq e Afghanistan, ha incensato i biocarburanti come mezzo per raggiungere l’indipendenza energetica:

Per troppo tempo la nostra nazione è dipesa dal petrolio straniero. E tale dipendenza ci lascia più vulnerabili a regimi ostili ed a terroristi che potrebbero causare gravi interruzioni dei rifornimenti e aumenti del prezzo del petrolio e provocare un forte danno alla nostra economia… Stanotte, chiederò al Congresso di unirsi a me nel perseguimento di un grande obiettivo. Facciamo un passo avanti e riduciamo l’utilizzo di benzina negli USA del 20% nei prossimi 10 anni. Potremo così ridurre le nostre importazioni totali di una quantità equivalente ai 3/4 di tutto il petrolio che ora importiamo dal Medio Oriente. Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo aumentare la disponibilità di carburanti alternativi stabilendo una normativa obbligatoria sui carburanti per ottenere 35 miliardi di galloni di carburanti alternativi e rinnovabili nel 2017; cioè cinque volte tanto l’attuale… E queste tecnologie ci aiuteranno a servire meglio l’ambiente e a combattere la sfida impegnativa del riscaldamento globale.7

Malgrado la spinta propulsiva dei biocarburanti si sia affievolita con l’avvento della cosiddetta ‘shale revolution’, il settore non mostra ancora segnali di declino (figura 6).

Figura 6

Ovviamente, se sorgono già abbondanti scrupoli sull’opportunità di destinare soia e cereali ad animali che serviranno comunque da risorsa alimentare umana, dirottare cibo dalle persone agli autoveicoli suscita dilemmi morali ancora più sofferti: nell’ottobre del 2007, ai proclami entusiastici di Bush di alcuni mesi prima faceva da contraltare la condanna senza appello degli agrocarburanti lanciata dal relatore speciale dell’ONU sul diritto all’alimentazione Jean Ziegler, che nel suo Rapporto all’Assembla generale di Ginevra ha parlato esplicitamente di “crimine contro l’umanità”.

Al di là dei toni accusatori, è incontestabile che la sola produzione a stelle e strisce sottragga alle bocche umane circa il 12-13% del raccolto mondiale di mais e l’8% della soia. Senza voler demonizzare una tecnica che può comunque trovare applicazioni adeguate – specialmente pensando alla cosiddetta ‘seconda generazione’ ancora parzialmente in fase sperimentale, in grado di ricavare combustibile da alghe, arbusti piantabili in terreni residuali e scarti da agricoltura e legname – un simile dispendio di risorse si può ovviamente giustificare solo in presenza di evidenti e comprovati benefici sul piano energetico ed ecologico.

I riscontri empirici invece non solo hanno smentito le aspettative ottimistiche di Bush, ma riportano dati decisamente scoraggianti. Nonostante gli sforzi, i biocarburanti ammontano a poco più del 10% del fabbisogno statunitense di combustibili liquidi8e, cosa peggiore, si stanno addensando forti dubbi sulle credenziali ecologiche. Secondo studi recenti, il biodiesel ottenuto da semi oleosi causa un impatto complessivo di filiera addirittura peggiore del petrolio convenzionale (figura 7); l’etanolo da mais dovrebbe provocare la metà delle emissioni, in compenso però presenta un EROEI9pessimo, di poco superiore a 1. Solo la canna da zucchero brasiliana sembra conciliare riduzione delle emissioni e prestazioni energetiche, vantando un EROEI intorno a 6-8 che comunque non la rende particolarmente competitiva rispetto alle fonti tradizionali (figura 8).

Figura 7. Fonte: Transport & Environment (2016)

Figura 8

In compenso, per ottenere poco più di un pugno di mosche si stanno esacerbando situazioni già allarmanti: land grabbig nel sud del mondo, distruzione delle foreste amazzoniche e del sud-est asiatico per far posto a piantagioni, rischio di estinzione di intere specie animali e depauperamento delle microeconomie locali. Se non si tratta di un crimine contro l’umanità, è sicuramente un suo parente stretto.

Produrre di più per dominare meglio

Le contraddizioni degli USA dimostrano inequivocabilmente che il caposaldo numero 1 della ragione agroindustriale – ossia l’ossessione di aumentare i raccolti intensificando ulteriormente la produzione per sopperire alla penuria di terre arabili – si fonda su presupposti del tutto fallaci e/o cela palesi interessi lobbystici. Infatti, nonostante il declino costante da quarant’anni a questa parte delle terre arabili e il 60% dei terreni agricoli statunitensi adibito a pascolo (nonché il record del consumo di grassi animali che fanno della patria dello zio Sam il paradiso di obesità e malattie cardiovascolari), il 38% dei cereali e il 75% circa della soia sono dedicati al bestiame. Malgrado il tanto decantato ‘miracolo dello shale oil’ abbia riportato dopo decenni la produzione petrolifera in vetta alle statistiche globali – con un consumo pro capite esorbitante, doppio rispetto alla Germania – quasi il 40% del mais viene destinato al funzionamento di autoveicoli contro il 10% per sfamare umani. (figura 9).

Figura 9

Figura 10. La soia, altro importante esempio di coltura largamente impiegata per scopi diversi dall’alimentazione umana.

In realtà, questi paradossi trovano perfetta spiegazione se vengono astratti da una logica di sicurezza alimentare per inserirli all’interno di una strategia di dominio.

Le agricolture statunitensi ed europee, lautamente sovvenzionate da Farm Bill e PAC, producono in maniera ipertrofica instaurando un regime di prezzi artificioso, impedendo ai contadini dei paesi incappati nel Washington Consensus di competere alla pari, in particolare nell’ambito dei cereali. Per garantirsi un adeguato approvvigionamento, non resta che barattare grandi quantitativi di materie prime strategiche in cambio di cibo (alla maniera delle nazioni dell’area nordafricana-mediorientale con gas e petrolio10) oppure riconvertire l’agricoltura locale assegnando un peso significativo a beni di esportazione quali cacao, caffè, té, cotone (figure 11, 12), in uno scambio ineguale dove è facile rimanere vittime dei capricci del mercato sia nelle veste di acquirente che di compratore.11Non sorprende quindi che la denutrizione si concentri in Africa e nazioni asiatiche tendenzialmente sovrappopolate dove i contadini costituiscono una quota consistente sulla popolazione, essendo la categoria più esposta alla logica imperialista del mercato.

Figura 11. Fonte: Erb et al. (2012)

Figura 12. Fonte: Erb e altri (2012)(NAWA: Nord Africa e Medio oriente; SSAfrica: Africa Sub Sahariana; EASIA: Asia orientale; Sasia: Asia meridionale; SEAsia: sud-est asiatico; Namerica: America settentrionale; Lamerica: America latina; WEurope: Europa occidentale; EEurope: Europa orientale. La voce ‘other crops’ indica colture tropicali come caffè, tè, cacao)

Benché i movimenti di contestazione al neoliberismo abbiano quasi sempre sottolineato il ruolo distorsivo delle sovvenzioni, la domanda gonfiata di beni alimentari per sostenere attività discutibili quali mangimi per animali e agrocarburanti riveste un ruolo non meno importante (anzi i due fenomeni sembrano sostenersi vicendevolmente, due facce della stessa medaglia). In questo contesto, che cosa significa perseverare con il dogma produttivo accampando l’argomento della crescita demografica, senza intervenire radicalmente sui meccanismi perversi del sistema alimentare? Di certo non si serve la causa dei poveri, delle generazioni future o dell’ambiente, ma si irregimenta lo status quo corroborando alcuni degli aspetti più deteriori sul piano ecologico e sociale del business as usual.

In questo putridume sguazzano gioiosamente anche presunti filantropi di fama internazionale. Bill Gates, tramite la Fondazione Bill & Melinda Gates e con il sostegno della Fondazione Rockfeller, nel 2006 ha dato vita alla Alliance for a Green Revolution in Africa (AGRA), con lo scopo dichiarato di sostenere i contadini africani, scarsamente assistiti dai propri governi, in un’opera di modernizzazione dell’agricoltura che comprenda anche il ricorso a sementi transgeniche.12Questa e tante altre azioni ‘benefiche del fondatore di Microsoft, trovano molto eco sui media; decisamente meno conosciuti al grande pubblico sono gli investimenti nel settore degli agrocarburanti, come gli 85 milioni di dollari sborsati nel 2005 per rilevare quote di proprietà della Pacific Ethanol.13Insomma, Gates con mano (nascosta) contribuisce alla denutrizione e con l’altra (ben visibile) proclama la crociata alla fame, in un perfetto rovesciamento del precetto evangelico “La mano destra non sappia quello che fa la sinistra”.

Questo capitolo ha svelato una realtà denunciata con forza dalla critica di sinistra, dove strategie attuate per preservare assetti di potere sfociano in decisioni irrazionali e inique sul piano alimentare. Che per sconfiggere la fama basti ‘solo’ attuare cambiamenti radicali per stravolgere radicalmente il sistema politico e l’assetto economico? A prima vista, non sembra sussistere alcun ostacolo di natura prettamente agricola. Di fatto, finora ci siamo limitati ad analizzare solo la cima visibile di un gigantesco iceberg: mentre Marx pontifica dominando la scena, Malthus è rimasto taciturno nell’ombra, ma pronto a dire la sua. (continua)

1Sulle forzature di Cowspiracy, Boucher 2016

2Nel 1954 il presidente Eisenowher emanò l’Agricultural Trade Developmentand Assistance Act (più conosciuto come Public Law 480), per utilizzare la sovraproduzione cerealicola a sostegno di paesi con problemi alimentari, anche con l’intendo dichiarato di espandere permanentemente le esportazioni statunitensi di prodotti agricoli.

3Lymbery 2017

4WWF 2014

9 Il ritorno energetico sull’investimento energetico (EROEI) è il rapporto tra l’energia ricavata e quella spesa per estrarla.

10Il crollo del prezzo di petrolio e gas nel 2009-11 e quindi dei relativi introiti per i paesi estrattori ha giocato sicuramente un ruolo importante nelle rivolte delle ‘primavere arabe’.

11Al primo tipo di rischio appartengono le crisi alimentari del 1972-75 e del 2008-09, quando il rialzo consistente del prezzo del greggio ha causato il susseguente rincaro del cibo. Nel secondo caso rientrano invece la crisi etiope del caffè del 2002-03 e quelle ghanesi del cacao nel 1986-89 e nel 2017, provocate da repentini crolli del prezzo delle rispettive commodity sul mercato internazionale.

12Al pari di figure come George Soros, Warren Buffet o la famiglia Rockfeller, Gates rientra a pieno titolo tra i ‘comunisti liberali’, categoria coniata da Slavoj Žižek per indicare quei membri della super élite consapevoli del pericolo di atteggiarsi alla maniera dei nobili dell’Ancien Régime, difendendo ostinatamente il privilegio senza mettere qualche argine a sfruttamento e imperialismo. In progetti come AGRA la dominazione si presenta meno umiliante e assume tinte apparentemente collaborative, passando dal controllo diretto sulle derrate alimentari a quello su tecnologia e know how.

 

 

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

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