Critica della ragione agroindustriale #10: conclusioni

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Young leaves of spinach.Sprouts spinach growing in garden. Green shoots. Young greens for salad .

(Critica della ragione agroindustriale #1, #2, #3, #4, #5, #6, #7, #8#9)

Forse quando il professore insisteva un po’ troppo enfaticamente sull’inferiorità delle donne, non si preoccupava tanto della loro inferiorità, bensì della propria superiorità. Era questo ciò che stava difendendo, con fare alquanto impetuoso e con troppa enfasi, perché per lui era un gioiello del più alto valore”. (Virginia Woolf, Una stanza per sé)

Che cosa accomuna l’acredine contro le donne del professore narrato dalla Woolf e le accuse astiose lanciate alle alternative all’agricoltura industriale dalla professoressa-senatrice Cattaneo e altri soggetti? Sembrerebbe che, in entrambi i casi, il vero nodo del contendere non sia il bersaglio esplicito della contumelia, bensì la difesa di interessi consolidati che, forse non a torto, si sentono minacciati.

La nascita dell’agricoltura ha segnato l’atto costitutivo della civiltà e, come riconoscevano i fisiocratici nel Settecento, è l’unica attività veramente ‘produttiva’ e non di trasformazione, per cui rappresenta la spina dorsale di una società: modifiche sostanziali alla sua struttura si riflettono a catena sull’apparato economico e ridefiniscono la stratificazione sociale, con tutte le conseguenze che ciò può significare a livello politico. Il passaggio dal feudalesimo al capitalismo è stato avviato da una trasformazione agronomica (dai commons alle enclosures), mentre la Rivoluzione Verde ha permesso di dare forma compiuta alla globalizzazione economica. Le questioni agricole sono quindi foriere di profondi risvolti politici e sociali che trascendono gli aspetti propriamente agronomici.

Nell’attuale società tardo-capitalista, quello che può sembrare (e di fatto è) spreco rappresenta in realtà il tornaconto economico di qualcuno, la debolezza alimentare di interi popoli è lo strumento di dominazione di altri, mentre l’ipotesi di intervenire efficacemente su di un problema epocale senza il ricorso all’alta tecnologia, bensì con soluzioni apparentemente da ‘ritorno al passato’, suona come bestemmia. Ne consegue pertanto che una conversione in direzione dell’agroecologia non si scontra solo con la lobby agrochimica, bensì contro un muro di gomma eretto da consistenti settori della politica, dell’economia e della scienza convinti di perdere potere, ricchezza e prestigio in un mondo non più dominato dalla ragione agroindustriale. Da qui, ecco mistificazioni, critiche pretestuose ed esagerazioni di ogni genere.

Che fare allora? L’unica spinta per un cambiamento radicale può derivare da un forte sostegno popolare che faccia da sponda a politici, ricercatori, agricoltori, associazioni e più in generale a tutte le persone operanti nella giusta direzione. Occorre farlo però nei modi dovuti, altrimenti si rischia di indebolire la portata sia della riflessione critica che della proposta alternativa.

Troppo spesso, i movimenti di contestazione all’agricoltura industriale si sono limitati a prendere di mira singoli aspetti – pesticidi, OGM – e non il paradigma complessivo, concentrandosi quasi esclusivamente su pur importanti questioni di sicurezza sanitaria. Poteva sembrare una strategia realistica per procedere ‘a piccoli passi’, invece ha finito involontariamente per legittimare il modello complessivo a patto di introdurre qualche ‘riforma’ (proibire il glifosato, non commercializzare sementi transegeniche, ecc).

Inoltre, alla vulgata tecno-sviluppista ne è stata contrapposta un’altra troppo spesso tacciabile di arcaismo romantico, ignoranza e paura irrazionale, quando una lucida analisi della società e della biosfera è più che sufficiente per demistificare narrazioni apparentemente all’insegna di scienza e logica (la ragione agroindustriale confutata in queste pagine, per l’appunto) ma incapaci di reggere a una critica rigorosa.

Per chiudere, propongo in modo molto presuntuoso una serie di ‘regole’ utili per approcciare le tematiche dell’agricoltura e dell’intero sistema alimentare in una chiave realmente ecologica e non-mainstream.

REGOLA 1

Per quanto di fondamentale importanza, l’agricoltura consiste in un’appendice della società umana integrata nella biosfera, all’interno di una complessa rete di feedback e retroazioni. Pertanto, qualsiasi seria analisi agronomica non può prescindere da quella delle dinamiche ecologiche e sociali.

REGOLA 2

Verificare sempre che la giustificazione della carenza produttiva non venga utilizzata quale l’alibi per coprire problemi demografici o di accesso al cibo.

REGOLA 3

Mai accettare acriticamente le stime sul fabbisogno di cibo necessario per sfamare la popolazione presente e futura, ma sviscerarle in profondità.

REGOLA 4

La via della sostenibilità passa attraverso la determinazione di limiti produttivi, incrementabili in caso di miglioramenti di efficienza a parità di condizioni. Mai porre obiettivi decontestualizzati, pretendendo tecniche sostenibili per soddisfarli.

REGOLA 5

L’impatto ambientale va calcolato su tutti processi di filiera che coinvolgono la produzione agricola, considerando la problematica ecologica nelle diverse sfaccettature, non solo il global warming.

REGOLA 6

I paradigmi agricoli, al pari di quelli energetici, interagiscono con le strutture politiche, economiche e sociali per cui il loro successo o fallimento è condizionato dalla capacità di politica, economia e società di creare il contesto adatto per svilupparne appieno le potenzialità.

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