In questo articolo in due puntate rifletterò sulle caratteristiche intrinseche del capitalismo come metabolismo sociale e strumento di governo, evidenziando gli elementi che lasciano intendere un suo collasso probabilmente lento ma certamente inesorabile e per nulla indolore. Nella prima parte presento in forma semplificata e riveduta alcune tesi sostenute principalmente da Saskia Sassen, Jason Moore e Gail Tverberg, i quali si sono interessati a diverso titolo del rapporto tra logica capitalista e natura.
Che cos’è il capitalismo
Innanzitutto, definiamo il capitalismo un sistema economico basato sulla stratificazione sociale e mirante all’accumulazione illimitata di capitale, scopo a cui tende agendo principalmente su cinque fattori:
- cibo a buon mercato;
- energia a buon mercato;
- materie prime non energetiche a buon mercato;
- conquista di terre vergini;
- forza lavoro a buon mercato.
Cominciamo analizzandoli uno per uno cercando di capire perché questi fattori presentano criticità tali da compromettere la sopravvivenza dell’intero sistema.
Cibo a buon mercato
Nell’immaginario collettivo il capitalismo nasce parallelamente alla rivoluzione industriale, in realtà le sue origini risalgono alla profonda conversione agraria che trasformò indelebilmente l’Inghilterra nel Seicento (recinzione delle terre comuni), che permise un aumento di produttività del lavoro liberando manodopera a bassissimo prezzo per miniere e fabbriche. La Rivoluzione Verde nella seconda metà del Novecento ha permesso uno sforzo analogo su scala globale, unendosi però in un matrimonio pericoloso con gli idrocarburi e vincolandosi quindi alle loro fluttuazioni finanziarie.
La bassa incidenza dei generi alimentari sul redditto è importante per non intaccare il consumo di prodotti più voluttuari; complessivamente, nel nuovo millennio il prezzo del cibo è sensibilmente aumentato, attestandosi su livelli analoghi a quelli degli anni Sessanta.
Energia a buon mercato
Visto il mancato avvento dell’energia nucleare a nuovo Prometeo sostituto degli idrocarburi, il petrolio e il resto della compagine fossile hanno conservato la leadership che, secondo le previsioni della IEA e altre prestigiose agenzie di ricerca, non è destinata a essere intaccata per i prossimi decenni a venire.
E’ un dato di fatto che il boom economico post-bellico (tassi di crescita del 5-6% annui), sia avvenuto con il petrolio intorno ai $20 al barile e un prezzo complessivo dell’energia circa un quarto dell’attuale, e che a un lungo periodo di stabilità nell’ultimo ventennio del XX secolo sia seguito un consistente rialzo dei prezzi (in seguito al quale, guarda caso, è scoppiata la grave crisi finanziaria del 2008…).
Materie prime non energetiche a buon mercato
Siccome il settore estrattivo è affamato di combustibili fossili, non sorprende constatare una correlazione abbastanza marcata tra l’andamento dei prezzi delle materie prime e quello del petrolio.
Attenzione! Prezzi non costi
Per non presentare una visione edulcorata della realtà (quella dei manuali di economia, per intenderci), è bene distinguere nettamente costi di produzione e prezzi di vendita. Per quanto riguarda commodity essenziali come quelle agricole ed energetiche, i prezzi di vendita potrebbero persino risultare inferiori ai costi reali, grazie a meccanismi di sovvenzione e altro genere in grado di falsificare almeno temporaneamente la realtà. Ne riparleremo nella seconda parte dell’articolo.
Conquista di terre vergini
L’imperialismo europeo tra Seicento e Ottocento in America, Africa e Asia ha notoriamente permesso l’afflusso di materie prime che, oltre a elevare il tenore di vita, sono state fondamentali per il progresso tecnico e scientifico. Oggiogiorno tutte le terre emerse sono state scoperte e la crosta terrestre e i fondali oceanici sono stati perlustrati in lungo e in largo, pertanto solo la colonizzazione di altri pianeti potrebbe apportare contributi paragonabili a quelli delle grandi conquiste geografiche europee, ma è dai tempi delle missioni Apollo che non si fanno concreti sforzi in tal senso (Elon Musk e il volo del Falcon X verso Marte con tanto di autovettura Tesla imbarcata in confronto è poco più di una costosissima trovata pubblicitaria).
Non dimentichiamoci inoltre che la civiltà industriale, oltre a trasformare la natura usandola come fonte inesauribile di cibo e materie prime, ha anche sfruttato la capacità degli ecosistemi terrestri di assorbire anidride carbonica e sostanze inquinanti, finendo per superare le capacità di carico naturali.
Forza lavoro a buon mercato
Il capitalismo si trova alle prese con due esigenze antitetiche: mantenere un costo del lavoro sufficientemente basso da non compromettere i margini di profitto ma, allo stesso tempo, garantirsi una base di consumatori con robusto potere d’acquisto. Se le altre quattro condizioni fondamentali sono soddisfatte, allora saranno possibili alti tassi di crescita economica, tali per cui consistenti ricavi convinceranno il padronato a ridimensionare il margine di profitto permettendo una redistribuzione generalizzata della ricchezza (strategia economica socialdemocratica-keynesiana). Al contrario, se i costi di cibo e e materie prime salgono e non si vuole intaccare la competitività dei prodotti incrementando troppo i prezzi dei prodotti finiti, la quota di profitto può essere mantenuta solo con una maggiore estrazione di plusvalore, ossia lavoro non retribuito, aspetto su cui ci soffermeremo nella seconda parte dell’articolo.
Relazione prezzo natura – salari
Finita la natura a buon mercato, lo sfruttamento di risorse più costose si traduce ovviamente in prezzi più elevati di estrazione che si riflettono sui prodotti finiti. Se il livello generale dei salari è tale per cui i consumatori riescono a contenere il colpo, allora si può arginare la crisi con successo, come accaduto con la recessione degli anni Settanta. In caso contrario, la stagnazione persiste e i produttori di commodity, alle prese con una finta abbondanza di risorse provocata in realtà dalla scarsa domanda, sono costretti a mantenere prezzi artificiosamente bassi con conseguente rischio di fallimento. Quanto descritto riassume bene lo scenario verificatosi negli ultimi anni, dove petrolio e altre materie prime fondamentali hanno raggiunti prezzi record poi rapidamente crollati.
il fenomeno non deve sorprendere, dal momento che la quota dei salari sul PIL negli ultimi trent’anni è costantemente calata:
Nella seconda parte spiegheremo come il meccanismo del debito cerchi di risolvere l’insorgere di queste situazioni di crisi attraverso la creazione di ricchezza fittizia.
Una prima analisi: il difficile equilibrio capitalista nello sfruttamento uomo-natura
Fonte: ourfiniteworld.com
A partire dagli anni Settanta, l’evidente rialzo dei prezzi di energia e commodity si è tradotto in un abbassamento dei tassi di crescita economica globale, parzialmente risollevatisi con l’incorporazione nel commercio mondiale dei paesi ex comunisti (per certi versi nuove ‘terre vergini’ da mungere) e l’ascesa dei BRICS (non a caso, nazioni che ancora potevano fare ampiamente leva sui cinque fattori fondamentali del capitalismo). Le nazioni a industrializzazione matura invece non hanno arrestato il declino.
Tassi crescita economica paesi OCSE (Fonte: Banca Mondiale)
Dalla conclusione dei ‘trenta gloriosi’ – quando finisce l’era del petrolio a prezzo stracciato e si è costretti a fare seriamente i conti con la finitezza delle risorse e il degrado ambientale – la pressione del profitto sulla variabile umana (forza lavoro) si è accentuata e le disuguaglianze sono diventate più marcate
Alla stagnazione degli anni Settanta, che ha decretato la condanna del comunismo, è seguito seguito un mini-boom 1980-2000 tramite maggior estrazione di plusvalore, strategie neocoloniali (vedi piani di aggiustamento strutturale del FMI), investimenti per la ricerca e lo sfruttamento di nuovi giacimenti di petrolio e idrocarburi nonché il ritorno in pompa magna del carbone; che cosa possiamo aspettarci per il prossimo futuro?
Dato che almeno per i prossimi trent’anni non sono previste grandi novità per quanto riguarda le fonti di approvigionamento energetico, il fatto che le costose riserve petrolifere non convenzionali debbano gradualmente assumersi un onere maggiore sulla produzione non lascia ben sperare, anche perché energia più costosa sarà impiegata per recuperare risorse minerarie anch’esse sempre più complesse da estrarre; senza contare che il degrado ambientale attuale è molto più grave di quarant’anni fa, per cui, volenti o nolenti alcuni interventi di risanamento sono imprescindibili, con relativi oneri finanziari. Ovviamente le questioni energetiche ed ecologiche non potranno non riflettersi sull’agricoltura, la quale da parte sua è già afflitta da problemi peculiari come progressiva riduzione di terre arabili ed erosione dei suoli.
Tutto ciò lascia intendere che, qualunque ‘faccia buona’ possa aver mai mostrato il capitalismo in passato in termini di progresso sociale, sia oramai destinata a essere un bel ricordo. E’ molto probabile un ulteriore aggravamento delle tendenze già in atto per quanto riguarda l’ampliamento delle disuguaglianze a livello locale e globale; non è inoltre azzardato immaginare un’accentuazione dello sfruttamento umano e ambientale di aree del pianeta e di popolazioni già abbondantemente soggiogate al fine di conservare alcune oasi di benessere. Tale quadro d’insieme potrebbe ovviamente sfociare nello scatenamento di conflitti militari, come suggerito dalle recenti politiche di riarmo delle principali potenze mondiali.
Nel prossimo articolo rifletteremo sugli strumenti del capitalismo per governarsi e, nel limite del possibile, perpetuarsi.