Crescita, decrescita e oltre

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Vi invito a notare quanti titoli di giornale si riferiscono alla parola crescita, soprattutto in un periodo come questo nel quale il nostro paese si trova di fatto in uno stato di “crescita negativa”, nel quale si fanno grandi salti di gioia per un aumento dello 0,1% del Pil dopo anni di regressione, e come non si osi mai proferire la parola appositamente coniata “decrescita”, che rievoca invece sofferenze e penurie ancestrali.

Nell’ultimo mese (febbraio-marzo 2014) il sito dell’ansa ha riportato trenta notizie nel cui titolo è presente la parola “crescita”, vale a dire una media di una al giorno: una vera e propria ossessione. Certo, non c’è peggio di un sistema fondato sulla crescita, invasato di crescita, ma che non riesce a crescere.

Ecco alcuni titoli dell’ansa:

11 marzo: “Padoan, dopo grande crisi Ue guardi più a crescita”
6 marzo: “Fonti Tesoro, nessuna manovra-bis, si punta a crescita”
6 marzo: “Cina:boom delle spese militari,obiettivo crescita 7.5%”
5 marzo: “Tesoro:azione governo su lavoro-crescita”
25 febbraio: “Ue rivede al ribasso crescita Italia”
23 febbraio: “G20: ok a target crescita mondiale”

Vi invito anche a fare una semplice ricerca su google. Cercando la parola “crescita” si ottengono ben oltre dieci milioni di risultati, mentre con la parola decrescita se ne ottengono poco più di un milione: un ordine di grandezza di differenza. Lo stesso effetto si ottiene ricercando le parole su google trend, uno strumento che permette di capire l’interesse delle persone nella ricerca di parole chiave sul motore di ricerca nell’arco degli anni. La differenza in questo caso sfiora i due ordini di grandezza e si evidenzia come il termine decrescita sia a tutt’oggi un termine di nicchia. Spesso viene mal interpretato dal senso comune, come un ritorno alla pietra e alla scarsità, oppure viene semplicemente ignorato.

Secondo la stragrande maggioranza dei giornali e dei media, la crescita economica è la risposta per la crisi che stiamo affrontando, non soltanto per risolvere difficoltà economiche ma anche per le questioni ambientali e sociali connesse. Eh sì, perché senza crescita non si creano nuovi posti di lavoro, senza crescita non ci sono investimenti, senza crescita non c’è sviluppo, innovazione, senza crescita non si può investire in tecnologie verdi, senza crescita non si può portare avanti lo sviluppo sostenibile, senza crescita non si posso attuare politiche sociali, e via discorrendo. Insomma senza crescita economica non si fa nulla.

A dire il vero noi crediamo esattamente l’opposto, ovvero che la crescita non sia la cura di ogni male, bensì la causa della maggior parte dei nostri guai. L’idea della crescita indiscriminata, sempre e comunque positiva e auspicabile, ci ha annebbiato la vista, per questo non riusciamo a vedere altro, e soprattutto non riusciamo a comprendere gli effetti negativi di un sistema che ha perso ogni equilibrio, che non è più sostenibile sotto ogni punto di vista, che sia ambientale, economico o sociale. Un sistema che non ha più ragione di esistere. Infatti, è proprio la visione distorta che considera questi tre ambiti separabili e distinti che ha causato la deriva verso un mondo dove tutti pensano alla stesso modo e dove il sistema economico è in balia della crescita dei profitti e della competizione del mercato: una monocultura che fa da sfondo ad un unico paradigma economico.

Crediamo che soltanto agendo alla base di questo modello sarà possibile ritornare a una situazione di sostenibilità, e la decrescita vuole essere proprio un tentativo di ritrovare un equilibrio perduto. Non si tratta quindi di una semplice diminuzione indiscriminata della produzione, ma di un superamento del concetto di crescere per crescere, un modo per uscire dal culto della crescita e del progresso. La decrescita vuole essere un termine provocatorio di rottura con un sistema che non ha nessun futuro, proprio perché non ci garantisce un futuro, né a noi, né al pianeta che abitiamo.

Solitamente quando si vuole introdurre il concetto di decrescita si parte dal Pil, ovvero l’indice che considera tutte le transazioni monetarie e che viene preso spesso come riferimento per lo stato di salute dell’economia di un paese. È però ovvio che nel Pil rientrano tutte le transazioni economiche, perciò sono incluse le spese per incidenti stradali, per medicinali, per l’inquinamento, le spese militari, così come i rifiuti, gli sprechi e gli eccessi. Il Pil è un mero indicatore quantitativo di carattere economico e non considera nessun aspetto sociale e ambientale. Non è direttamente legato al benessere psicofisico delle persone, e diversi studi accademici mostrano che oltre una certa soglia la crescita economica non apporta miglioramenti significativi alla qualità della vita, piuttosto si parla di peggioramenti.

Decrescita significa quindi recuperare un equilibrio tra gli aspetti quantitativi e quelli qualitativi: un equilibrio sostenibile nel tempo. Su questo equilibrio si fonda l’armonia tra l’ambito economico, ambientale e sociale. In pratica la decrescita ci dice che la sostenibilità si ha soltanto quando esiste un equilibrio tra quantità e qualità e quando c’è armonia tra i fattori economici, ecologici e sociali. È sufficiente che soltanto uno di questi sia in sofferenza che inevitabilmente anche gli altri ne subiranno inevitabilmente le conseguenze, poiché tutto è collegato.

La decrescita però non si riduce solamente in un ritorno al buon senso e alla ragionevolezza, di cui pur c’è un disperato bisogno, dato che il culto del profitto ha prevaricato anche sulla razionalità, ma si presenta altresì come ripensamento della visione del mondo, andando a intaccare il pensiero dominante. È centrale, a tal proposito, la consapevolezza dell’interconnessione di tutti i fenomeni così come dell’esistenza di limiti fisici, principi tra l’altro già esistenti nelle filosofie orientali e nella maggior parte delle culture tradizionali, e “scoperti” recentemente dalla fisica moderna.

Da una nuova visione della realtà e da nuove consapevolezze è possibile tracciare dei lineamenti per progettare concretamente un futuro diverso. Il cambiamento è il tassello fondamentale dell’evoluzione e il nostro futuro dipende proprio dalla nostra capacità di cambiare, adattandoci anche ai mutamenti esterni, e non meramente dalla nostra forza fisica e intellettuale di imporci violentemente sugli altri e sulla natura.

L’evoluzione, non il progresso, è la spinta della vita ad andare avanti, ad andare oltre. La collaborazione e la condivisione, e non l’isolamento e la competizione, sono i principali strumenti di cambiamento. La felicità e il valore, e non l’avidità e il profitto, sono i nostri irrinunciabili obiettivi.

Fonte foto: MorgueFile

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Mi interesso da qualche anno delle tematiche della decrescita e della sostenibilità ambientale, economica e sociale. Sono arrivato alla decrescita dopo il mio percorso di studi di ingegneria nel settore della produzione di energia. Durante gli anni universitari sono stato membro attivo dell’associazione studentesca europea AEGEE ed ex presidente della sede locale di Firenze (AEGEE-Firenze). Ho lavorato a un progetto sull’energia geotermica a Budapest, dove sono vissuto per alcuni mesi nel 2009 e nel 2010 e ho scritto la tesi di laurea specialistica. Ho studiato anche la lingua ungherese. Nell’autunno del 2010 ho scritto il saggio Decrescita Felice e Rivoluzione Umana e aperto l’omonimo blog dove cerco di diffondere le mie idee attorno alla decrescita felice e alla filosofia buddista. Nel 2012 ho contribuito alla rinascita del Circolo Territoriale del Movimento della Decrescita Felice di Firenze (MDF-Firenze), di cui sono parte attiva. Ho lavorato nel settore delle energie rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico. Mi diletto nello scrivere poesie “decrescenti” e nello spostarmi quasi sempre in bicicletta. Credo nella sobrietà, nella semplicità e nelle relazioni umane disinteressate come mezzo per migliorare la qualità della vita e cerco ogni giorno di attuarle. Ho scritto due libri sulla decrescita liberamente scaricabili da questo sito: "Decrescita Felice e Rivoluzione Umana" e "Ritorno all'Origine"

4 Commenti

  1. E’ proprio così!
    Io voglio potermi dedicare all’orto, agli amici, alla cucina, al cucito, alle passeggiate, alla contemplazione…non voglio lavorare tutto il giorno e non avere tempo per fare altro. Anche se il lavoro fosse un lavoro gradevole (fatto come lo facciamo noi, diventa necessariamente sgradevole!), non si può e non si deve fare solo quello nella vita.

    Io cerco di decrescere, cerco di coinvolgere gli amici ma la prima domanda che mi fanno è:”E il mutuo? come lo paghiamo il mutuo della casa?”
    Questo è un fattore determinante a mio avviso.
    Oggi il costo di un’abitazione è esageratamente elevato.
    Se non avessi il mutuo da pagare potrei lavorare molto molto meno….

    come la mettiamo?

  2. Cara Leda,
    l’idea e` di lavorare meno “in ufficio” (o dovunque ti senti costretta a farlo) per avere piu` tempo per poter costruire la tua casa da te… come la vuoi.
    Certo devi sempre comperarti i mattoni, o il materiale per farli… ma se l’economia e` locale, ci sara` senz’altro qualcuno che ne fa di piu` di quanti gli servono e te ne puo` dare alcuni.
    Insomma: lavorare di meno per fare di piu`.
    Ciao
    Giulio

  3. Luca, tutto giusto tutto, tutto sacrosanto e tutto purtroppo già detto più volte all’interno della “comunità” favorevole alle idee della decrescita. E’ questo il punto, che non si esce all’esterno, che non si fa breccia nel pensiero dominante. E’ per questo che il rapporto tra la parola crescita e la parola decrescita è così sfavorevole su tutti i media. In passato ho scritto qualcosa sul rapporto tra decrescita e politica, ma senza approfondire troppo. L’approfondimento invece diventa indispensabile quando devi trasportare il discorso da un piano accademico ad uno fattuale. Certe domande a cui i detrattori della decrescita si attaccano come sanguisughe non sono più eludibili (cito solo ad esempio quelle relative alla crescita demografica, al rapporto tra nord e sud del mondo, al rifiuto della globalizzazione con tutto quel che comporta, al recupero di un rapporto corretto uomo/territorio, temi sui quali probabilmente troveremmo divergenze anche al nostro interno).
    Per provare a dire la mia e a mettere qualche mattoncino su questi campi minati sto scrivendo un lungo articolo che chiamerò “Antagonismo” e che probabilmente dividerò in 3 parti, proprio perché lungo. ma qui volevo solo esprimere la condivisione di quanto hai scritto e al tempo stesso l’esigenza di confrontarsi al di fuori della cerchia ristretta di chi già la pensa come noi.

    • Ciao Danilo,
      mi pare che oggigiorno, la questione stia in questi termini: da una parte ci sono i fautori della crescita che, loro malgrado, non riescono a cogliere i frutti delle loro decisioni.
      L’Italia non solo è ferma ma è in recessione e, propaganda a parte, tutti gli indicatori economici sono negativi.
      Dall’altra ci sono quelli come noi che parlano sostanzialmente di un mondo alternativo: basato sui valori e non sulle merci, sul “bene comune” piuttosto che sull’egoismo individualistico del possedere.
      Non si tratta (solo) di capire chi abbia ragione.
      Il sistema basato sulla crescita è in regressione.
      Le cose stanno anche peggio di come le si rappresenti e le variabili latenti prima o poi diverranno palesi, con conseguenzei deflagranti per il tessuto sociale.

      Dunque la vera alternativa non è crescita/decrescita ma tra un tracollo latore di disastri sociali inimmaginabili ( incluso gravi problemi di ordine pubblico) e una decrescita felice perchè desiderata e costruita col contributo di tante forze sane e tra loro solidali.

      Non so dire quanto a lungo le cose potranno andare avanti così.
      Il Governo si affanna a cercare rimedi e, come dicono a Bergamo, “con un pò di balle e un pò di polenta” tentano di evitare la deriva.
      Le cose però non stanno ferme e, nelle more di soluzioni efficaci, le condizioni reali del Paese non possono che peggiorare.

      E’ vero, siamo in pochissimi. Tuttavia colgo molti atteggiamenti positivi tra lo sconcerto generale della popolazione.
      Per esempio è positivo il senso del “bene comune” come valore da condividere.
      E’ positivo che gli anni ’90 e 2000, all’insegna dell’egoismo individualistico siano ormai un ricordo lontano.
      Monta l’idea dell’importanza del fare “insieme”.
      Certo, ripeto, sono processi latenti e spesso contradditori; eppure sono presenti e sono destinati a rafforzarsi.
      L’altro elemento che possiamo scorgere, non so fino a che punto positivo, è il rapporto con la politica e il sistema dei partiti.

      Mi pare tramontata la fase del semplice sdegno e rifiuto della “casta”. Le cose, ormai, mi paiono oltre: oggi prevale il senso dell’inadguatezza della politica e, tutto sommato, dell’idea stessa della “democrazia delegata”; ora cnsiderata come un vestito che va stretto.
      C’è voglia di riappropriarsi del proprio futuro, di costruire una progettualità condivisa che parta dal basso.
      Tutto questo è ancora allo stato embrionale ma, usando un termine statistico, possiamo dire che si tratti di un “leverage” della storia sociale che, in qualche modo, è il fulcro attorno al quale il vettore che direziona l’opinione sociale sta ruotando e prendendo un’altra direzione.

      Personalmente ondeggio sempre tra il desiderio egoistico di preparare la mia “arca” personale per mettermi al riparo dal diluvio che verrà e quello, nonostante tutto, di apprezzare i segnali positivi che provengono dalla società che, per quanto timidi e numericamente deboli, rappresentano pur sempre la speranza che un mondo diverso sia possibile.

      Leggerò con interesse il tuo “antagonismo”: titolo quanto mai efficace ed appropriato.

      Bravo a Luca, come sempre, per la sua lucida analisi che condivido.

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