Continuo le mie vanvere suscitate da una “pagina corsara” di Pier Paolo Pasolini, uscita sul Corriere della sera il 9 Dicembre 1973.
“Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.”
Il noto sociologo Zygmunt Bauman, al quale dobbiamo la teorizzazione della “modernità liquida”, offre una splendida fotografia della cultura consumista in “Consumo, dunque sono”. [1]Queste tre parole ci fanno capire già in nuce cosa significa “cultura consumista”: la mia soggettività è definita in base a ciò che consumo; oppure, ancora, il fatto di consumare mi rende un “essere” sociale. La caratteristica fondamentale della società dei consumi, dice Bauman, è la completa confusione tra “soggetto – consumatore” e “merce”. “Il compito dei consumatori, pertanto, e la principale motivazione che li spinge a impegnarsi in una incessante attività di consumo è quello di elevarsi al di sopra di quella grigia e piatta invisibilità e inconsistenza, facendo in modo di risaltare nella massa di oggetti indistinguibili.” [2] In questa ottica io non posso non consumare: consuma o muori (quantomeno socialmente). “Nell’età dell’informazione” dice Germaine Greer “essere invisibili equivale a morire.” È quello che succede, per tornare al tema della comunicazione, a chiunque di noi si voglia azzardare a scegliere di non possedere un dispositivo tecnologico avanzato e che permetta di rimanere perennemente “connesso” con il mondo esterno. Idem per quanto riguarda la vita sui social network: basta chiudere il proprio account per un breve periodo per rendersi conto di quanto esso costituisca una “seconda vita” nella quale succedono delle cose, si aprono discussioni, si prendono posizioni. Una seconda vita in funzione della quale, per esagerare un po’, si vive la “prima”. Ma con un vantaggio: basta un click e tutto si cancella. Basta un click per stringere amicizie e per chiuderle, per dare un consenso o per toglierlo, per esprimere la propria opinione, qualunque essa sia. Basta un click per “essere” qualsiasi cosa si voglia. Certo è che, rispetto alla scatola unica che è (era) la televisione, internet costituisce una vera e propria rivoluzione a favore della “pluralità” di canali. Ma forse questa è una magra consolazione; per certi aspetti, infatti, mi pare che internet e soprattutto i social network siano la diretta continuazione dell’operazione “di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza” operata dalla Tv. Tramite la televisione (a cui si riferisce il Nostro), che ha messo in primo piano il prodotto da acquistare, si è radicato il modello del consumismo e dell’uomo consumatore; tramite internet (e soprattutto i social network) si completa il gioco, in quanto siamo noi a diventare il prodotto che deve essere venduto. Tramite Facebook noi possiamo diventare i pubblicitari di noi stessi, creando la nostra pagina di presentazione, mostrando quello che ci piace, quello che facciamo, quello che pensiamo. E gli altri ci comprano esprimendo il loro consenso con il “mi piace”. Se il signor Facebook si decidesse ad affiancare il “mi piace” ad un più dialogico “non mi piace”, probabilmente crollerebbe tutto il meccanismo. Il “mi piace” è alternativo solo ad una cosa: l’indifferenza, quindi la morte. E pur di essere visibili, qualsiasi cosa, anche ai limiti dell’osceno. Abbiamo guardato per anni le famiglie della Mulino Bianco, aspirando alla loro immagine e convincendoci che questo non ci è possibile se non comprando i loro prodotti. Ora abbiamo la possibilità di diventare noi la famiglia Mulino Bianco da invidiare e da “comprare”. È sufficiente raggiungere una buona dose di “I Like it”.
“L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione…”
(continua)
[1] Z. Bauman, Consumo, dunque sono. Laterza, 2009, Bari.
[2] Ibidem.