Nell’era dell’obsolescenza programmata vale forse la pena recuperare un “reperto giornalistico” datato 9 Dicembre 1973, apparso sul Corriere della Sera e firmato da un nome che, purtroppo, le scuole riescono a pronunciare solo di strascico: Pier Paolo Pasolini. Poiché l’articolo è davvero ricco di spunti interessanti, mi propongo di scorrerlo interamente ma nel corso di più interventi, così da considerare un frutto alla volta. Lascerò a voi di fare una buona macedonia.
“Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana.”
Un primo elemento che viene messo in evidenza fin dalle prime righe dell’articolo, è il fatto che il modello economico del capitalismo sia diventato a tutti gli effetti una dittatura reale, imponendo in ogni strato sociale, in ogni zona del mondo, una cultura che permette di perpetuarlo senza limiti. Che tale cultura si chiami consumismo e non capitalismo contribuisce forse a non far percepire questi due fenomeni – a chi non si proponga di indagarli lucidamente – come direttamente e intrinsecamente collegati. Stessa cosa dicasi per la globalizzazione. Eppure il consumismo è uguale, ce lo dimostrano quelle tristi immagini, che chiunque abbia un po’ viaggiato potrà confermare, di persone ridotte in povertà ma che afferrano trionfanti una lattina di coca-cola. Il prestigio sociale oggi è molto democratico, non è protetto da titoli nobiliari o da professioni, ma dalle cose che ci passano tra le mani e che, ovviamente, scegliamo di pagare. E mentre siamo impegnati a gridare ingiurie contro il Mussolini di turno (battaglia che di per sé è pure nobile), non ci accorgiamo che il totalitarismo dilaga nelle nostre vite senza bisogno di dichiararsi tale o di essere controllato da un unico “folle e assetato di potere” responsabile. Su questo punto, comunque, tornerò in seguito.
“Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale.”
Globalizzazione si diceva, e non c’è bisogno di andare molto lontano. La distanza materiale è soltanto un fastidioso limite da dover superare con qualsiasi mezzo mi sia consentito; tanto più mezzi mi sono forniti, tanto meglio è. E penso allora alle polemiche intorno alla questione della Tav in Val Di Susa. Come osserva il Centro Documentazione Conflitti Ambientali[1], l’obiettivo principale dell’infrastruttura è “migliorare l’accessibilità nell’area di Torino affinché la regione ed il paese possano competere effettivamente nel mercato europeo.” La Tav porterebbe inoltre “vantaggi ecologici” riducendo il traffico su strada e le conseguenti emissioni di CO2 e aumenterebbe il turismo in Italia, quindi i posti di lavoro. Non voglio aprire una discussione direttamente sulla Tav (non perché non sia questione importante, anzi..) ma portarla come esempio di come i progetti di infrastrutture confermino la necessità assoluta di superare, nel modo più rapido possibile, l’ostacolo costituito dallo spazio, anche distruggendolo e devastandolo, se necessario. Innumerevoli sarebbero le conseguenze devastanti di un intervento come quello della Tav, e non parlo “solo” dei danni alla salute umana o ambientali ma anche della perdita irreversibile della bellezza del paesaggio. [2]Roba per romantici? Forse sì, i romantici (che avvertivano la comparsa del “nuovo mondo industriale” che oggi ben conosciamo) quanto meno hanno capito che la natura in cuiviviamo fa la differenza. Ma questo oramai è un tabù. Il paesaggio ci è sufficiente sulle cartoline o per fare una selfie con lo smartphone. Se poi è di cartone o fatto con Photoshop poco cambia. Non dobbiamo vivere nel mondo ma nonostante il mondo. Ottimo lavoro, homo sapiens..
E se una volta il mondo ci pareva infinito e si viaggiava con lentezza, con quella lentezza che è in grado di dare il senso della distanza, poteva esistere anche un sentimento (anche questo altamente romantico) che prende il nome di “esotismo”[3]. Esotismo è l’attrazione per il “diverso” geograficamente e culturalmente, per quella sfera di mondo che rimane (almeno parzialmente) inaccessibile e che, pertanto, costituisce un limite al nostro essere. Che spazio c’è per l’esotismo nella società globalizzata, dove “tutto il mondo è paese”? Dove la coca-cola è un simbolo universale e in una giornata o meno di volo posso arrivare dall’altra parte del mondo? Credo che l’esotismo, soprattutto inteso come “altrove” consolatorio (in cui è realizzabile ciò che non è realizzato) sopravviva…in un altrove che sarà sempre tale: il mondo della televisione. È forse il mondo della televisione, con l’immaginario che crea di “perfezione” realizzata nel consumismo, ad essere e costituire quel luogo inaccessibile che ci convince che un “riscatto” e una qualche forma di “felicità”, in mezzo a tutto questo stress e cemento, sia possibile e sia raggiungibile. È quella speranza, per chi ha visto il film da poco uscito (con “da poco” intendo l’anno scorso…nonostante l’obsolescenza programmata!) Hunger games, che è “l’unica cosa più forte della paura. Un po’ di speranza è efficace, molta speranza è pericolosa: una scintilla va bene, purché sia contenuta”. E quindi, quando c’è una “folla inferocita”, “se non sei in grado di spaventarli, dagli qualcosa per cui fare il tifo…”. Anche la televisione è una scatola magica molto democratica.
“Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva….”
(continua…)
[1] http://asud.net/wp-content/uploads/2013/07/ALTA-VELOCITA%E2%80%99-IN-VAL-DI-SUSA.pdf
[2] “Gli oppositori della TAV sottolineano che la costruzione della linea Torino-Lione condurrà a cambiamenti ambientali che modificheranno la morfologia e l’aspetto del
paesaggio. Lo spazio necessario per i cantieri di costruzione e l’immagazzinamento dei materiali estratti comporterà la perdita di terre coltivabili, prati e boschi (AA.VV., 2002,
ARPA, 2005: 23). Questa minaccia solleva la questione della valutazione del paesaggio in aggiunta alle valutazioni dei danni all’ambiente e alla salute. Di solito, le
valutazioni non economiche, non direttamente legate alla salute umana o alla contaminazione ambientale, sono assenti dai processi decisionali; la valutazione del
paesaggio e della bellezza naturale, tradotta in termini monetari o di altro tipo, potrebbe diventare la base di un forte argomento di opposizione.” Ibidem.
[3] Dal vocabolario Treccani: “Con sign. astratto, in genere, il gusto, la ricerca e l’uso delle cose forestiere, estranee alle tradizioni locali, nelle arti e nella vita; adesione a forme artistiche esotiche, e in partic. orientali. In senso specifico, l’aspirazione, che ebbe la massima diffusione col romanticismo e col decadentismo, verso i paesi dell’Oriente e del Sud, vagheggiati come paesi più ricchi di sensazioni, e, in minor misura, verso quelli di civiltà ancora primitiva.” http://www.treccani.it/vocabolario/esotismo/
E’ sempre sbagliato etichettare le persone del passato in base a definizioni attuali, ma sono abbastanza sicuro che oggi Pasolini rivedrebbe nella decrescita gran parte delle sue aspirazioni e della sua critica. Siccome ahimé Pasolini è morto (o meglio: è stato assassinato) e la decrescita non può più dargli niente, vediamo che cosa la decrescita può prendere dal grande scrittore. Siccome alla sua epoca Pasolini era accusato dalla sinistra di essere sostanzialmente un reazionario, penso al contrario che oggi il suo pensiero possa aiutare la decrescrita ad evitare di scadere su posizioni reazionarie e nostalgiche mantenendo alcune aspirazioni ‘progressiste’ ineludibili.
Molto brava Giulia, una disamina profonda e ineccepibile.
Il nodo gordiano dell’ articolo, infatti, resta il capire la considerazione sulla disparità dei mezzi, nel proporre un modello assolutistico, fra fascismo ideologico (preso ad esempio dal regista, come realtà nota ai lettori italiani) e il capitalismo nella sua coercizione consumistica. Neanche i totalitarismi del ‘900, che storicamente già si proponevano come realtà storica del tutto nuova, grazie proprio ai nuovi modelli mediatici e sociali, ebbero i mezzi per attuare una trasformazione così “assoluta” nella cultura, rimanendo mere ideologie. Oggi vivere in società significa aderire al consumo dal basso, i modelli non vengono proposti dall’ alto sotto forma di necessità per un fine grande, vantaggi per la nazione e individuali, ecc.., ma come un vivere quotidiano scontato. Non si sceglie di aderire al consumismo, ci si adegua ad esso, e il contrastarlo al contrario, diventa una forma “alta” di pensiero, quasi ideologica. Non c’è libertà non perchè si è costretti a scegliere, ma perchè non lo si fa e basta. In poche parole, la massa sotto i totalitarismi doveva aderire all’ aspetto sociale, ma individualmente la persona poi viveva la propria quotidianità, fatta di amici e parenti (magari ebrei), fatta di valori, identificazione nel territorio, ecc.. Oggi si vive il consumismo sia sotto l’ spetto sociale che individuale. Essere fuori dal consumismo non significa solo, non aderire alla vita sociale nella maggior parte delle sue sfaccettature, ma anche privarsi di comodità individuali… la massa che aderiva al fascismo aveva quindi un tornaconto che irrompeva nella vita quotidiana, staccata da essa (non che dovesse esserlo ma appunto non si riuscì a renderlo tale). Il consumismo è un totalitarismo reale non ideologico è questa la sua pericolosità. Altro fattore determinante, da ricordare per capire la pericolosità di ogni “buon” totalitarismo è:”che la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti” cit. -Primo Levi- frase comparsa sempre sul corriere della sera nel 1972 se non erro. http://aforismi.meglio.it/aforisma.htm?id=5c44
L’ aspetto ridicolo di oggi è che la dimensione globale assunta dal consumismo rende il carattere autartico delle ideologie del ‘900 quasi un legante sociale, ed è per questo a mio avviso che oggi rinascono movimenti nazi-fascisti quali quello inglese e russo (guarda caso i due paesi che più hanno lottato contro l’ ideologia nazional sociale e aderito a sistemi che hanno fallito anch’ essi sotto i colpi del capitalismo, liberal-democratico e socialista). Pasolini nell’ intervista non intravedeva infatti grandi possibilità d’uscita da questa situazione.
La “decrescita felice”deve voler essere questo, il legante sociale nonchè valore di impegno individuale, che porterà la gente, almeno in europa a non sprofondare assieme alla crisi economica che ci aspetta. Concordo con Igor infatti.
Grazie Giuli, sei il nostro legante intellettuale