Ed eccomi qui nuovamente, appena tornato dalla Terza Conferenza Internazionale sulla Decrescita, la Sostenibilità Ecologica e l’Equità Sociale che, come saprete, si teneva proprio in questi giorni nella splendida cornice veneziana.
Mentre nelle varie plenarie si sono rivisti volti noti della decrescita – Latouche e Pallante in testa[1] -, nelle piccole aule che ospitavano i workshop si sono udite voci per lo più nuove, segno che le idee decrescentiste si sono oramai create una piccola nicchia nel mondo accademico, e vengono prese in inconsiderazione da un numero crescente di studiosi quali strumenti per interpretare il presente e delineare futuri possibili. Io stesso ho presentato un paper insieme a Patrizio Ponti, che potete leggere a questo indirizzo.
Ma veniamo ad alcune considerazioni generali maturate seguendo i vari interventi e dibattiti e di cui mi preme parlarvi.
1) Per quanto il corpus di idee che ruota intorno alla decrescita si arricchisca di giorno in giorno e si faccia più organico, esistono ancora consistenti zone d’ombra, specialmente nell’ambito delle concrete proposte politiche ed economiche, che richiederebbero studi più approfonditi e che rischiano di allargare le per ora ancora modeste divisioni fra i vari movimenti pro-decrescita. Già a sentire parlare Latouche e Pallante si sono notate delle divergenze di prospettiva sotto tali aspetti (che per la verità erano già note a chi aveva letto anche solo alcuni dei libri dei due autori).
2) Il punto 2 si ricollega al punto 1. Mi è parso che il movimento si stia progressivamente spostando a sinistra verso obiettivi in apparenza vicini all’eco-socialismo, sebbene non parrebbe trattarsi di uno spostamento uniforme (Pallante ad esempio ha ribadito la sua idea di decrescita come “meno mercato e meno stato”, e dunque come alternativa a entrambi gli schieramenti politici tradizionali). Nella mia prospettiva si tratta più di un rischio che di un’opportunità, principalmente per due ragioni:
a. il movimento corre il rischio in tal modo di essere assorbito e ammorbidito confluendo all’interno di ideologie più conservatrici, perdendo così parte della sua carica innovatrice e delle caratteristiche che lo contraddistinguono come alternativa rispetto al binomio consumismo-crescita. Il rischio è minimo ma va considerato con la dovuta attenzione.
b. un ulteriore spostamento a sinistra potrebbe far perdere la possibilità di coinvolgere persone di formazione liberale e/o portare a scismi interni che ne attenuerebbero la carica ideologica nel senso positivo del termine.
3) La crescita non è negativa di per sé. E’ senza dubbio positiva quella dei movimenti per la decrescita, che paiono in espansione, complice anche l’aggravarsi dei problemi che hanno portato alla loro nascita: la crisi economica, la crisi delle risorse, la crisi ecologica e – ma forse soprattutto – la crisi di identità dei cittadini del post-sviluppo – ricchissimi di gadgets ma poveri di significati. E tuttavia il movimento non è ancora un movimento di massa. Credo si trovi in questo momento a cavallo di quel precario limite fra nicchia e mainstream dove molti movimenti sono in passato morti, ovvero hanno perduto la giusta rotta; dove molti si sono scissi ovvero non sono riusciti a integrare le critiche al sistema con delle proposte organiche e credibili di alternativa. Credo che ora ci si trovi proprio qui, in bilico fra futuro e presente, con il primo incerto e il secondo bisognoso di definizioni e percorsi. Mai come adesso ci sarà bisogno di onestà intellettuale, apertura mentale e voglia di cambiare, da parte di tutti ma soprattutto da parte degli intellettuali e degli attivisti che più sono coinvolti nei vari movimenti. L’appello è il seguente: non arroccatevi nelle vostre posizioni ma dubitate, riflettete ed evitate di cedere alle sensazioni del momento e all’idealismo. Occorre tenere a mente che solo i mondi possibili possono divenire reali, e che tal volta il confine tra distopia ed utopia è solo una questione di prospettiva. Il rischio, questo sì reale, è che si butti con l’acqua sporca (la crescita per la crescita, l’inquinamento, lo sperpero di risorse) anche il bambino (il benessere delle persone, la loro libertà e le conquiste sociali ottenute con grandi sforzi negli ultimi due secoli). Soluzioni illiberali propugnate al grido di “il fine giustifica i mezzi”, oltre ad essere discutibili di per sé, potrebbero far perdere consensi alle idee decrescentiste, e andrebbero per quanto possibile scartate.
Ci sarebbero molte altre considerazioni da fare, ma per ora mi fermo qui. Spero che le mie critiche siano state intese per quello che realmente volevano essere: suggerimenti costruttivi. Ho concentrato le mie riflessioni sui punti più problematici tralasciando le numerosissime cose positive che ho visto alla conferenza, perché è la consapevolezza dei problemi che porta le idee a svilupparsi e ad organizzarsi in forme migliori. Il mio augurio è che nei due anni che ci separano dalla prossima conferenza internazionale queste ed altre questioni vengano analizzate e risolte, e che l’idea di un mondo decrescente prenda piede anche fra le grandi masse.
Una profonda riflessione pubblica su tali temi è di vitale importanza per tutti.
note:
1. Ma non sono mancati “outsiders” vicini alle idee decrescentiste come il famoso Rob Hopkins, che ha presentato gli ultimi sviluppi del progetto oramai transnazionale delle Transition Towns.