Cina e India ‘verdi’: un po’ di obiettività

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Qualche giorno fa, dando un’occhiata al sito Web di Megachip, l’attenzione mi è caduta sull’articolo di Pierluigi Fagan intitolato ‘Notizie da un altro pianeta: il rimboschimento di Cina e India‘; ne riporto alcuni estratti significativi:

La NASA ha pubblicato su Nature uno studio incredibile. Tramite osservazione satellitare, si sono accorti che il pianeta Terra è più verde di venti anni fa… comparando le rilevazioni su mappe, hanno scoperto che tutto il rinverdimento planetario era concentrato in due zone di questo strano altro pianeta, le zone dette “Cina” ed “India”. Caramba, che sorpresa! Hanno poi scoperto che gli abitanti di questo strano altro mondo, i cinesi, usano quello che chiamano “Esercito Popolare” per piantare alberi che contrastino l’avanzata dei deserti interni ed anzi, pare che questi strani esseri si siano messi in testa di rubare spazio al deserto stesso, piantando alberi a ripetizione… Si sono anche detti sorpresi del fatto che, alla stessa NASA, avevano letto i giornali che mostravano quanto pazzi fossero questi cinesi che si auto-soffocavano con l’emissione di CO2 a causa della dissennata idea di far avanzare il loro sviluppo.
Quanto a quegli altri alieni degli indiani, alla NASA hanno scoperto che a furia di fare figli che chiedevano di mangiare, si sono messi a coltivare sempre più spazio con culture multiple.
Insomma, i bizzarri indiani continuando pervicacemente a volersi nutrire con i vegetali, con l’agricoltura invece che le manipolazioni molecolari driven by biotecnologie di società quotate in borsa (creazione di valore dogma centrale della nostra forma di civiltà avanzata), piantano cose che poi crescono aumentando il verde. Che buffo, no?…
Mano umana (nome della strana specie che abita questo altro pianeta di esseri strani), non mano invisibile. La mano invisibile il verde lo distrugge per creare valore salvo poi mandare ragazzine con l’aria truce in giro per le grandi assemblee dei potenti a far da coscienza infelice che ammonisce. Qui da noi, allora, si scrivono corposi libri sull’Antropocene, usando carta che è presa dagli alberi che Bolsonaro sta buttando giù. Lì invece nell’altro pianeta, non scrivono libri ma prendono zappe e vanghe e piantano semi.

Che si condividano o meno i suoi giudizi, Fagan è comunque un serio analista, con la tendenza però ad andare troppo in brodo di giuggiole quando c’è di mezzo la Cina; ho preferito quindi consultare direttamente il link al comunicato della NASA inserito nel pezzo, dove è riportato l’esito di rilevazioni satellitari riscontranti, nel corso dell’ultimo ventennio, un processo di rinverdimento planetario, effettivamente ascrivibile in gran parte a Cina e India. Per la precisione, in Cina è stato constatato un aumento della superficie forestale, mentre nell’altro colosso asiatico il nuovo verde è dovuto per l’82% all’ampliamento dell’attività agricola.

I dati della NASA evidenziano, oltre all’exploit sino-indiano, una discreta performance dell’Unione Europea (di cui non c’è traccia su Megachip), significativa in quanto, a causa dell’elevato consumo di suolo, scarseggiano le aree non atropizzate; risulta disastrosa invece la situazione in Sud America, Indonesia e Congo.

 

 

Si può chiudere qui la questione? Non proprio. Approfondendo con qualche semplice ricerca in Rete, si scopre che Fagan ha trattato l’intera tematica a livello molto superficiale e fazioso, come del resto lasciano intendere anche le frecciatine contro i teorizzatori dell’Antropocene e Greta Thunberg. Per cominciare, il programma ‘Ecological Red Line’ – concepito alcuni anni or sono da Pechino per contenere desertificazione, erosione di suolo e diffusione di sostanze inquinanti – non è tutto rose e fiori.

Secondo una ricerca citata dal National Geographic, sono state realizzate vere e proprie monocolture forestali (basate, su bambù, eucalipto e cedro rosso del Giappone), a discapito della biodiversità, con pesanti ripercussioni sulla fauna avicola e gli insetti (specialmente le api); in questo frangente, i danni prodotti hanno superato i vantaggi. La riforestazione, quindi, pare guidata più da scopi legati al contenimento immediato del danno ambientale e alla sfruttamento del legname, che da intenti realmente ecologici votati a un risanamento di lungo periodo.

Del resto, molti cinesi si mostrano decisamente più obiettivi di tanti pifferai del Dragone. Zheng Tingying – esperto del Centro di riforma e sviluppo della China International Trust Investment Corporation – in una dichiarazione diffusa da Sputnik News Italia non solo ridimensiona l’exploit agricolo indiano:

Molte zone desertiche in India tramite il drenaggio delle acque reflue vengono trasformate in superfici arabili su cui poi è possibile coltivare. Quest’approccio ha i suoi pro e contro. Da un lato, aumenta la produzione di prodotti agricoli e viene risolto il problema della sicurezza alimentare. Ma dall’altro, questo presuppone un grande spreco di acque sotterranee, il che non permette uno sviluppo sostenibile dell’agricoltura a lungo termine.

ma nega anche che gli sforzi profusi rappresentino una sorta di miracolo ecologico che autorizzi a parlare (come fa Fagan) di ‘altro pianeta’, totalmente avulso dalle distruttive (il)logiche occidentali:

Se il livello di qualità dell’aria in Cina rimarrà come prima e le aree verdi cresceranno significativamente, questo migliorerà decisamente la qualità dell’aria in Cina. Tuttavia, la situazione attuale è tale che le emissioni annuali di sostanze inquinanti in India e Cina aumentano e l’espansione delle aree verdi è insufficiente per bilanciare gli effetti causati dall’aumento delle emissioni.

A testimonianza della gravità della situazione, Sputnik News rivela che il livello di PM 2.5 nell’atmosfera cinese presenta valori più di dieci volte superiori a quelli consigliati dall’OMS.

Per quanto mi riguarda, questo caso rafforza ulteriormente due miei capisaldi, ossia:

  • condurre analisi proponendosi l’obiettività senza per questo astenersi da valutazioni di merito e forti prese di posizione, ma suffragandole adeguatamente per evitare di scadere in atteggiamenti da tifoso;
  • cercare di approfittare dei piani di risanamento ambientale varati dai governi, per quanto insufficienti e/o mal concepiti, al fine di ricavarne il massimo risultato possibile, limitandone le storture o addirittura emendandole con un grande sforzo dal basso.

Le  misure dei due giganti asiatici vanno quindi salutate come una buona notizia (alla stessa maniera dei propositi europei in favore dell’economia circolare, ad esempio), nella speranza di perfezionarle, obiettivo non facile soprattutto nel contesto autoritario cinese.

In ogni caso, resta assodato che viviamo tutti sullo stesso pianeta e che, sebbene sussistano enormi differenze tra chi cerca di fare qualcosa contro il degrado ambientale e chi invece sembra proporsi di aggravarlo fino alla catastrofe, non esiste alcun regime illuminato da additare a modello di virtù ecologica. Ma questo, almeno noi, lo sapevamo già.

 

4 Commenti

  1. http://energyskeptic.com/2019/china-is-deforesting-russia/
    “Chinese demand is also stripping forests elsewhere — from Peru to Papua New Guinea, Mozambique to Myanmar”.
    No, no la Cina non fa proprio niente di buono, anzi, arriva fino alla campagna emiliana a prelevare foraggio per le sue vacche da latte. Qui dalle mie parti le strade sono intasate di Tir porta-container pieni di fieno che poi verrà spedito dall’altra parte del mondo. E non parliamo di quello che stanno combinando in Africa. Credo che anche l’India si stia orientando verso l’Africa, per quanto riguarda la produzione agricola e la conseguenza è il fortissimo aumento delle loro popolazioni metropolitane. E qui da noi addirittura li si loda per la loro efficienza ambientale. Pazzesco. I nostri giornalisti (e non solo loro) (anche chi pensa di salvare il mondo coi pannelli fotovoltaici e le pale eoliche) (l’ho detto) vivono nel mondo delle favole.

    • https://www.laogai.it/la-cina-e-il-principale-allevatore-di-maiali-perche-questo-dato-e-un-problema-video/

      “La soia è un legume originario della Cina che si adatta a vivere in climi molto diversi. Grazie alla ricerca scientifica, inoltre, sono state selezionate varietà diverse per ciascuna area del pianeta. In Brasile, per esempio, cresce così bene che la foresta amazzonica viene abbattuta per fare spazio ai campi di soia. Greenpeace ha denunciato che nel 2018 sono spariti 7900 km^2 di foresta, un territorio pari a quello del Friuli-Venezia Giulia. Ma il suolo disboscato non è adatto all’agricoltura intensiva perché è troppo povero di sali minerali per garantire la crescita delle colture. E quindi bisogna ricorrere al largo consumo di fertilizzanti, che drogano il terreno e inquinano falde acquifere e fiumi.
      Dove va a finire tutta la soia?
      La destinazione più comune per questa merce è la Cina. «La soia viene coltivata nel Mato Grosso, fa 3000 km attraverso il Brasile a bordo di enormi camion e raggiunge un porto, è imbarcata su delle navi che percorrono 20 000 km fino a un porto cinese, poi viene caricata su un treno ed è spostata per altri 2000 km, fino a raggiungere un allevamento di polli o maiali» racconta l’economista Joao Pedro Stedile.
      Quindi la soia serve per ingrassare i maiali, che sono una delle maggiori fonti di guadagno dell’industria agricola cinese”.
      Ecco, e con questo credo di aver compreso quasi tutto il Globo. Resta fuori forse l’Australia.
      Il problema non è il numero dei cinesi, che tendenzialmente credo sia stabile se non in ribasso, ma il fatto che la classe media di questo enorme paese abbia oramai adottato uno stile di vita occidentale.

      • Ciao Angelo, grazie per questa disamina che, seppur breve, dimostra come la Cina non faccia parte di un ‘altro pianeta’, come sostiene Fagan, ma sia perfettamente integrata all’interno di quel fenomeno unitario che è la globalizzazione economica, con tutto ciò che comporta a livello sociale ed ecologico.

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