Caro David, siamo il 99%?

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Dati i miei trascorsi giovanili di simpatizzante del movimento contro la globalizzazione neoliberista, la figura dell’antropologo e attivista David Graeber (scomparso a Venezia il 2 settembre scorso) non solo mi è nota ma anche particolarmente cara, in quanto ho sempre apprezzato le sue riflessioni feconde sullo spirito autentico della democrazia, sui meccanismi sociali e politici associati alla pratica del debito, sulla violenza occulta della burocrazia e sulla degenerazione della cultura del lavoro.

Per tali ragioni, mi spiace non poco che la sua persona possa rimanere associata principalmente al motto “siamo il 99%”, che io stesso ho gridato per anni a squarciagola prima di accorgermi della debolezza del concetto, sincero messaggio idealista che rischia di rivelarsi però un pericoloso specchio per le allodole.

Pensato ai tempi del suo impegno in favore di Occupy Wall Street e poi, rivisto e corretto, fatto proprio anche da molte realtà delle destra sovranista-populista per descrivere quello che oggi sarebbe lo scontro sociale principale in atto, ossia ‘popolo vs élite’, tale slogan lascia intendere l’esistenza di due realtà omogenee che si fronteggerebbero l’un l’altra (alla stessa maniera di ‘prima gli italiani’, ossia ‘italiani vs migranti’, e simili).

Se davvero fosse così, se all’1% di dominatori si contrapponesse davvero un 99% uniforme di assoggettati, allora la questione sarebbe molto semplice: nessuna coercizione o ‘lavaggio del cervello’ massmediatico potrebbero mai legittimare un simile squilibrio di forze, che quindi deflagrerebbe rapidamente. Se la società globale, nonostante parecchi venti di tempesta, non è ancora implosa su stessa, è perché il 99% non costituisce un corpo monolitico, ma estremamente variegato al suo interno.

Qualche esempio rivelatore. In tanti sui social network stano condividendo il rapporto di Oxfam Confronting carbon inequality, dal quale emerge che il 10% più ricco del pianeta emette più del 50% di gas serra: da qui molti ne deducono, abbastanza a ragione direi, che la crisi climatica rappresenta pure uno scontro di classe.

 

 

L’amico Nello De Padova, sul gruppo di MDF Italia, ha però evidenziato un fatto passato inosservato quasi a tutti, sebbene assai significativo: gli utenti che bombardano di like e spammano il documento di Oxfam con ogni probabilità appartengono proprio al famigerato 10% in questione, senza però essere consapevoli della loro posizione privilegiata.

C’è da stupirsi? Ben poco per la verità: basti pensare che la soglia di povertà mondiale fissata dalla Banca Mondiale si attesta su $1,90, mentre la BCE, determinando un valore medio tra i paesi della zona Euro, l’ha fissata a circa €25 (€9.200 annui). Che dire poi dei problemi alimentari dei poveri occidentali, causati in prevalenza da eccesso di junk food, condizione molto diversa dalla denutrizione? Quando Marx ed Engels invitavano tutti i proletari del mondo a siglare una comune alleanza contro il capitalismo, le condizioni di vita di chi occupava la base della scala sociale erano simili in tutto il globo, situazione cambiata drasticamente quando, dopo la seconda guerra mondiale, qualcuno ha potuto godere di un trentennio di boom economico e qualcun altro no.

La retorica che divide in modo manicheo sommersi e salvati della globalizzazione è quindi intrinsecamente fallace, perché in realtà esistono diverse fasce di popolazione che possono fruirne i vantaggi a un grado più o meno elevato. Del resto, di ‘sovranisti’ autentici ce sono molto pochi, tanti invece reclamano per la propria nazione il privilegio riservato a pochi nel sistema mondiale, cioé disporre dell’autonomia sufficiente per godere il più possibile dei vantaggi della megamacchina globale, cercando di addomesticarla e limitandone al minimo gli inconvenienti.

Queste considerazioni possono suonare molto desolanti, se non fosse per l’esempio di persone come Graeber il quale, pur potendo permettersi uno stile di vita più vicino all’1% che a quello della base della piramide, ha dedicato tutta la sua esistenza a favore di quest’ultima. Uno sforzo che ne ha sicuramente inficiato la salute e contribuito alla sua prematura scomparsa, ma che lo ha gratificato e reso un modello da seguire per tanti.

Allora sì, non siamo il 99% ma possiamo aspirare ad esserlo ogniqualvolta che, nei fatti, mettiamo in discussione il nostro status privilegiato e il sistema che alimenta la disuguaglianza. Ma si tratta di un percorso accidentato, dove bisogna mettere in conto che a soddisfazioni e a risultati positivi si accompagneranno insuccessi frustranti, torti subiti e persino calunnie. In sintesi, lo specchio della vita di David Graeber e tanti altri sinceri attivisti.

Immagine in evidenza: David Graeber (fonte: Wikipedia)

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

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