Il tema della scuola, negli scritti sulla decrescita, passa generalmente in secondo piano. Anche quando si discute di decolonizzazione dell’immaginario e di risveglio culturale, si tende a porre l’enfasi sull’influenza della pubblicità, dei media, della propaganda politica ed economica. Eppure la scuola, insieme alla famiglia, è ancora oggi un elemento centrale nella formazione degli individui. Tutti devono passarci, nessuno escluso: essa rappresenta lo spazio di socialità per eccellenza dei bambini, nonché la fonte principale delle loro preoccupazioni e delle loro conquiste.
Quando parliamo di scuola abbiamo tutti in mente degli elementi ben precisi i quali, uniti, costituiscono il modello scolastico occidentale, considerato da più parti come una tra le più grandi conquiste del secolo scorso. Nell’istruzione standardizzata e aperta a tutti si ravvisano criteri di eguaglianza, mentre nel sistema ad esami basati su valutazioni imparziali poggerebbe la tanto blasonata meritocrazia a cui tutti noi, cittadini democratici, dobbiamo un venerante rispetto. Raramente, tuttavia, se ne considerano gli effetti negativi.
Valutazioni.
Fra questi occorre innanzitutto evidenziare le logiche di competizione insite nel modello ed esasperate da un sistema di valutazioni univoco e inappellabile, basato su premi (voti positivi) e punizioni (voti negativi, ma anche note sul registro e strigliate verbali), che non lascia spazio a dinamiche di cooperazione fra gli alunni in quanto controproducenti a livello individuale (ognuno lavora per sé, e se aiuta un altro a prendere un voto più altro il suo avrà di conseguenza meno risalto). Un tale modello sposta l’attenzione degli studenti dal processo d’apprendimento in sé al premio finale, dallo studio per lo studio allo studio per il voto, finendo col far perdere interesse per l’oggetto dell’apprendimento in se stesso. Ve ne potete rendere facilmente conto prendendo un autobus in una qualsiasi città italiana negli orari di uscita dalle scuole. Le domande che sentirete gli studenti porsi avranno più o meno tutte lo stesso tenore: “quanto hai in mate?”, “quanto hai preso in storia?”; di rado udirete invece domande quali “sei capace di risolvere un’equazione quadratica?” o “cosa ne pensi del sacco di Roma”. La stigmatizzazione di chi ottiene valutazioni inferiori (e talvolta anche di chi ne ottiene di elevate) è un’altra conseguenza diretta e naturale di questo tipo di approccio all’insegnamento. Competizione e individualismo vengono premiati fin dalla più tenera età, ergendosi a capisaldi della vita scolastica quotidiana.
Programmi standardizzati.
La presenza di curriculum standardizzati alle superiori e addirittura di un unico curriculum (con lievi variazioni da scuola a scuola) per medie ed elementari è un altro elemento affatto privo di conseguenze. Esso conduce ad un’omologazione delle conoscenze fra i discenti e, in nome di un supposto eguale diritto allo studio, priva questi ultimi di qualsivoglia facoltà di scelta circa le materie da studiare, escludendo numerose branche del sapere e priviligiandone altre. Così ad esempio la letteratura italiana si studia fino alla noia alle elementari, alle medie e alle superiori, mentre le nozioni più basilari di economia o di storia del cinema (solo per citare due esempi) non sono di solito nemmeno prese in considerazione dai programmi ministeriali. Perfino in materie sovratrattate come l’italiano alcuni autori vengono fatti studiare fino allo sfinimento, mentre altri sono solamente accennati o addirittura taciuti. Si giunge in tal modo al paradosso di bambini e ragazzi che, provando forti interessi per materie di studio non convenzionali, sono invece portati a studiarne altre coattivamente e con scarso profitto (è più difficile studiare qualcosa che non interessa), mentre coloro i quali sono interessati alla letteratura italiana – o alla matematica, o alla storia – otterranno risultati migliori con relativa facilità. La realtà è che si tratta di due studenti con differenti interessi, mentre verranno giudicati dagli insegnanti, dai genitori e dalla società come individui più o meno portati per lo studio.
E tuttavia sarebbe miope non ravvisare che il problema di fondo insito nell’omologazione dei programmi è un altro. Lo dirò chiaramente e senza troppi giri di parole: l’imposizione di programmi non personalizzabili e calati dall’alto prescindendo dagli interessi personali dei singoli studenti, conduce inevitabilmente al prosciugamento dell’interesse. La spontanea curiosità del bambini viene meno quando non è lasciata loro la possibilità di porre domande ed ottenere risposte, quando sono costretti a marcire per anni e anni all’interno di un’istituzione gerarchica, divisa rigidamente a livello temporale (anni scolastici, orari, pause che iniziano e finiscono con una campanella) e spaziale (classi divise per età), dove è obbligatorio eseguire gli ordini con una certa costanza – pena il dover ripetere un anno – e dove il diritto allo studio è un diritto vuoto, perché è un diritto a qualcosa deciso da altri, secondo criteri di altri e senza possibilità di recesso. E’ un diritto al dovere, come lo era la coscrizione obbligatoria. Per difendere la patria e la nazione la prima, per difendere la tradizione e lo status quo la seconda.
Un modello antropologico di uomo.
Ma qual’è il modello di adulto che una tale scuola mira, come istituzione, a produrre? E uso il verbo produrre di proposito, al fine di sottolineare il fatto che l’istruzione scolastica occidentale è funzionale al modello economico-sociale vigente.
All’economia, alla politica – per il quieto vivere – occorrono adulti obbedienti, colti ma di una cultura stantia, arrugginita, che credano ciecamente nelle regole stabilite (perché è stato sempre così) e che anche quando si ribellano lo facciano riportando in vita antiche ribellioni, magari un comunismo d’altri tempi urlato senza sapere bene contro chi, per ammantarsi di ideali che non si conoscono. Persone in grado di obbedire agli ordini senza porsi troppe domande, che sfoghino le proprie repressioni nel consumo; che lavorino duro per consumare di più e per riuscire a far carriera così da poter incrementare ancora e ancora i propri consumi. E l’economia gira, ed è prosperità, e tutti sono felici nella propria gabbia d’oro – o d’argento, o di bronzo – perché sono liberi di scegliere, anche se quasi nessuno lo fa mai. Del resto la scuola ha insegnato loro che l’obbedienza alle norme costituite premia, permette di ottenere buoni risultati, di essere giudicati bene dagli altri, al contrario del pensiero critico.
Il senso di responsabilità che la scuola trasmette è un senso di responsabilità passivo, che si esaurisce nel fare quello che ci viene detto senza discutere, nel consegnare i compiti assegnati in orario, ben ordinati e compilati. Non vi è responsabilità per le scelte fatte, perché a scuola non sono gli studenti a scegliere. E allora all’autodisciplina si sostituisce la disciplina, e la convinzione che i bambini vadano spinti con la forza nella giusta direzione, perché altrimenti si perderebbero o farebbero chissà quale follia (magari giocherebbero… non sia mai!), è radicata profondamente nella mente degli adulti.
Qualcuno adesso dirà: “ma se non li formassimo per far si che ottengano un buon lavoro e un buono stipendio faremmo solo loro del male! I bambini non sanno cos’è meglio per loro!”. Siamo sicuri di saperlo noi, invece? Davvero siamo a tal punto persuasi che un lavoro remunerativo e un portafogli pieno siano la cosa migliore? Che per ottenerli si possano sacrificare senza pensarci anni di vita in una classe, e poi otto ore al giorno per il resto della nostra vita? Non sarebbe meglio realizzare qualcosa di creativo, gratificante, anche se sottopagato? Non sarebbe meglio lavorare tre ore al giorno invece che otto, e andare in giro in bicicletta invece che in auto? Non sarebbe meglio sacrificare l’avere anziché l’essere?
Non è filosofia, ma un invito a riflettere sul nostro attuale stile di vita. Ci consideriamo liberi di scegliere, ma siamo schiavi delle cose che potremmo possedere. Lo siamo a tal punto da obbligare i nostri figli a studiare per anni e anni solo per permettergli di avere una macchina lussuosa e una casa con giardino. La maggior parte di loro, per quanto ci sforziamo, finirà per ottenere un lavoro da impiegato e vivrà in un appartamento di periferia, ma vale la pena di tentare, c’è sempre speranza!
Non intendo sostenere naturalmente che bisognerebbe impedire ai nostri figli di vivere le proprie vite da consumatori, che bisognerebbe fare di loro degli eremiti. Dico solo che andrebbero loro concessi gli strumenti per vivere altrimenti. E’ necessario concedere ai giovani la possibilità di scegliere in modo autonomo cosa vogliano essere, permettendo loro di agire di conseguenza, seguendo le proprie inclinazioni. Non tutti diventeranno manager di multinazionali, perché non tutti sono portati a farlo e – incredibile ma vero – non tutti lo vogliono.
Ad alcuni bambini piace costruire le cose: diventeranno degli ottimi architetti, o degli ottimi muratori o ingegneri. Fare il muratore non è affatto un fallimento per uno che voglia farlo, a meno che in una società i muratori vengano visti come persone di serie B. A meno che i muratori non facciano i muratori perché hanno fallito nel tentativo di diventare a tutti i costi dei manager.
Utopia.
E’ questa la parola, a caratteri maiuscoli, che spiccava come primo commento di un mio articolo di qualche tempo fa dove parlavo di queste cose. Il commento finiva lì, una sola parola a bollare un’idea troppo estrema, troppo in antitesi con il nostro modo di pensare. Assurdo permettere ai bambini di decidere autonomamente cosa studiare e quando farlo, o di non farlo affatto. Permettere loro di decidere tutti insieme e con gli insegnanti le regole della scuola. Assurdo non valutare giorno per giorno le loro prestazioni attraverso dei numeri. Assurda una scuola aperta all’arte, alla creatività; una scuola dove si possa giocare!
Eppure, nonostante tutto, mi sento di dire con forza che non si tratta di un’utopia. Non solo una scuola di questo tipo è possibile: esiste già, e da molto tempo.
Scuole libertarie, scuole democratiche.
Si chiamano scuole libertarie, o democratiche (a seconda dell’enfasi maggiore che si vuole conferire all’uno o all’altro dei componenti che ne sono alla base: la libertà e la partecipazione) e sono oramai diffuse in molti paesi del mondo, Italia inclusa. Sebbene possano differire sensibilmente fra loro, in quanto a struttura e pratiche, tre elementi le accomunano tutte:
1) L’assenza di voti.
I bambini semplicemente non vengono giudicati per le loro conoscenze. Non vi sono né verifiche né esami né interrogazioni (sacrilegio!). La cosa sorprendente è che molto spesso in assenza di questi elementi i bambini apprendono più velocemente, fanno più domande quando non capiscono qualcosa (poiché non hanno paura di essere giudicati per questo) e instaurano fra loro meccanismi di cooperazione finalizzati all’apprendimento e non ai feedback dell’insegnante (copiare diventa una pratica priva di senso).
2) L’assenza dell’obbligo di frequenza delle lezioni e la possibilità di scegliere quali lezioni frequentare.
I bambini che si trovano in classe in una scuola libertaria sono lì perché vogliono esserci, dunque quando ci sono seguono con attenzione, cercano di apprendere il più possibile e partecipano più attivamente dei bambini che frequentano una scuola tradizionale. Se vogliono possono non andare affatto a lezione, scegliendo di giocare o fare altro (ad esempio leggere qualcosa che stimola il loro interesse). In certe scuole alcune lezioni (di solito quelle riguardanti argomenti giudicati essenziali quali leggere e scrivere, o l’aritmentica di base) hanno carattere obbligatorio, in altre perfino queste sono facoltative. Nel secondo caso, l’esperienza insegna che la grande maggioranza dei bambini sceglie di frequentarle comunque.
3) Assemblea generale.
In un certo senso il cuore pulsante di ogni scuola democratica. Si tratta di un organo assembleare al quale partecipano tutti i membri della scuola, ovvero studenti, insegnanti e (ma non sempre) genitori. Ogni individuo ha un voto, dunque il voto di un insegnante vale come quello di un bambino. L’assemblea si occupa di promulgare, revisionare e cassare le regole della scuola, sottoponendo a votazione le proposte originate dai suoi membri sulla base di principi maggioritari di varia natura (di solito lo standard è la maggioranza semplice). Una volta che una regola è stata approvata dall’assemblea tutti, senza eccezioni, sono tenuti a rispettarla, pena una sanzione (di solito decisa dall’assemblea stessa). In questo modo ogni bambino si sente maggiormente responsabile delle proprie azioni, poiché le regole che è tenuto a rispettare non sono calate dall’alto ma sono state elaborate con il suo contributo e approvate con il suo consenso.
Lo scopo della scuola è la felicità.
Detto così potrebbe suonare strano o banale. Naturalmente lo sviluppo umano dei bambini, dal punto di vista emotivo (fiducia in se stessi, socialità ecc.) e intellettuale (cultura, senso critico, creatività) resta lo scopo più tangibile di una scuola libertaria, e spesso rappresenta anche l’intento manifesto delle scuole tradizionali (sebbene nei fatti poi le cose siano molto diverse). Quello che cambia è il fine di lungo periodo e l’ideale a cui quest’ultimo fa riferimento. Nel caso di una scuola tradizionale si tratta dell’inserimento nella società, possibilmente in una posizione rispettata e ben remunerata. Quello di una scuola libertaria è far sì che i bambini siano felici, e metterli in condizione di divenire adulti altrettanto felici. A questo fine non conta riuscire a occupare una posizione di prestigio, quanto realizzare se stessi seguendo la propria strada. Non la strada che altri ritengono una buona strada, non ciò che da altri è considerato un buon lavoro, ma ciò che il bambino vuole fare. In altre parole, fornire a ognuno gli strumenti per sviluppare le proprie peculiari capacità secondo i propri desideri. Agli insegnanti, in questa prospettiva, è assegnato il compito di aiutare gli allievi a trovare il proprio percorso e a seguirlo e non, come accade nelle scuole tradizionali, di spingerli a imboccarne uno precostituito e giudicato migliore per loro dalla società.
Una società felice inizia con dei bambini felici.
Mi piace pensare alle società della decrescita come a società della crescita umana. Società libere dove ognuno possa seguire le proprie inclinazioni con calma, senza subire pressioni per arrivare a essere qualcuno, per riuscire a comprarsi una felicità. Potrebbe apparire folle l’idea di estendere questa libertà ai bambini. Io ritengo, al contrario, che quando riusciremo a sostituire l’aggettivo folle con l’aggettivo necessario avremo compiuto un passo enorme nella direzione di una società più serena. Bambini educati a essere liberi di seguire i propri tempi diverranno adulti più calmi, più sicuri e più sociali. Solo in questo modo sarà possibile sostituire la retorica e la pratica della competizione con la retorica e la pratica della cooperazione. La cooperazione volontaria, basata sul rispetto della libertà degli altri.
Il fatto che molte persone giudichino proposte come questa utopiche non è affatto indice della loro irrealizzabilità, quanto della scarsa lungimiranza a cui ci ha abituati un’istruzione da automi, che ci ha trasmesso una visione della storia lineare e inesorabile. Ma le cose stanno lentamente cambiando. L’ideale di una scuola più libera, veicolato delle scuole democratiche di tutto il mondo, si sta espandendo, e ottiene sempre maggiori consensi anche nella vecchia Europa.
Nel 2008, ad esempio, è nata, dall’unione di diverse realtà europee, l’EUDEC, organizzazione che si pone l’obiettivo di coordinare e aiutare le scuole democratiche già attive e quelle che ancora devono nascere. Un’organizzazione simile già esiste negli Stati Uniti, e un’altra potrebbe nascere a breve in America Latina.
Conclusioni.
Non voglio dilungarmi oltre, data la lunghezza considerevole già raggiunta dall’articolo. Per chi volesse approfondire, riporto di seguito alcuni siti dove è possibile reperire maggiori informazioni a proposito dell’educazione libertaria:
Punto di riferimento importantissimo è sicuramente il sito ufficiale dell’EUDEC, consultabile all’indirizzo www.eudec.org.
Vi è poi il sito della Rete per l’Educazione Libertaria, movimento che riunisce la maggior parte delle realtà italiane: www.educazionelibertaria.org.
(In questi due siti ospitano inoltre numerosi link verso altri siti e blog riguardanti il tema dell’educazione libertaria e democratica.)
Infine, il sito ufficiale della Kiskanu, una fra le più grandi scuole democratiche italiane, con sede a Verona: www.kiskanu.org.
Ci sarebbe naturalmente molto di più da dire sull’argomento, e diversi punti importanti non sono stati nemmeno sfiorati dal presente articolo. Vi invito dunque ad approfondire sui siti segnalati e a commentare numerosi, facendomi sapere la vostra opinione. Sono consapevole che, inevitabilmente, molti sentiranno l’impulso irresistibile a scrivere una sola parola, come fece la lettrice del mio blog tempo fa: UTOPIA. A loro in particolare chiedo di approfondire, magari visionando anche i diversi documentari e interviste disponibili in rete, girati nelle scuole, e di prendere visione con i propri occhi di queste realtà. Dopo un po’ che li si osserva ci si rende conto che in effetti non c’è niente di davvero strano o artefatto: sono semplicemente dei bambini che imparano e che giocano. Molti di loro probabilmente non sanno nemmeno che c’è chi considera le loro esperienze di tutti i giorni un’utopia, e probabilmente di questa parola quasi tutti ignorano persino il significato. Probabilmente, trasferiti in una scuola elementare tradizionale, troverebbero tutto quanto molto bizzarro, e chiederebbero in tutta naturalità agli insegnanti e agli altri bambini quando si tiene la prossima assemblea, perché ci sarebbero diverse cose che andrebbero cambiate e che vorrebbero proporre. Si potrebbe allora dire che l’utopia, come la bellezza, sta negli occhi di chi guarda.
Alla prossima.
Ho letto con attenzione l’intero documento poiché il tema dell’educazione scolastica come mamma mi coinvolge moltissimo, pur da profana in tema di pedagogia.
La mia perplessità innanzi tutto è legata alla reale applicabilità del sistema a livello estensivo, ovvero aperto a tutta la popolazione senza discriminazioni. Pensa che qualunque bambino, figlio di qualunque genitore, potrebbe frequentare utilmente una simile scuola? Non vede il rischio che i bambini meno sensibilizzati e sostenuti dalla famiglia o che a casa vivano situazioni difficili possano essere svantaggiati? Certo non più di quanto avviene nella scuola tradizionale, che ha enormi e paurose carenze come anche da lei evidenziato. Quanto è rilevante l’apporto dei genitori nel pieno realizzarsi di una scuola libertaria?
Da qui la coerenza di pretendere dallo Stato il riconoscimento di questa forma scolastica ed educativa, preludio necessario alla condivisione delle spese. Quest’ultimo è un elemento molto delicato di tutte le forme scolastico-educative alternative a quella pubblica: come sostenere i costi di una scuola comunque privata per una famiglia di quattro persone, con due bambini e 1000 euro di entrate mensili?
Infine una domanda pratica: come fanno le scuole libertarie a far riconoscere l’adempimento dell’obbligo formativo, previsto per legge, senza sostenere mai esami e rispettare programmi? Si tratta di una curiosità, non di una critica.
Cara Alessandra, le rispondo con piacere. Devo dire che ha toccato, con il suo intervento, alcuni fra i punti più problematici della questione “scuole libertarie”.
“Pensa che qualunque bambino, figlio di qualunque genitore, potrebbe frequentare utilmente una simile scuola?”
Per rispondere alla prima domanda occorrerebbe preliminarmente definire cosa si intenda con la parola “utilmente”. Ovvero occorrerebbe stabilire quale debba essere l’obiettivo finale dell’istituzione scuola. Se l’obiettivo designato fosse lo sviluppo armonico dell’individuo, delle sue capacità e talenti, ritengo che le scuole libertarie soddisfino molto meglio delle scuole tradizionali il proprio compito. Se altresì l’obiettivo fosse la formazione di individui che possano inserirsi con successo nelle attuali società, la risposta è più dubbia. Certamente un bambino che fosse interessato a sviluppare le capacità maggiormente richieste dal mondo del lavoro, attraverso un’educazione libertaria avrebbe la possibilità di svilupparle con profitto e accedere in seguito a una vita di successo dal punto di vista finanziario e del prestigio sociale. Come nell’esempio fatto nell’articolo, invece, un bambino che si interessasse tutto il tempo alle costruzioni potrebbe, finita la scuola, diventare un ottimo muratore. E molto probabilmente, a parità di condizioni esterne, sarebbe soddisfatto del suo lavoro tanto quanto il primo bambino. Il suo essere eventualmente meno felice sarebbe da imputare in misura sostanziale al minore apprezzamento della sua mansione da parte della società, dei suoi amici, dei suoi genitori e parenti. Ma il problema sta nella società (e nei genitori, e negli amici e nei parenti) o nel bambino (ormai adulto) e nel tipo di istruzione che ha ricevuto? Un muratore è una persona che non ha studiato o è una persona che ha studiato per diventare muratore? Seguendo la logica della società odierna, ma ribaltandola, si potrebbe tranquillamente sostenere che un professore universitario sia un ignorante, perché non sarebbe in grado di costruire un banale muro di mattoni. Il problema, appunto, non è generato dal lasciare che le persone sviluppino le proprie capacità peculiari in libertà, quanto dal fatto che alcune di queste siano tenute in grande considerazione dalla società mentre altre no. Il punto di vista delle scuole libertarie è che sia meglio produrre muratori felici piuttosto che ingegneri frustrati.
“Non vede il rischio che i bambini meno sensibilizzati e sostenuti dalla famiglia o che a casa vivano situazioni difficili possano essere svantaggiati?”
Il rischio esiste, ed è difficilmente gestibile dalla scuola, in quanto quest’ultima è solo uno degli assi portanti dello sviluppo del bambino, l’altro è costituito dalla famiglia, e in particolare dai genitori. Attualmente il problema è sicuramente marginale, in quanto la stragrande maggioranza dei bambini che frequentano scuole libertarie si trovano lì perché i genitori hanno scelto di mandarceli. E’ molto raro poi che un bambino chieda di cambiare e andare in una scuola tradizionale, soprattutto se lì ha iniziato la sua carriera scolastica.
Nel caso le scuole libertarie si diffondessero e divenissero maggiormente riconosciute (come sono già, ad esempio, in Israele) potrebbe accadere che alcuni genitori scelgano di mandare i propri figli a studiare in una scuola libertaria senza conoscerne la filosofia di fondo e in seguito, venendone a conoscenza, inizino ad osteggiarla. Come lei stessa ha evidenziato, tuttavia, si tratta di casi limite, che comunque sono presenti anche nelle realtà tradizionali. Là però i bambini non hanno alcuna possibilità di dire la loro, essendo completamente in balia dell’istituzione, e gli stessi genitori hanno limitatissime libertà di intervento (mentre, ricordo, in diverse scuole libertarie i genitori possono partecipare attivamente alle assemblee e in generale alla vita scolastica).
Bisogna tenere presente che la via libertaria e democratica all’istruzione non è la panacea per tutti i mali della società; semplicemente (ma è la mia opinione, condivisibile o meno) propone, per alcuni di questi mali, soluzioni più efficaci di quelle tradizionali, usando libertà e democrazia anziché gerarchia e dispotismo.
“Quanto è rilevante l’apporto dei genitori nel pieno realizzarsi di una scuola libertaria?”
Tralasciando l’apporto economico, oggetto della sua successiva domanda, direi che in media l’apporto dei genitori è decisamente superiore a quello permesso da una scuola tradizionale. Dico in media perché ogni scuola libertaria è un caso a sé (per via delle ragioni già spiegate nell’articolo). Si va dall’estremo del genitore che partecipa all’assemblea e svolge attività di volontariato nella scuola (ad esempio aiutando in cucina, oppure in veste di insegnante part-time delle materie di cui è esperto), a quello del genitore che si limita a portare il figlio a scuola e a venirlo a prendere, come in una scuola tradizionale. Vi sono poi casi di scuola-comunità, come Summerhill in Inghilterra, dove i bambini vivono nella scuola e tornano a casa solo nei periodi di vacanza. Quindi, se da una parte i genitori hanno spesso maggiori possibilità di partecipazione alla vita scolastica, dall’altra posseggono meno potere sui propri figli, non potendoli obbligare a svolgere i compiti a casa o a studiare le materie d’esame (in quanto gli uni e le altre non sono presenti, o non posseggono carattere obbligatorio).
“Come sostenere i costi di una scuola comunque privata per una famiglia di quattro persone, con due bambini e 1000 euro di entrate mensili?”
Anche qui è impossibile dare una risposta univoca. Naturalmente la soluzione ideale sarebbe il riconoscimento da parte dello stato e l’avvio di sovvenzioni pubbliche. Dato che tale obiettivo, sebbene molto sentito da parte di insegnanti e genitori libertari, in molti stati (fra cui l’Italia) sia ancora lungi dal realizzarsi, le soluzioni per consentire ai genitori che non si possono permettere la quota mensile di iscrivere comunque i propri figli sono diverse (e purtroppo spesso insoddisfacenti). Si va, a seconda della scuola, dalla destinazione di una parte della quota mensile al finanziamento di borse di studio destinate alle famiglie meno abbienti, al lavoro nella scuola da parte dei genitori in cambio di uno sconto sulla quota mensile. Molte famiglie naturalmente non potranno comunque avere accesso ad un’istruzione libertaria per i propri figli, e proprio questo è uno dei problemi principali a cui le varie associazioni (l’EUDEC in primis) stanno cercando di trovare soluzioni.
“Come fanno le scuole libertarie a far riconoscere l’adempimento dell’obbligo formativo, previsto per legge, senza sostenere mai esami e rispettare programmi?”
Per evitare di produrre una risposta chilometrica mi limiterò al caso italiano. In Italia le scuole libertarie non sono riconosciute ufficialmente come scuole paritarie, bensì come consorzi di genitori che decidono, avvalendosi del diritto all’istruzione parentale (garantito dagli articoli 30 e 33 della costituzione italiana, oltre che dal decreto legislativo 297/94), di educare direttamente i propri figli, delegando il compito della loro istruzione a dei tutori. E’ quindi necessario sostenere degli esami esterni, ogni anno o alla fine dei vari cicli previsti dalla legge (elementari, medie ecc.), al fine di consentire ai bambini di ottenere i vari diplomi e documenti ufficiali che attestano la loro conoscenza e permettono loro di accedere ai gradi di istruzione superiore. Questo è ovviamente un forte limite alla libertà dei bambini e alla possibilità di personalizzazione dei programmi. Le soluzioni sono diverse (tutte ovviamente basate su compromessi). In certe scuole si è deciso di rendere obbligatorie determinate lezioni particolarmente utili alla preparazione degli esami, in altre di lasciare i bambini liberi di scegliere se prepararsi o meno (con il rischio di perdere un anno ma conservando i principi di libertà alla base della scuola) ma fornendo loro la possibilità di frequentare corsi intensivi di preparazione qualora decidessero, all’avvicinarsi della data fatidica, di sostenere l’esame. Spesso queste diverse soluzioni sono decise dai bambini e dagli insegnanti proprio attraverso l’assemblea generale, il che è un segno del senso di responsabilità che possiedono i bambini liberi. Naturalmente gli esami esterni snaturano in parte la struttura della scuola, e ne minano l’atmosfera, che resta comunque largamente migliore di quella che si respira in una scuola tradizionale.
Per maggiori informazioni riguardo agli aspetti legali la invito a fare riferimento, oltre che ai siti segnalati nell’articolo, al libro di recente pubblicazione “Liberi di Imparare” (edito da Terra Nuova edizioni), che nelle sue ultime pagine dedica ampio spazio alla questione normativa.
Spero di aver soddisfatto almeno in parte i suoi dubbi. Mi faccia sapere se ha altre domande o se desidera ulteriori chiarimenti.
(sono stato costretto a dividere il messaggio in tante parti per rendere un minimo leggibile il testo, in quanto nei commenti non è permesso andare a capo…)
Grazie molte!
Molti dei ragionamenti esposti (non tutti) mi sembrano molto interessanti e condivisibili, frutto di una mente libera che sa analizzare in maniera critica, ma costruttiva, il mondo che la circonda. Le faccio i miei complimenti.
Ha frequentato per caso una scuola libertaria quando era bambino? O la scuola tradizionale con lei ha avuto successo?
La ringrazio per i complimenti, che fanno sempre piacere. Non ho frequentato una scuola libertaria bensì alcune normalissime scuole pubbliche statali. Mi risulta difficile pensare che la scuola tradizionale abbia avuto successo con me, in quanto a scuola sono sempre andato molto male. Ho cambiato due elementari, due medie e tre superiori, e non mi sono trovato bene in nessuna di queste (tranne forse in una delle due medie, dove però mi hanno bocciato!). Probabilmente ciò che mi differenziava da molti altri studenti che andavano male era il fatto che io molto del tempo che non dedicavo ai vari compiti a casa e alla preparazione di verifiche e interrogazioni lo passavo a studiare da autodidatta argomenti non contemplati dal programma scolastico: la storia contemporanea, l’economia, la filosofia religiosa dell’estremo oriente, la mistica occidentale. Sono convinto che la scuola abbia avuto successo nel farmi interessare agli argomenti che non trattava, questo sì. E molto probabilmente mi sarei interessato di più alla matematica, o magari alla biologia, se non avessi frequentato un liceo scientifico. Di sicuro si capisce anche dal tono dell’articolo, ma lo dico qui chiaramente: non sono fra le persone che vedono nella disciplina un modo efficace per costruire uomini migliori. Credo invece nell’autodisciplina, nella curiosità spontanea dei giovani, nella ribellione costruttiva, nella facoltà di pensare e agire fuori dagli schemi e di decidere della propria vita assumendosene la responsabilità. Tutte qualità che a mio giudizio la scuola tradizionale non solo non stimola, ma fa di tutto per contenere.
Lei mi ha esposto la sua esperienza scolastica e io le esporrò la mia, che potrei definire perfettamente duale. Ho portato a termine tutti gli ordini scolastici senza mai cambiare scuola e ottenendo sempre il massimo dei voti fino alla laurea con lode in ingegneria informatica. Come lei ho frequentato lo scientifico e le materie di indirizzo erano quelle che amavo di più, mentre digerivo meno bene storia e filosofia (che però ho riscoperto ultimamente). Sono sempre stato molto disciplinato e autodisciplinato (l’autodisciplina non è altro che una disciplina rivolta a se stessi): facevo ciò che mi veniva richiesto, ma non mi limitavo a quello, andavo oltre e approfondivo.
Io ritengo che lei sia una persona molto dotata, ma che è finita nelle scuole sbagliate: con ciò intendo che è finita a contatto con persone sbagliate, dato che la scuola in sé non esiste (se non come edificio scolastico), ma è solo un termine astratto per indicare un insieme di persone che si ritrovano in un luogo con uno scopo comune (così come possono essere una società, un’azienda, ecc…). Quindi sono le persone a ottenere i risultati e se le persone sono valide, disciplinate (o autodisciplinate), ecc… possono avere successo. Io ho avuto insegnanti molto validi e altri sicuramente meno validi, ma non credo che in una scuola libertaria le cose sarebbero andate diversamente. Lei con il suo impegno è riuscito comunque a raggiungere i risultati che desiderava, così come ho fatto io: forse ha dovuto faticare di più perché si è trovato a contatto con persone che non le hanno fatto amare lo studio (almeno per le materie che le insegnavano).
Il mio concetto quindi è che una scuola tradizionale valga quanto una libertaria (tranne dal punto di vista economico): sono due nomi diversi per indicare entrambi un gruppo di persone. Dipende poi dalle persone che compongono tale gruppo avere i mezzi e le motivazioni per ottenere i risultati. Essendo però una persona che crede nella decrescita, prediligo cercare di far funzionare le cose che abbiamo già invece di acquistarne altre, aggiustare la scuola che abbiamo (come viene sempre consigliato di riparare calzini, oggetti, giocattoli, ecc…) prima di costruirne una nuova. Si decresce riducendo gli sprechi: due scuole in antitesi sono uno spreco, cerchiamo di farne andare bene una, quella che già abbiamo. A questo proposito, se me lo permette, le consiglio una lettura “Malascuola” di Claudio Cremaschi: un libro piacevole scritto da una persona che è stato studente, insegnante e dirigente scolastico, che ha un punto di vista critico sulla scuola attuale, ma che propone soluzioni realizzabili di sicuro impatto benefico per gli studenti e gli insegnanti. Iniziando da quello si potrebbe innescare un circolo virtuoso nel quale tutti gli elementi della scuola sarebbero portati verso un maggior impegno e interesse e allora ci sarebbe più spazio anche verso un tipo di educazione differente.
La scuola esiste non solo come edificio scolastico, ma anche come istituzione. Ciò che identifica una scuola, un’azienda o una società non sono unicamente le persone che le compongono: primaria importanza rivestono l’insieme di regole che le plasmano e ne guidano lo sviluppo, prescrivendone confini e finalità. Allo stesso modo l’autodisciplina è una scelta responsabile dell’individuo che può essere reindirizzata da egli stesso in qualsiasi momento, mentre la disciplina etero-imposta è spesso un limite all’assunzione di responsabilità, e priva il soggetto della propria autodeterminazione, a prescindere dagli obiettivi che si prefiggono coloro che la impongono. Perciò definire la scuola come un luogo dove si riuniscono alcune persone per il perseguimento di uno scopo comune è piuttosto fuorviante. Come fa lo scopo a essere comune e imposto al tempo stesso? E’ il vecchio discorso roussoiano del contratto sociale: la società è un contratto fra cittadini che si mettono d’accordo per delegare le scelte importanti a qualcun altro, salvo poi dimenticarsi di porre una clausola rescissoria nel contratto e iniziare ad assistere impotenti ai cambiamenti. Piccola differenza: i “grandi capi” della società possono essere cambiati dai cittadini una volta ogni tot anni, mentre questo potere a studenti e insegnanti non è concesso. Inoltre scuola libertaria e scuola tradizionale non sono affatto due nomi diversi che indicano la medesima cosa. Non si tratta di apparenze, ma di sostanza, in quanto le regole, i fini, e le metodologie applicate nelle due istituzioni sono radicalmente altre. Però su una cosa mi trova d’accordo: lei avrebbe molto probabilmente avuto successo anche in una scuola libertaria. Tuttavia il contrario non è purtroppo vero per tutti: per ogni persona che possa avere successo nonostante la scuola, molte altre vengono mortificate a tal punto da perdere la fiducia in se stessi e l’interesse verso l’apprendimento. Certamente vi possono essere professori migliori e professori peggiori, ma mentre in una scuola libertaria i migliori possono essere immensamente utili ai bambini e i peggiori allontanati da loro, in una scuola tradizionale gli studenti sono costretti a convivere con gli insegnanti che la sorte ha procurato loro, fatta salva la possibilità, comunque dipendente dai genitori, di cambiare scuola o classe. Infine non concordo sui presunti minori sprechi derivanti dal mantenimento dell’attuale sistema scolastico. Secondo lei si potrebbe considerare lotta agli sprechi l’utilizzo per altri dieci anni di un’automobile che consuma petrolio e inquina invece dell’acquisto di una nuova automobile che funziona ad energia solare? Rifugiarsi nel vecchio che non funziona non è affatto decrescita. Il vecchio è meglio quando è meglio, non a prescindere da qualsiasi altra considerazione. In più, a differenza dell’automobile dell’esempio, non vedo la necessità di una grande mole di risorse materiali per convertire una scuola tradizionale in una scuola libertaria: i costi principali riguarderebbero le risorse umane, e la formazione del personale possiede un costo ecologico quasi nullo. Concludendo, è certamente possibile avviarsi verso un sistema scolastico libertario attraverso un sentiero riformista fatto di piccoli passi: in tal modo, per inciso, si ridurrebbero drasticamente anche gli sprechi (comunque ridotti) della transizione. Il libro in ogni caso me lo sono segnato. Spero la mia risposta non appaia eccessivamente polemica, ma del resto a volte è inevitabile che su temi così sensibili vi siano differenze di vedute.
Inizio dalla fine: ho trovato la sua risposta per nulla polemica, anzi ha un modo di esporre le sue tesi molto pacato e le argomenta in maniera approfondita e coerente.
Probabilmente resteremo su posizioni differenti, “del resto a volte è inevitabile”. Ci sono però molte persone che stanno andando verso la sua direzione e anche qui a Ravenna (in particolare a Classe) mi risulta esserci una sperimentazione “libertaria” all’interno della scuola primaria tradizionale: i bambini vanno a scuola senza zaino, possono frequentare lezioni diverse, esiste un angolo “morbido” e altro. Però le informazioni che circolano sono poche. Volevo quindi trovare almeno un libro di Alexander Neill che mi è stato consigliato durante una riunione in cui si parlava proprio di scuola libertaria ed educazione parentale, portata avanti attraverso i piccoli passi di cui parla anche lei alla fine della sua risposta.
Risalendo, io credo in un metodo più tradizionale, ma ovviamente anche questo ha le sue pecche. Ritengo ad es. che il meccanismo dei voti vada abolito e che gli studenti debbano apprendere, non confrontarsi tra loro (ma al limite con se stessi). Sicuramente per 4-5 che vanno bene in una classe, ce ne sono altrettanti cui della scuola non frega nulla e il resto che veleggia a metà, senza aver modo di esprimere potenzialità che un altro tipo di scuola consentirebbe loro di evidenziare.
Ma in questo sono più vicino alla proposta di Cremaschi e non sono d’accordo con lei sulla valutazione della decrescita, nemmeno nel caso dell’automobile: il risparmio si ottiene aumentando il tempo di vita degli oggetti e l’esperienza di ingegnere mi ha insegnato che un nuovo prodotto richiede un tempo di studio, progetto, prototipazione, indagini di mercato, revisione del progetto iniziale, produzione, lancio sul mercato, distribuzione, campagna pubblicitaria, smaltimento del vecchio, indagine sugli effetti dei nuovi materiali, risposta agli attacchi di compagnie rivali e opinione pubblica. Tutti costi che il mantenimento del vecchio ha già sostenuto. Quindi il risparmio di un’auto a energia solare diventa significativo quando almeno ricopre tutti i settori menzionati sopra. Altrimenti è conveniente, sia in termini economici che ecologici (che poi molto spesso sono la stessa cosa), tenersi la vecchia macchina a benzina limitandone il più possibile l’uso. E anche in questo le parlo per esperienza: il 3 marzo 2010 mi sono licenziato e ho provveduto a vendere l’automobile. Oggi lavoro qualche mese l’anno, solo in città e mi muovo sempre in bici o a piedi. Se però non si può rinunciare all’auto, allora consiglio di cambiarla solo quando la riparazione del vecchio modello ha un costo paragonabile (il 20% circa) dell’acquisto di uno nuovo.
Purtroppo temo di essermi spiegato male sulla scuola: intendevo dire che scuola libertaria e tradizionale sono fatte della stessa sostanza che può assumere forme diverse in quanto sono composte da persone che si trovano in un edificio per perseguire il medesimo di scopo di amare lo studio e di conseguenza di apprendere. Le regole, che possono essere diverse da una all’altra, sono comunque definite e accettate dai membri delle stesse: unica differenza è forse che nella scuola libertaria gli studenti concorrono in maniera diretta alla loro definizione, ma ad un processo analogo (sebbene molto più lento) si è assistito anche nella scuola tradizionale, le cui regole sono cambiate notevolmente negli ultimi decenni e sempre a favore degli studenti, specialmente di quelli più svogliati. I motivi per cui uno studente appaia più svogliato di un altro esulano da questa discussione e forse la scuola libertaria può avere qualche strumento in più per stimolare questa categoria, ma ritengo che basterebbe ampliare l’offerta formativa e adottare un modello simile a quello dell’università per ottenere migliori risultati. Queste considerazioni però le applicherei agli istituti superiori, perché mi sembrano inadatte a studenti più giovani.
Un’ultima domanda, per la quale la ringrazio in anticipo: esistono da qualche parte dei risultati “comparati” degli alunni usciti da una scuola libertaria rispetto a quelli degli alunni usciti da scuole tradizionali? Anche relativi a studenti di altre nazionalità. Ho tre figli e sarei comunque interessato a valutare qualche dato piuttosto che continuare a discuterne in maniera “trascendente”.
Mi dispiace riuscire a risponderle solo ora, ma quest’ultima settimana è stata piuttosto piena e prima non ho proprio trovato il tempo. Le risponderò in modo sparso, partendo dalla questione “automobile”. Sono solo in parte d’accordo con lei in quanto i costi di studio, progetto, prototipazione, indagini di mercato, revisione del progetto iniziale, campagna pubblicitaria e indagine sugli effetti dei nuovi materiali riguardano la produzione completa degli stock di automobili e non il singolo pezzo. Fra l’altro, per effetto delle economie di scala che solitamente caratterizzano il settore auto (sebbene non il settore auto elettriche), i costi di prototipazione, revisione progetto e indagini di mercato potrebbero divenire trascurabili rispetto al costo di produzione complessivo. Inoltre costi come quello relativo alla campagna pubblicitaria non possono essere se non in minima parte imputabili al singolo acquirente… tuttavia si tratta di una questione davvero troppo vasta per essere discussa seriamente in questa sede, quindi passo a risponderle circa la questione “scuole libertarie”. Se vuole un esempio concreto (seppure un po’ datato), le consiglio il libro “I ragazzi felici di Summerhill” di Alexander Neill, edito da Red Edizioni. Se invece sta cercando un resoconto generale sui vari aspetti del mondo delle scuole libertarie, “liberi di imparare” dovrebbe fare al caso suo: è uscito meno di un anno fa ed è edito da terra nuova edizioni. Certamente un sistema simile a quello universitario sarebbe già un passo avanti per le scuole superiori. E sono abbastanza d’accordo con lei quando afferma che il sistema libertario dovrebbe vedere aumentata la sua efficacia se applicato alla scuola superiore piuttosto che a quella dell’infanzia o a quella primaria (per tutta una serie di ragioni che è facile intuire e su cui non mi dilungherò ora). Purtroppo però le scuole libertarie, soprattutto in Europa, tendono a essere prevalentemente materne o elementari (e alcune volte medie), per ragioni principalmente burocratiche o legate alla minore preparazione necessaria per l’insegnamento. Per quanto riguarda i risultati, innanzitutto la invito a leggere la risposta che ho dato al commento lasciato dall’altra lettrice. Se cerca comparazioni a livello di resoconto di esperienze o di risultati legati a singoli casi, ne può trovare diversi nei due libri che le ho segnalato e in molti altri sulle scuole libertarie (la maggior parte dei quali, purtroppo, per ora non disponibili in italiano). Se invece è alla ricerca di comparazioni sotto forma di survey, io non ne sono a conoscenza, ma condivido il suo desiderio di vederne. Ho anche provato a dare un’occhiata sui siti di riferimento in lingua inglese e spagnola ma non ho trovato niente. Può essere che esista qualcosa e che possa essere scovata a seguito di una ricerca più approfondita. Se dovesse trovare qualche dato mi faccia sapere. A presto!
Grazie mille per i consigli e il lavoro di ricerca svolto. Quando avrà novità sarei interessato a vederle e poterne discutere.
“I ragazzi felici di Summerhill” l’avevo già chiesto in prestito ad uno dei ragazzi che stanno collaborando per la realizzazione di una scuola libertaria a Ravenna, dovrei averlo a breve.
Mi rileggerò il commento che aveva dato all’altra lettrice: avevo letto tutto il post prima di iniziare a commentare, ma oramai sono passate un paio di settimane dal primo contatto e purtroppo me ne ero scordato.
Buon lavoro
Tra le varie domande di Alessandra Piccoli, la questione economica è quella che per me stride con una scuola che si definisce Libertaria o Democratica. Mi sono avvicinata da poco alla scuola libertaria frequentando due gruppi di genitori (uno a Mola di Bari e l’altro a Ceglie Messapica) che sono partiti con il progetto. Il primo ha deciso di utilizzare una figura educativa esterna che naturalmente va pagata, mentre il secondo ha optato per una autogestione turnata tra genitori, quindi non ci sono rette da pagare se non la divisione di costi vivi e l’affitto della casa dove si svolge la giornata. Pagare una retta non è ,a mio avviso, “democratico” perchè esclude chi non può e rende questa scuola rivolta ad una elite, così come è stata per me l’esperienza alla scuola steineriana: bei principi ma alla fine roba per ricchi. Perchè , mi chiedo, scuole che sono nate per il popolo (la prima scuola Steineriana-Waldorf era destinata per i figli degli operai della fabbrica di sigarette Waldorf-Astoria) alla fine escludono quelli che sono più in difficoltà? Chi ha a cuore il futuro dei bambini, chi non vuole rinchiudere i bambini nelle scuole e darli in pasto al sistema, dovrebbe “dedicarsi” a loro con passione, amore, impegno, con in mente sempre questa missione, che come tale non va considerata come mestiere. Per lavorare si faccia altro. La coerenza ha un prezzo.
Forse è questa la vera UTOPIA. Mi piacerebbe avere confronti su questo argomento e -magari!- possibili soluzioni. Un saluto
Buongiorno Francesca. Io le posso dare la mia opinione, che è un’opinione personale dato che non ricopro alcun incarico in alcuna scuola libertaria né in altre organizzazioni collegate. Ritengo che la questione sia più che legittima, ma alcuni particolari andrebbero analizzati più attentamente. A mio parere il modello migliore dovrebbe essere misto: chi può permetterselo dovrebbe essere lasciato libero di pagare la retta e contribuire così al sostentamento della scuola, chi invece non può permetterselo (o preferisce dare un diverso tipo di contributo) dovrebbe avere la possibilità di contribuire col proprio tempo e/o con le proprie conoscenze. Solo così si potrebbe parlare davvero di democrazia: altrimenti i genitori “in carriera” e con buone possibilità economiche ma scarso tempo libero potrebbero dover rinunciare a migliaia di euro per dedicare tempo alla scuola e così facendo apportare un contributo reale molto inferiore a quello che potrebbero fornire per via economica. Dopotutto occorre ricordare che le scuole, specialmente quelle che gestiscono un numero rilevante di alunni, hanno dei costi non indifferenti, anche nel caso in cui gli insegnanti siano volontari. Dall’altro lato naturalmente si deve dare la possibilità ai genitori meno abbienti di contribuire alla scuola in altro modo, anche in proporzione alla loro disponibilità (come dire: un operaio guadagna meno di un manager ma spesso lavora altrettante ore). Dunque rette scaglionate per reddito e possibilità di chi abbia tempo e volontà (e le conoscenze adatte) di contribuire col proprio tempo anziché col proprio denaro. Un’ultima considerazione: garantire ai bambini di imparare in libertà implica anche una scuola laica ed apolitica, ovvero aperta alle suggestioni delle tante ideologie ma non strutturalmente ideologica. Una “scuola operaria” non può essere democratica, perché porterebbe i bambini “ricchi” a essere discriminati. Questo può essere difficile da accettare ma è molto importante. Occorre evitare gli estremi al fine di trovare un equilibrio che possa garantire a tutti un’istruzione migliore.
mi unisco ai dubbi esposti da Francesca Corrado e aggiungo questo: siamo due mamme con in mente un sogno, aprire una scuola democratica nel comune in cui abitiamo (provincia di milano) per il momento destinata a bimbi dai 3 ai 6 anni. abbiamo contattato un’associazione ambientalista che dispone di una baita all’interno di un parco, ed è disposta a concedercela per dar vita a nostro progetto di “asilo nei boschi”….ma entrambe lavoriamo e dovremmo lasciare le nostre occupazioni per poterci dedicare a questo sogno, per regalare un futuro diverso ai nostri figli e ai bimbi che vorranno unirsi a noi. e qui nascono i problemi: con cosa ci manteniamo? noi non vogliamo far pagare rette per la frequentazione, proprio perchè, come sostiene francesca, questo “stride” con il concetto democratico e crea un limite alla libera frequentazione della scuola. la nostra idea è di coinvolgere i genitori che, invece di pagare con i soldi, pagherebbero con un bene ben più prezioso: il tempo….. non ci lasciamo abbattere e andiamo avanti sulla nostra strada, ce la faremo! a disposizione per eventuali info, ciao a tutti! Natascia
Ciao Natascia. Come accennato nella risposta al commento di Francesca, non riesco a cogliere la connessione fra democrazia e assenza di rette. Certo le rette vanno scaglionate in base al reddito e va fornita ai genitori meno ambienti la possibilità di contribuire col proprio tempo anziché col proprio denaro. Ma obbligare tutti i genitori a un contributo in termini di tempo è fortemente discriminatorio nei confronti dei genitori che hanno un reddito più alto (il cui tempo, in termini di costi-opportunità, costa molto di più). Dunque a mio parere un sistema misto resta il migliore (vedi risposta a Francesca). Nel suo caso specifico io le consiglierei di cercare altri genitori con cui condividere il progetto, magari attraverso annunci su giornali locali o anche su riviste di settore (ad esempio sulla rivista “terra nuova” si vedono spesso annunci di genitori che cercano di avviare progetti simili al vostro). In ongi caso le faccio un “in bocca al lupo” e mi tenga aggiornato! Ah, stavo dimenticando: una buona idea potrebbe essere anche di chiedere il supporto della “rete per l’educazione libertaria” (http://www.educazionelibertaria.org/)
Buongiorno,
qualche mese fa abbiamo discusso in maniera aperta, ma decisa, di alcune sue opinioni. Voglio comunicarle ora che le sue parole, assieme a quelle di altri conoscenti, hanno piantato dei semi. Quasi quattro mesi più tardi abbiamo deciso di ritirare i nostri figli dalla scuola pubblica e abbiamo inaugurato la nostra scuola familiare che abbiamo deciso di dedicare a Iqbal e Malala, due bambini che più di tanti adulti si sono battuti per i diritti dei bambini. Abbiamo anche aperto un blog (http://scuolaiqbalemalala.wordpress.com/) per raccontare la nostra esperienza e condividerla con le persone che potrebbero avere bisogno di chiarirsi le idee su aspetti dei quali si parla così poco.
E’ vero altresì che la scuola familiare si sposa con il concetto di decrescita, perché richiede di rallentare non solo la produzione, ma tutti gli altri ritmi quotidiani per consentire di fare lezione ai bambini: lezioni libere, sugli argomenti che preferiscono affrontare, lezioni scherzose ma non caotiche, organizzate, ma senza voti né compiti. In poco più di un mese abbiamo già coperto tutto il programma di matematica della quinta elementare.
Dei due gemelli uno appare sempre un po’ annoiato mentre l’altro ci chiede in continuazione di fare nuove lezioni, anche dopo cena: abbiamo ripreso la grammatica italiana, maltrattata dalle insegnanti della scuola pubblica e abbiamo introdotto lezioni di musica, informatica, inglese sempre su richiesta dei bambini, perché la nostra idea è che dovrebbero potenziare le basi prima di affrontare altri argomenti. Allora ci siamo concentrati sulle note, sui file, sull’alfabeto e adesso abbiamo bambini che suonano il flauto in casa (preparano Jingle Bells per Natale), si fanno domande tra loro e iniziano a capire qualcosa di più di computer quando salvano uno dei disegni che fanno con Paint. Due bambini che si stavano spegnendo, le cui individualità venivano umiliate perché non conformi alla noia comune, in poco più di un mese sono rifioriti.
Ci tenevo a raccontarle la nostra esperienza (sperando che venga anche a visitare il blog) perché abbiamo ricevuto numerose critiche e attacchi anche da persone da cui ci aspettavamo se non comprensione almeno un minimo di sostegno. Ho pensato che anche lei si sarà trovato ad affrontare critiche a volte costruttive, a volte feroci e senza possibilità di dialogo, per questo volevo farle avere il mio sostegno, magari non sulle scelte che fa fatto, ma sull’aver fatto delle scelte.
Buongiorno Alessandro! La ringrazio davvero tanto per il suo commento, mi ha commosso. Ho letto quasi tutto il vostro blog e anche quello mi ha commosso. State dimostrando un grande entusiasmo e un grande coraggio a fare la cosa giusta in una società che spesso la giudica come la cosa sbagliata. Però mi permetta di farle una domanda: cosa l’ha spinta a questa decisione? Mi pare di ricordare dalla nostra discussione che lei pur criticando la scuola tradizionale proponeva una riforma dall’interno… ma in fondo queste sono questioni secondarie: la cosa davvero importante è che i suoi figli abbiano potuto ritrovare la serenità. Mi arrivano sempre più spesso segnalazioni di nuove scuole libertarie messe in piedi (soprattutto in nord italia) da genitori e gruppi di genitori che prendono in mano la situazione e si impegnano per la felicità e l’apprendimento dei loro figli. Poco tempo fa è nata ad esempio una scuola a Torino, che fra l’altro fa della questione ecologica un elemento centrale. Questi tanti esempi fanno ben sperare per il futuro, e il futuro sono persone come lei Alessandro. Grazie ancora
Buongiorno Federico. Non ero più tornato a vedere questa pagina e quindi non avevo potuto leggere la sua risposta, né la sua domanda in essa contenuta.
Ci sono tornato ora perché questa pagina è stata pubblicata in un gruppo fb sull’Educazione Naturale di cui faccio parte.
Direi che le motivazioni principali che ci hanno portato a scegliere per una scuola familiare sono due.
La prima era l’evidente danno che la scuola pubblica, per come è fatta adesso, stava portando ai nostri figli. Io ho un ottimo ricordo delle scuole che ho frequentato e ho sempre trovato in esse aspetti positivi e negativi, ma direi che i primi superavano i secondi. Al momento, nella scuola elementare attuale ho trovato solo aspetti negativi che arrecavano danno ai bambini sia dal punto di vista educativo che da quello emotivo.
La seconda motivazione è che avevamo la possibilità di farlo: la costituzione sancisce che i genitori sono i primi educatori dei figli e nel caso non ne abbiano le possibilità (economiche o culturali) per farlo, lo Stato subentra fornendo le scuole pubbliche. La nostra famiglia al momento ha (come in realtà molte altre famiglie) le competenze necessarie per fornire un’istruzione elementare, quindi mi sembra sensato farlo. Le poche cose che non conosciamo negli argomenti che vengono trattati li leggiamo insieme ai bambini, così impariamo un po’ anche noi. Inoltre possiamo filtrare le nozioni che riteniamo utili o importanti da quelle che non lo sono, possiamo concentrarci sulla conoscenza del territorio prima di quella del globo, possiamo far emergere le difficoltà che possono avere due bambini mentre affonderebbero quando si trovano in una classe.
In questo modo siamo riusciti in pochi mesi con l’interesse dei bambini e con una media di circa due ore al giorno di “lezione” a terminare gli argomenti di storia e matematica (che sono in linea con i programmi della scuola elementare che avevano frequentato Simone e David), siamo a pari con italiano e stiamo seguendo un programma diverso per geografia e scienze.
Le motivazioni sono quelle che le ho esposto, ma le rimetteremo in discussione anno per anno e, se un domani i ragazzi volessero rientrare nella scuola pubblica, saremmo lieti di fornire loro gli strumenti per poter scegliere con cognizione e per affrontare l’esperienza delle scuole secondarie (di primo e/o secondo grado) auspicando nel frattempo anche una riforma dall’interno per la scuola pubblica che porti ad un miglioramento della stessa e ponga più al centro i ragazzi invece delle materie. Un paio di idee in proposito le avremmo già, ma non siamo i ministri dell’istruzione, non ancora perlomeno 😉
Mi scuso anch’io per il ritardo nella risposta, ma la mail con la notifica del commento si era persa nei meandri della casella e-mail… Mi piacerebbe molto sentirle queste idee, quindi mi terrò informato sul vostro blog! Intanto rinnovo i complimenti e vi faccio gli auguri per una buona istruzione e una crescita sana e libera per i vostri bambini 😉
Bene allora mi ritengo un’insegnate fortunata perchè vivo una realtà, nella scuola pubblica, in cui ogni allievo è un mondo a sè e dove gli insegnati sviluppano percorsi “ad personam” che permettono ai bambini di sviluppare ogni parte del proprio IO.
Consiglierei personalmente un giro vero e reale nelle scuole pubbliche italiane!
Premetto che la mia critica non voleva rivolgersi tanto agli insegnanti quanto all’istituzione scolastica tradizionale (formata sia da scuole pubbliche sia da scuole private). Voglio dire, ben vengano scuole libertarie pubbliche, se solo fosse possibile. Quanto alla questione da lei posta, mi pare evidente che la sua scuola sia un caso raro se non unico nel panorama della scuola pubblica italiana. Mi lascia un po’ perplesso il suo riferirsi a dei “percorsi ad personam”. Come potete metterli in atto rispettando al tempo stesso la rigidità imposta dai programmi ministeriali e dalle normative vigenti? A meno che lei non si riferisca alla scuola materna, dove forse è concessa agli educatori (e ai bambini) una libertà maggiore.