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Sono uno dei tanti ultracinquantenni che con le leggi di venti anni fa sarebbero già andati in pensione ed invece con le odierne leggi dovranno lavorare (se ci sarà lavoro) altri dieci anni come minimo.
Non mi fa paura lavorare, solo mi rende triste dover rimanere inattivo, perché ovunque mi rivolgo tutti mi dicono che “non è compito nostro far
lavorare i dipendenti in cassa integrazione o in contratto di solidarietà”
Così me ne ritorno a casa mesto, ben conscio che quel barile al quale tutti attingono un bel giorno finirà se non finisce questa crisi, e allora saranno
dolori per tutti.
I miei genitori e nonni nel periodo post-bellico hanno vissuto veri momenti di solidarietà e di condivisione, non per questo se avete occasione di parlare con qualcuno che ha vissuto quei momenti vi dirà che tutto sommato erano momenti duri, ma felici.
Sono nato intorno agli anni sessanta, quando l'Italia era in pieno boom economico e ancora in fase di ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, i padri e le madri in quel periodo cercavano di crescere i figli in condizioni migliori di quelle in cui loro stessi erano cresciuti, il benessere
incominciava anche in Italia e con esso l'egoismo, lentamente si insinuava nel comportamento dell'italiano medio.
Il danno maggiore alla società odierna comunque è l'introduzione di modelli vincenti verso i quali i giovani sono stati stimolati dai mass-media e dalle dinamiche di gruppo, per semplificare vorrei evidenziare che il
modello del “furbo” ci è stato fatto digerire come “sempre vincente”
Viene da chiedersi se dobbiamo introdurre un nuovo modello di riferimento, e ora che la rete ci permette di conoscere in quali paesi del mondo secondo noi la vita è migliore, sta a noi poi scegliere a quale ambire , se per es. è migliore la Svezia, o gli Stati Uniti o forse il Buthan, e subito dopo aver pensato globalmente, agire localmente.