A mettere insieme latte ed amianto, nella stessa frase, sembra un po’ come parlare di cavoli e merende. Eppure i cittadini di Melpignano (LE), in questi giorni, lo fanno e anche spesso.
E’ a pochi passi da questo piccolo centro della Puglia, di circa 2000 anime, che la Project Resources Asbestos srl pensa di costruire il primo impianto di inertizzazione dell’amianto tramite l’utilizzo di un altro rifiuto pericoloso: il siero del latte.
Il processo biotecnologico di distruzione dei manufatti in cemento-amianto è a marchio Chemical Center srl, Università di Bologna, e si basa su una doppia fase di immersione dei manufatti negli scarti acidi caseari. La prima solubilizza la componente cementizia, la seconda, a 180°, distruggerebbe del tutto le fibre d’amianto.
A sentire l’azienda, l’intero procedimento non comporterebbe alcuna liberazione delle fibre nell’atmosfera, avrebbe come unico scarto acque scaricabili in fogna e otterrebbe perfino prodotti commerciabili come idropitture e concimi.
Sembrerebbe l’America per un paese come il nostro, afflitto da una penosa quanto insufficiente presenza di discariche dedicate. L’INAIL, Dipartimento Installazioni di Produzione e Insediamenti Antropici (DIPIA), denuncia, al giugno 2013, la presenza di 73 discariche sull’intero suolo nazionale, di cui solo 19 in esercizio e ben 8 regioni, molte a Sud, che ne sono completamente sprovviste.
Un numero così basso di discariche, a fronte di 30 milioni di tonnellate di rifiuti contenenti amianto ancora da smaltire, significa conferimento all’estero di rifiuti a codice CER (Germania in primis) e innalzamento esponenziale dei costi di smaltimento.
Tuttavia, i Melpignanesi si ribellano alla costruzione dell’impianto che risolverebbe parte dei problemi e il Movimento Cinque Stelle, il 25 febbraio, porta la questione a Montecitorio.
Ci sono in Italia – si legge nell’Interrogazione – oltre cento brevetti per la denaturazione dell’amianto, nessuno dei quali ha raggiunto adeguati standard di sicurezza e un accettabile rapporto costi/benefici. Inoltre, il DIPIA lamenta che, nelle more del D.M. n.248/2004 (Regolamento relativo alla determinazione e disciplina delle attività di recupero dei prodotti e beni di amianto e contenenti amianto), privo com’è di procedure attuative, non è possibile stabilire criteri di controllo e di operatività degli impianti di inertizzazione.
Le associazioni del leccese, in merito al processo brevettato dalla Chemical Center Srl, si pongono numerose domande. Uno dei punti di forza del progetto, ad esempio, è costituito dal riciclo non solo del siero del latte, ma anche di altri scarti di lavorazione, purchè sufficientemente acidi, come quelli derivanti dalla viticoltura o dalla spremitura delle olive, ossia “rifiuti alimentari tipici della regione in cui sorge l’impianto”. Tuttavia, per trattare le 10 tonnellate di amianto al giorno previste dal business plan, occorrerebbero da 50 a 1000 tonnellate di siero di latte: una quantità di cui in zona non si dispone. Inoltre, lamentano i pugliesi, non è chiaro come la reazione chimica tra amianto e siero di latte possa riprodursi con gli altri reflui acidi menzionati e non si capisce quali saranno le procedure di sicurezza da applicare nell’impianto in fase di trasporto/stoccaggio/trattamento dei manufatti di amianto.
Sfortunatamente, inoltre, sembra che l’amianto, al termine della denaturazione, non scompaia del tutto, ma che si riduca soltanto (si passa dalla concentrazione del 12% ad una del 2%). Dove finiscono, dunque, i residui? Dove stoccare i filtri degli impianti che, in parte, li conterranno? E se ci sono residui, possiamo essere certi che i sottoprodotti della lavorazione, tra cui i concimi, siano totalmente “asbestos free”?
Il mesotelioma maligno, di cui l’amianto è la principale causa, e tutte le patologie asbesto-correlate sono tuttora in forte aumento e, dato il lungo periodo di latenza tra l’esposizione al minerale e l’insorgenza della malattia, il picco di manifestazioni di una delle neoplasie più aggressive che si conoscano è previsto per il 2022.
A distanza di 23 anni dalla messa al bando dell’amianto (L. 257/1992), l’Italia, primo paese in Europa a procedervi, è ancora alle prese con le dismissioni dei prodotti che ne contengono e non è preparata ad affrontare l’emergenza sanitaria che si verificherà.
Lo smaltimento degli RCA (Rifiuti Contenenti Amianto) non è ancora obbligatorio e se i costi rimarranno così insostenibili, a causa dell’assenza di discariche e di adeguati impianti di inertizzazione, continueremo ad assistere all’abbandono abusivo nelle campagne di onduline e simili, la cui prolungata esposizione agli agenti atmosferici, comporta la degradazione degli stessi e la conseguente immissione di fibre mortali nell’aria.
Il Piano Nazionale Amianto è del 2012 e ancora non se ne vede l’attuazione. La Cigl, Cisl e Uil Piemonte, ancora nell’ottobre scorso, ribadiscono come sia necessario classificare Siti di Interesse Nazionale le discariche di amianto, incentivare con sgravi fiscali lo smaltimento degli RCA e prevederne il conferimento gratuito in discarica, coinvolgere l’INAIl nelle spese di bonifica di scuole e ospedali e definire un limite massimo di vita (25/30 anni) per i manufatti in amianto.
Circa 800 persone muoiono ogni anno a causa dell’amianto, ma il cancro affligge anche le istituzioni e prende il nome di Burocrazia. I cittadini sono lasciati nell’incertezza e nella paura, mentre il traffico dei rifiuti tossici continua pressoché indisturbato e gli sversamenti abusivi diventano la regola.
La ricerca prosegue e i brevetti privati, orientati all’ottenimento del solo profitto, fioccano. Lo Stato, però, persegue politiche ambientali di sempre minor spessore.
La Camera, a proposito di Melpignano e del progetto della Chemical Center srl, risponde il 2 marzo che l‘Ispra (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale) non era mai stata coinvolta nella valutazione del progetto e che non ha nemmeno le indicazioni tecniche per procedere alla valutazione dello stesso. Eppure, comunica il M5S, l’impianto dovrebbe essere sottoposto a Valutazione di Impatto Ambientale da parte degli enti locali preposti: su quali basi, allora, potrebbero mai esprimersi?
L’amianto, dunque, rappresenterà un problema spinoso per moltissimi anni a venire.
Come sempre, l’eredità che lasciamo ai nostri figli ha poca capacità di futuro e il mondo che vorremmo per loro, in fondo, già non esiste più. In greco, “asbestinon” sta per “inestinguibile, perpetuo”. Ma qui, di inestinguibile e perpetua c’è solo la nostra superficialità.
Non ho letto tutto l’articolo. Ho letto che il siero del latte sarebbe un rifiuto pericoloso. Non credo che sia così. In Svizzera esiste una bevanda chiamata Rivella che ha come ingrediente principale il siero del latte e nessuno muore bevendo la.
Cia Fabio, leggo solo ora il tuo commento.
In effetti, c’è un’imprecisione in quanto ho scritto: il siero del latte, in quanto scarto di lavorazione delle industrie casearie, è un rifiuto speciale, ma non pericoloso.
Potrebbe essere utilizzato in ambiti zootecnici, ad esempio come ingrediente nei mangimi per gli allevamenti, ma al Sud Italia non trova tale tipo di impiego e deve perciò essere prima depurato, e poi smaltito, secondo i parametri imposti dal D.lgs n. 152/06 (“Norme in materia ambientale”), una delle poche piattaforme legislative che abbiamo a riguardo.
Se avrai la pazienza di leggere l’articolo per intero, sarò felice di discuterne con te.