Alberi

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“Cedi la strada agli alberi” dice una delle più celebri poesie del poeta e paesologo, come ama definirsi, Franco Arminio. Una poesia semplice, che invita a riscoprire la semplicità del tanto che diamo per scontato, che smettiamo di vedere o che rinunciamo a guardare.

E proprio agli alberi va il mio pensiero, mentre cammino tra i boschi delle Dolomiti venete: i boschi che si preparano ad ospitare le prossime Olimpiadi invernali, e altri boschi bellissimi, anche se meno noti e più silenziosi, come quelli della val Pramper. Passeggiando tra i boschi, mi tornano in mente i versi di Arminio, così provo a “cedere la strada agli alberi”, come il mio sentire mi suggerisce. Comincio a entrare nell’atteggiamento di osservazione del discente che si trova a camminare in una immensa biblioteca e percepisce la vastità di ciò che non sa e di ciò che avrebbe bisogno di imparare.

Il bosco in cui cammino è un bosco ferito, in alcune sue parti, dalla terribile tempesta del Vaia del 2018, che ha devastato migliaia di alberi tra Trentino-Alto Adige e Veneto. Tanti alberi che erano sopravvissuti a due guerre mondiali, al Vajont e a tutto ciò che è venuto dopo, non hanno resistito alla furia del vento di quell’anno. Una tragedia che si vorrebbe dimenticare, per immergersi solo nei boschi da cartolina, quelli che sembrano ancora sani e ordinati.

E invece qui, in val Pramper, hanno installato opere d’arte proprio nella parte di foresta ferita, non per nasconderla o trasfigurarla in qualcosa di nuovamente fotografabile, ma per costringere il visitatore a guardare, a restare, a contemplare quello spazio ancora sofferente. E camminando dentro quello che non vorremmo vedere, la ferita diventa anche un po’ nostra e, con essa, la consapevolezza che nessuna magica medicina potrà risanare in breve tempo quello che crolla. La natura ha una lentezza che noi umani del XXI secolo non siamo in grado di riconoscere.

Uno scorcio di foresta ferita

Una foresta non sarà mai una città, non basteranno una buona quantità di soldi e di lavoro per rimetterla in sesto.  Ogni albero che crolla, è uno spazio che resterà vuoto per tempi lunghissimi. E se, forse, non siamo in grado di prevenire disastri come quelli che accadono sempre più frequentemente, e possiamo definirli delle “terribili disgrazie”, di certo lo stesso non si può dire per tutti quegli alberi abbattuti per fare spazio a nuovo cemento, a nuovi impianti, a nuove strade.

E così, da un versante (e qui risalgo verso ben note località turistiche) le montagne brilleranno di sempre nuove lamiere, che potranno rapidamente farci scavalcare le foreste o farci scendere senza ostacoli i fianchi dei monti. Sul versante opposto, come uno specchio, i boschi si spengono, perdono il loro sempreverde, arrugginiscono sotto la nuova piaga del bostrico, e paiono ammonirci di quello che succederà anche al ferro di cui amiamo circondarci.

Il tempo ci dirà qual è, o qual era, di questi luoghi meravigliosi, la vera fonte di ricchezza.

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Sono nata e vivo a Carpi (Mo). Sono laureata in Italianistica e sono insegnante di lettere presso la scuola secondaria di primo grado. Oltre ai libri, alla poesia, alla musica e alla montagna, amo molto i temi della pace e del dialogo interreligioso e interculturale.

1 commento

  1. Ciao Giulia, bel pezzo tra l’altro molto apprezzato sui social dove l’ho condiviso! E’ ridicolo come cerchiamo chissà quale tecnologia futuristica per sequestrare il carbonio quando ce l’abbiamo bella e pronta e senza alcun bisogno di consumare energia…

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