Nel 2011, per mantenere lo stile di vita dei 7 miliardi di abitanti del nostro pianeta, sono stati consumati 147.296 TWh di energia. Si tratta di una quantità di energia immensa, pari a 10.000 miliardi di kilocalorie o all’energia prodotta da 12.275 milioni di tonnellate di petrolio. Questo processo, che ha iniziato ad assumere un’andatura galoppante con la Rivoluzione Industriale e lo sfruttamento del carbone come fonte energetica è però tutt’altro che in procinto di fermarsi.
Dal 1991 al 2011, il consumo mondiale di energia è aumentato del 51,45%, registrando un incremento pari a 50.037 TWh, con la parte più sostanziosa di questo incremento (pari al 69%) che è avvenuto nell’ultimo decennio, ovvero fra il 2001 ed 2011. La quasi totalità dell’incremento dei consumo mondiale di energia degli ultimi dieci anni – pari a 34.087 TWh –, proviene dai paesi in via di sviluppo, con i paesi non-OCSE che hanno registrato negli ultimi dieci anni una crescita del consumo energetico pari al 68% (e rappresentano il 95,8% dei 34.087 TWh di incremento mondiale), trainati dalla grande richiesta di energia di Cina (+151%), India (+88%), Arabia Saudita (+77%), Iran (+75%) e Brasile (+46%). Per contro, l’aumento dei consumi energetici dell’ultimo decennio per i paesi sviluppati (paesi OCSE), è stato di un risicato 2,2% (con ad esempio i paesi dell’Unione Europea che hanno visto diminuire il proprio consumo di energia dell’ultimo decennio del 3,7%). L’affermarsi delle grandi economie emergenti sulla scena mondiale, causata dell’entrata della nostra società nella fase più avanzata della globalizzazione economica non è certo scevra di conseguenze e, dal punto di vista energetico, ha rinnovato l’appetito di un’umanità sempre più vorace di risorse naturali.
Il petrolio rappresenta la principale fonte energetica primaria e nel 2011 ha contribuito per il 33% del totale dell’energia prodotta sul nostro pianeta. Al secondo posto c’è il carbone, che nel 2011 ha contribuito per il 30% di tutta l’energia prodotta globalmente, seguito dal gas naturale, con una quota pari al 24% del totale; mentre l’energia proveniente dalle fonti rinnovabili si ritrova ad avere percentuali omeopatiche, con un contributo pari al 6% per quanto riguarda l’idroelettrico (già ampiamente sfruttato in molte regioni del pianeta) e del 2% per quanto riguarda le altre fonti rinnovabili (eolico, solare e fotovoltaico, geotermico, biomasse e altro). Nonostante i proclami e le continue fuoriuscite di materiale radioattivo, l’energia nucleare è in grado di coprire solamente il 5% del fabbisogno energetico del pianeta. Da notare, che i tre combustibili fossili (petrolio, carbone e gas naturale), contribuiscono a creare l’87% dell’energia necessaria a mantenere l’ attuale stile di vita.
In media i paesi sviluppati (OCSE) utilizzano maggiormente il petrolio (questo è principalmente dovuto al maggior sviluppo del settore dei trasporti), il gas naturale e il nucleare, a discapito del più inquinante carbone, sottopesato di dieci punti percentuali rispetto alla media mondiale (dal 30% al 20%). Invece, i paesi ancora in via di sviluppo (non-OCSE), ricorrono maggiormente all’utilizzo del carbone come fonte energetica primaria, rispetto a gas naturale, petrolio e nucleare (e per le rinnovabili utilizzano prevalentemente l’idroelettrico). Il maggior consumatore al mondo di energia, ovvero la Cina, si può definire come un paese “carbone-dipendente”, infatti, il combustibile solido pesa per il 70% del dell’energia consumata dal dragone cinese nel 2011, mentre petrolio, gas naturale, rinnovabili e nucleare sono fermi a percentuali inferiori alla media mondiale, rispettivamente al 18%, il 4%, il 7% e l’1%. Ma per quanto riguarda il petrolio è solo questione di qualche anno e anche la Cina si adeguerà a percentuali da paese ricco, giusto il tempo che gli oltre 1,3 miliardi di cinesi mandino in pensione la bicicletta.
La Cina è anche il paese che consuma più energia elettrica al mondo, con un consumo pari a 4.700 TWh nel 2011. Peccato che l’utilizzo dell’energia elettrica sia piuttosto inefficiente dal punto di vista fisico. Solamente il 30% dell’energia che a livello mondiale viene consumata per produrre energia elettrica (proveniente per il 43% dal carbone, il 19% da fonti rinnovabili e gas naturale, per il 14% dal nucleare e per il 5% da combustibili liquidi, quindi petrolio e biocarburanti) viene effettivamente utilizzata sotto forma di energia elettrica. Il restante 70% si perde nei processi di conversione e nella distribuzione dell’energia elettrica. Ad esempio, una centrale a carbone è in media efficiente al 38%, questo significa che poco più di 1/3 dell’energia contenuta nel carbone viene effettivamente convertita in energia elettrica. A questo occorre poi aggiungere le perdite della rete di distribuzione elettrica – in media, nel 2009, pari all’8,82% dell’energia elettrica prodotta – e l’uso poco efficiente che viene (spesso) fatto a livello di consumo finale (ad esempio, una lampadina ad incandescenza utilizza solamente il 5,5% dell’energia che le viene fornita dalla rete per l’illuminazione, il restante 94,5% viene disperso sotto forma di calore – per cui pensiamoci su bene prima di lasciare la luce accesa per niente!).
Quello che emerge dal punto di vista energetico è un quadro piuttosto allarmante, perché l’intera nostra società ha voluto puntare sui combustibili fossili che, oltre ad essere i principali responsabili degli epocali cambiamenti climatici a cui stiamo andando incontro, sono destinati ad esaurirsi completamente nei prossimi decenni (cinquanta o al massimo sessant’anni per il petrolio, anche considerando tutte le riserve del pianeta di petrolio non convenzionale e sabbie bituminose). Il nucleare non rappresenta la risposta alla crisi energetica cui stiamo andando incontro, sia perché troppo rischioso (per quanto gli standard di sicurezza siano elevati si corre sempre il rischio di un attentato terroristico o di un attacco militare a una centrale nucleare o a un sito di stoccaggio delle scorie) e sia perché l’uranio – il combustibile delle centrali nucelari – è comunque destinato ad esaurirsi entro qualche decennio (dato l’attuale livello di consumo entro un secolo, ma se solo si raddoppiasse la produzione passando dall’attuale 5% al 10% del fabbisogno energetico mondiale colmato dall’energia nucleare, ci rimarrebbero solamente cinquant’anni di uranio).
Anche se è auspicabile un aumento della produzione di energia dalle varie fonti rinnovabili, bisogna però considerare che queste non rappresentano certo una panacea e la soluzione a tutti i problemi. Pochi sanno che l’idroelettrico può avere un impatto anche peggiore delle fonti di combustibili fossili (la diga delle Tre Gole in Cina ha portato alla scomparsa di numerose specie animali e vegetali, come il delfino d’acqua dolce, alla migrazione di milioni di persone e all’emissione di immense quantità di metano e anidride carbonica nell’atmosfera a causa della fermentazione dei detriti accumulati nel bacino idrico), ma anche per le altre fonti rinnovabili (quali eolico, fotovoltaico e biocarburanti) il dibattito è aperto – l’eolico disturba le migrazioni degli uccelli, il fotovoltaico e i biocarburanti rubano spazio all’agricoltura e via dicendo. C’è inoltre da considerare che anche per le fonti rinnovabili c’è bisogno dell’utilizzo di materie prime minerarie spesso rare o comunque non abbastanza diffuse (ad esempio i magneti necessari alle pale eoliche o i rari metalli che consentano per il funzionamento di un pannello fotovoltaico non sono certo per tutti) per permettere la completa sostituzione della produzione di energia tramite le fonti rinnovabili.
Mentre la maggioranza di noi attende nell’ignavia e nella piena immobilità la manna che la scienza forse un giorno ci darà – c’è chi dice la fusione fredda –, è sempre più chiaro che l’unica via percorribile è quella della decrescita, ovvero della riduzione dei consumi energetici, cominciando proprio da quegli odiosi sprechi energetici – quelli che ci fanno tenere accesa la tv quando nessuno la sta guardando, quelli che portano le amministrazioni pubbliche ad illuminare a giorno ogni metro cubo di cemento sotto la propria giurisdizione, quelli che ci portano a tenere le finestre aperte con i termosifoni accesi.
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Secondo me uno dei punti principali da rimarcare dell’articolo di Manuel è proprio il fatto che il sistema elettrico attuale, basato sulla centralizzazione e le grandi centrali, è il responsabile numero uno dello spreco energetico. Un sistema decentralizzato e basato su piccole reti locali, basato innanzitutto sulla ricerca integrando le rinnovabili con piccole centrali di co-generazione, quasi a parità di prestazioni consumerebbe meno della metà dell’energia.
Infatti, la soluzione è rappresentata dal mini-idroelettrico, dai piccoli pannelli fotovoltaici, dai piccoli impianti eolici e via dicendo. Ma un sistema decentralizzato a rete, il risparmio enegetico e la decrescita di tutte quelle produzioni dannose o inutili sono la soluzione.
L’industria delle costruzioni pesa per il 45% sull’inquinamento antropico. Noi proponiamo costruzioni con materiale proveniente dall’agricoltura a km 0 per un’ecologia abitativa Bio-Intelligente
L’informazione sui materiali rari per i pannelli fotovoltaici e’ inesatta! Vale solo per alcune tipologie poco utilizzate. Per quelli tradizionali piu’ comuni, non ci sono particari carenze, il Silicio e’ sabbia ed il resto e’ facilmente sostituibile da altri materiali comunemente presenti.