Ecco perché all’Italia conviene uscire dall’euro

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Common_face_of_one_euro_coinLe recenti dichiarazioni sulla necessità di uscire dall’euro espresse da parte di Serge Latouche, non possono certo passare inosservate. Secondo l’economista francese, infatti, la moneta unica avrebbe i giorni contati e sarebbe quindi destinata a finire entro qualche anno, motivo per cui, paesi come la Francia o l’Italia, farebbero meglio ad abbandonare l’euro. Interessante questa presa di posizione da parte di uno di quei personaggi che, per tutti quei giornalisti ed economisti che si divertono a sparare sentenze senza che si siano mai presi la briga di studiare un po’ la materia (cadono tutti nello stesso errore, cioè quello di chi confonde la recessione con la decrescita felice), rappresenta il male assoluto (una sinistra figura reazionaria per i seguaci delle teorie dell’MMT) o un’inaccettabile irrazionalità per altri (vedi In risposta ad Alberto Bagnai). L’uscita di Latouche a proposito dell’euro dovrebbe chiarire a tutti che l’attuale recessione che stiamo vivendo non è certo auspicabile da parte del movimento della decrescita (anche se personalmente riesco a vederci anche lati positivi, perché è riuscita a spazzare via un po’ di quel fastidioso spreco –  soprattutto di cibo –  a cui ci eravamo abituati).

Ma tornando sul tema dell’euro, penso sia utile spiegare perché, tutto sommato, a noi converrebbe uscire dalla moneta unica o per lo meno provare a cambiare le regole di funzionamento di Bruxelles. Che la moneta unica fosse una scelta sbagliata, nonostante i proclami dei politici italiani (Prodi e Ciampi su tutti), avremmo dovuto capirlo da subito, ma così non è stato (tranne qualche eccezione). E’ interessante notare che, almeno secondo quanto scritto nel manuale universitario “Macroeconomia” di Olivier Blanchard (in tempi non sospetti, cioè nel 2006/07, quando 1 euro si scambiava ancora per 1,5 dollari), la teoria economica non considerava affatto la decisione di adottare una moneta unica europea una decisione ottimale e per ben tre motivi.

Il primo motivo riguarda la bassa mobilità del lavoro tra le regioni europee, ovvero le difficoltà, a partire dalla lingua e le marcate differenze culturali che frenano il fatto che lavoratori disoccupati possano facilmente migrare fra regioni con differenti condizioni di lavoro. Il secondo motivo riguarda la presenza di shock asimmetrici, ovvero di crisi che possono colpire solamente un singolo paese o una singola regione dell’area euro a causa delle marcate differenze economiche, dovute alle differenti specializzazioni settoriali e/o strutture produttive e alle marcate differenze in termini di reddito pro-capite che ci possono essere, ad esempio tra la Calabria e la Baviera. Il terzo motivo riguarda la mancanza di politiche fiscali comuni in grado di limitare queste differenze strutturali fra i singoli stati. Negli Stati Uniti, ad esempio, quando uno stato entra in recessione, il bilancio federale redistribuisce in automatico le risorse provenienti dagli stati che non hanno difficoltà economiche, permettendo quindi una maggiore protezione da questi shock asimmetrici, cosa che invece nell’area euro non avviene.

Gli ultimi dieci/quindici anni hanno registrato un peggioramento della bilancia commerciale delle economie europee più deboli (Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia e da qualche anno anche Francia), cioè più incapaci di continuare a reggere il peso di una moneta troppo apprezzata, con la conseguenza che questi paesi si son trovati a pagare un più alto tasso d’interesse sui propri debiti, un’economia in recessione e l’impossibilità di cercare soluzioni di breve periodo, come la svalutazione della propria moneta.  Per evitare il default occorre quindi continuare a tagliare la spesa pubblica e aumentare l’imposizione fiscale, perché una parte sempre maggiore del bilancio pubblico deve essere destinata al pagamento dei maggiori interessi sul debito, mentre senza il controllo della moneta, l’unica via per rendere le proprie imprese competitive è quella di diminuire il costo del lavoro (cioè i salari, visto che l’imposizione fiscale non può essere abbassata).

Tutto questo non è certo auspicabile. Uscire dall’euro – se i paesi più ricchi continueranno a non accettare una politica fiscale redistributiva, cioè ad accettare di mandare parte delle tasse dei bavaresi o degli olandesi a portoghesi, siciliani e andalusi – e rinegoziare la parte del debito pubblico italiano in mano a istituzioni finanziarie straniere (perché il Tesoro non ci fa sapere a quali soggetti appartiene il debito per cui ogni anno facciamo finanziarie di lacrime e sangue?) prima che questa diventi insignificante (era del 40% prima del Governo Monti, ma ora siamo intorno al 20%), è ormai diventato auspicabile.

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Laureato in Economia, ho avuto diverse esperienze lavorative (tra cui Ambasciata d'Italia a Buenos Aires, Monte dei Paschi, Freeandpartners, Nestle). "Verso la fine dell'economia - apice e collasso del consumismo" è il mio nuovo libro, edito da Fuoco-Edizioni. http://economiafinita.com

30 Commenti

  1. Buongiorno Manuel, sicuramente l’euro non rappresenta un’area monetaria ottimale, ma quello che mi lascia perplesso delle dichiarazioni di LaTouche, è la contraddizione tra un aumento dei consumi che comporterebbe l’uscita dall’euro e la teoria della decrescita felice che è invece, come tutti ormai sanno, è contraria al capitalismo, sì perché in realtà le teorie dell’MMT sono capitaliste, intese ad aumentare attraverso politiche fiscali e monetarie espansive la domanda aggregata. Che confusione!

    • Da quello che ho capito di Latouche, pur essendo un rivoluzionario – sicuramente più di Maurizio Pallante – prevede comunque una fase di transizione, in cui in un’economia mista, fatta di piccole e medie imprese, organizzazioni no-profit e aziende pubbliche con fini diversi da quello del profitto (ad esempio quello di creare beni relazionali o bonificare fiumi) convivano insieme.

      Certo, capisco che quest’argomento, almeno in apparenza sembra uscire dalla logica della decrescita, ma personalmente penso che la vera essenza della decrescita sia quella di creare una società in cui il fine ultimo di ogni politica non sia la crescita illimitata ma il ben-essere dei cittadini (meno inquinamento, più tempo libero, più cooperazione e condivisione delle risorse, meno ingiustizie), che passa anche dall’avere un sistema monetario più razionale e che non ci obblighi a lavorare un mese all’anno solamente per pagare gli interessi sul debito alle grandi istituzioni finanziarie straniere (almeno se si decide di attuare una fase di transizione).

      • Secondo me invece LaTouche non abbraccia le teorie del prof. Bagnai-ho letto attentamente il suo libro “Il tramonte dell’euro”- LaTouche infatti non ha parlato apertamente di ripristino delle monete nazionali, nei suo saggi ha sempre parlato dell’importanza delle monete locali regionali, quindi di una forma di economia monetaria locale che non dipenda dalle banche o dalla finanza, come si può evincere anche da questa intervista lasciata alla rivista Lettera43:
        ” Nella società della decrescita circola denaro?
        R. La moneta è un bene comune che favorisce lo scambio tra i cittadini. Ma se è un bene comune non deve essere privatizzata. Le banche sono degli enti privati. E allora dico sempre che noi vogliamo riappropriarci della moneta.
        D. Come?
        R. Magari partendo dai sistemi di scambio locali che utilizzano monete regionali. Come ha funzionato per due o tre anni in Argentina, dopo il crollo del peso.

        http://www.lettera43.it/economia/macro/italia-serve-la-bancarotta_4367557970.htm

        • Mi trovo senz’altro d’accordo con la posizione di Latouche, quindi sulla necessità di creare monete regionali, magari in piccole “patrie” regionali, più aderenti alle esigenze delle piccole comunità e soprattutto più controllabili.

          • Io sono ancora più estremo, ci dovrebbero essere monete Comunali, anzi nelle grandi città Monete Municipali, da anni nel mio municipio si sperimenta lo Scec, il fatto è che la moneta dovrebbe essere un mezzo che aumenta i rapporti di fiducia tra soggetti sconosciuti, in modo tale che ogni cittadino sia non solo più informato su quello che acquista in quanto instaura un rapporto più stretto con il venditore, ma è necessario diminuire quel senso di alienazione che determina la moneta elettronica.

    • Eh no! Mi dispiace ma non conosci bene la MeMMT, soprattutto la proposta dei Programmi di Lavoro Garantito di Forstater o le proposte di Mosler sull’abbandono del 3% del deficit che ci uccide. Ritengo impossibile gestire un programma di decrescita se non attraverso la sovranità monetaria. Probabilmente Latouche comprende bene (con altri poci economisti) il meccanismo del sistema monetario e il suo funzionamento.

    • Eh no! Mi dispiace ma non conosci bene la MeMMT, soprattutto la proposta dei Programmi di Lavoro Garantito di Forstater o le proposte di Mosler sull’abbandono del 3% del deficit che ci uccide. Ritengo impossibile gestire un programma di decrescita se non attraverso la sovranità monetaria. Probabilmente Latouche comprende bene (con altri poci economisti) il meccanismo del sistema monetario e il suo funzionamento.

  2. Poichè non sono d’accordo su troppe cose, sarebbe troppo lungo parlarne. Perciò ti voglio solo far notare che i 3 motivi di Blanchard possono anche essere letti come 3 passaggi inevitabili per una moneta unica nuova. Come tu stesso dici in USA le cose vanno diversamente, ma hanno + di 200 anni di moneta unica (1776). Mai si comincia mai si arriva.
    (Fra l’altro i 3 punti elencati non li condivido: ho lavorato nella Svizzera tedesca, non conoscevo la lingua ma me la cavavo bene lo stesso. Gli altri 2 vengono dopo anni di rodaggio, v. storia degli USA; poi manca il punto che più riguarda l’Italia -mai ammesso dai decrescisti-: la moneta unica per l’Italia non porta benefici perchè è considerato un paese altamente protezionista e nessuno va ad investire in Nazioni dove i politici salvaguardano solo gli interessi degli imprenditori locali)

    • In realtà sfogliando bene il manuale di Oliver Blanchard, a pagina 554 si parla anche degli studi condotti da Antonio Fatàs (vedi tabella 2) http://faculty.insead.edu/fatas/emucou.pdf, dove si dimostra che il rapporto tra occupazione regionale all’interno dei singoli Stati nazionali ed occupazione europea a partire dal 1980 è sempre più correlato rispetto a prima dove l’occupazione regionale dipendeva molto di più dall’occupazione Nazionale , fermo restando che i costi dell’ Uem sono ancora maggiori rispetto ai benefici-come osserva giustamente Blanchard-, è anche vero che segnali positivi ci sono a livello di mobilità del fattore produttivo lavoro e penso che bisogna proseguire verso questo strada, cioè verso una maggiore integrazione delle politiche economiche e fiscali a livello europeo, rivedendo i parametri- a mio avviso anti-economici- del 3% deficit/Pil e del 60% debito/Pil . Rimanere con l’euro non pregiudica nemmeno l’utilizzo di una moneta regionale o di nuovi metodi di pagamento regionale anzi nel pensiero europeo le Regioni svolgono e svolgeranno un ruolo importante di dialogo.

      • Il problema è il deficit nelle partite correnti che i PIIGS più la Francia con la crisi finanziaria del 2008/09 stanno iniziando ad accumulare. Affinché possa funzionare l’area euro ha bisogno di un meccanismo di compensazione automatica – i famosi fondi perequativi – che sposti in automatico (e questo è importante perché altrimenti ci si perde in estenuanti negoziazioni) il 30-40% del carico fiscale dalle regioni più ricche a quelle europee. Oppure potrebbero andar bene anche i famosi eurobond (anche se sono più incline verso i fondi perequativi, che ad oggi smuovono circa l’1% delle tasse dai paesi ricchi a quelli poveri, veramente troppo poco)! Alcuni segnali positivi all’interno della mobilità europea ci sono sì stati, ma riguardano comunque una minoranza, perché i costi per muoversi all”interno di un’Unione Monetaria dove ci sono 17 paesi e 13/14 lingue e distanza a volte proibitive (da Nicosia a Galway ci sono circa 3.900 km) rimangono alti per la maggioranza dei cittadini. Questo mix rischia di intrappolare l’economia di un paese, che può contare su un’unica forma d’aiuto: i prestiti e le condizioni della BCE (di solito inclini a mettere in atto politiche restrittive: tagli alla spesa pubblica e aumento dell’impostazione fiscale).

    • Non penso che non si investa in Italia perché paese protezionista: un sacco di multinazionali producono tranquillamente in Italia almeno per il mercato domestico (da Procter & Gamble a Nestle). Magari ci sono altri problemi, legati alla corruzione o all’incertezza del diritto, causati dall’eccessiva lunghezza della giustizia civile. Per quanto riguarda la Svizzera: bè non tutti possono avere lo stesso spirito di iniziativa/coraggio tuo, non è da tutti partire in un paese in cui la lingua è così diversa, molti preferiscono restarsene a casa loro nell’oblio. Il vero problema è l’assenza di meccanismi compensativi, che trasferiscano la ricchezza dalle regioni più ricche a quelle più povere, così come avviene tra Italia Settentrionale e Meridionale: il federalismo voluto dalla Lega, se fosse stato davvero messo in pratica (ma così non è mai stato) avrebbe davvero portato ad una secessione dell’Italia e magari a due monete, ma non necessariamente sarebbe stato il Nord a guadagnarci (il Nord avrebbe avuto una moneta di gran lunga più apprezzata). Forse la soluzione è un Europa fatta di piccole patrie, magari anche di monete regionali, ma con alcune politiche realmente comuni (come la politica estera e la difesa, cosa che ancora adesso non avviene).

  3. La volontà di uscire dall’euro altro non è che l’ammissione dell’incapacità di competere. Non essendo in grado di fare riforme che ci rendano competitivi con i paesi più civili – riforma della giustizia , dell’amministrazione pubblica, dell’istruzione, lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione,riforma elettorale, investimenti in ricerca, lotta all’evasione fiscale, liberalizzazioni e lotta alle corporazioni – la classe politica autoassolve sé stessa trovando il capro espiatorio nell’euro. Cina, India , Pakistan, sud America, e pensiamo di tornare competitivi attraverso la svalutazione monetaria?Come un atleta che non si allena e fa uso di doping per essere competitivo, stesso effetto…
    Nord e sud Italia: stessa lingua, mobilità geografica, politiche fiscali redistributive : divario crescente in termini di ricchezza prodotta…Quindi?
    Le riforme strutturali e culturali fanno la differenza e non magheggi finanziari. Questo in un’ottica di economia ‘classica’, di economia della crescita. In un’economia di decrescita la moneta dovrebbe essere semplicemente strumento che agevola gli scambi, non c’è politica monetaria

    • Si, la crisi monetaria è solo un riflesso di una crisi economica, morale e purtroppo, culturale, molto più grave. Una società non può essere la sommatoria di individui che mal si sopportano. Occorre un recupero sui valori etici e sulla centralità del lavoro.

    • Mi piace quanto dici e mi permetto solo di proporre una modifica: non parlerei tanto di “capacità di competere” quanto di “capacità di evitare gli sprechi sociali”.
      Le riforme che proponi – darsi istituzioni efficienti e sobrie – non tanto per competere quanto per non dovere pagare le cose il doppio del loro costo, a causa di malagestione.
      Eliminare questi costi occulti (che vanno spesso a soggetti malavitosi) credo sia la prima decrescita da compiere.
      Che poi diventa competitività, ma solo di riflesso: il primo scopo è evitare di consumare risorse anche rare in quella tassa inutile che è lo spreco (o il parassitismo).

      • Sono d’accordo con quanto dici, ma è comunque necessario, almeno per ricostruire un futuro e per investire risorse nella decrescita (ad esempio tramite il risparmio energetico), non distruggere il tessuto produttivo italiano.

  4. Secondo me LaTouche nelle sue dichiarazioni – ho visto che in effetti parla di uscire dall’Euro e di ritornare al Franco oppure alla Lira- sta commettendo, da punto di vista del pensiero della decrescita felice, il grossolano errore di pensare che il ritorno alla lira e l’allentamento dei vincoli di Maastricht sia la premessa di una fase di transizione che porterebbe al ripristino di valori legati non alla competitività ma alla reciprocità, mentre invece dal punto di vista meramente economico- come descritto minuziosamente nel libro il “Tramonto dell’Euro” del prof. Bagnai- il ritorno alla Lira e l’allentamento dei vincoli di Maastricht comporta invece una aumento massiccio della domanda aggregata, quindi dei consumi e quindi anche della produttività, ma la decrescita felice non è contro il produttivismo ed il consumismo?? Direi proprio di sì!.Quindi a mio modesto parere La Decrescita felice non deve avere le pretese di stilare un programma di politica economica sennò si sottopone ad inutile ed errare forzature, detto questo continuo a stimare il prof. LaTouche, ma questa volta ha sbagliato.

  5. Guardate cosa pensa Alain Parguez il seguace della teoria della Moderna Teoria Monetaria, di LaTouche tanto per capire quanto sono distanti queste due correnti di pensiero, ovviamente personalmente penso che siano solo calunnie: “Serge Latouche è uno delle persone più pericolose ora in europa. E’ il leader di un movimento ultra reazionario anti PIL, cioè spera in un PIL negativo, ed è per la soppressione di ogni aiuto ai paesi poveri. Questo non perché vuole proteggere l’ambiente, ciò che ha in mente è piuttosto simile al ritorno ad un tradizionale tipo di società gerarchica pre-capitalista.
    L’ho conosciuto quando era un fervente maoista, ma era piuttosto ignorante come professore di economia. Dopodiché come molti altri ex personaggi di sinistra passò all’estrema destra, supportando le virtù dei regimi nazisti e negando l’esistenza delle politiche di sterminio degli ebrei, zingari ed altre persone. Proprio come un altro personaggio: Emmanuel Todd , molto vicino al regime dell’ ayatollah ed al suo movimento islamico.
    Serge Latouche è estremamente pericoloso perché inoltre santifica il filosofo italiano filo-nazista Julius Evola, l’unico che si oppose a Mussolini considerandolo troppo socialista e accusando Hitler di essere stato troppo benevolo verso la gente e gli ebrei; questo intellettuale è ora l’idolo dell’estrema destra francese e in italia di alcune strane sette di ultra sinistra misto con ex no-fascisti che proclamano le virtù della repubblica fascista di Salò.
    LaTouche ha dei valori deprecabili, per lui la disoccupazione non è un problema: la gente deve accettare di essere povera…. ovviamente lui è ricchissimo.”
    https://www.facebook.com/video/video.php?v=384567258238039

    • Grazie Francesco. Quel video lo conoscevo già, ma non mi convince il suo autore, conosco il pensiero di Latouche e ho letto abbastanza di lui per sostenere che quelle dette da Parguez, almeno in questo caso, sono autentiche fesserie.

  6. Dopodomani vado a sentire il Latouche. Se parlerà male dell ‘euro faro’ la proposta di pagargli la serata con noci e castagne. L’ Euro si e l’Euro no è una masturbazione mentale. I guai della nostra economia sono tutti negli sperperi dei vari governi. Ecco se avessimo adottato le conchiglie lo Stato avrebbe un debito di conchiglie pari al 130% di quelle che si producono in un anno, e noi, tra contributi e tasse, dovremmo versargliene il 70% di quelle che produciamo solo per farlo galleggiare. Del restante 30% che ci serve per sopravvivere, poi, andrebbero ancora tolte il 22% delle conchiglie di IVA. Quale economia puo’ reggere un fardello simile ? Con quale spirito uno si mette a fare impresa in un ambiente cosi’ oppresso ?

    • Ciao Roberto,
      solo per precisare che Latouche, per l’incontro che terremo a Polpenazze del Garda, non ha chiesto nulla. Ne un compenso ne un contributo spese.
      Se qualcosa gli sarà dato è per nostra espressa volontà, non per una richiesta specifica del proferssore.
      Grazie.

  7. Uscire dall’euro ha un significato ben preciso: “svalutare per poter partecipare alla gara al ribasso delle retribuzioni” e questo in concorrenza con la Cina dove si lavorano 60 ore alla settimana per 300 euro al mese.

    Mi sembra la classica Decrescita Infelice cammuffata da Crescita

  8. Un occhio a ciò che sta facendo il movimento di Transizione (transition network ) dà spunti di comprensione ed idee operative. Effettivamente serve una fase di transizione in cui progressivamente e rapidamente inserire il cambio moneta o la ristrutturazione dell’attuale funzionamento euro, introduzione di monete locali, l’analisi delle reali possibilità di semi autosufficienza di ogni area/distretto (prodotti agricoli, medicine prodotte in loco, esercizi in proprietà e non appaltati a grossa distribuzione etc etc) …non basta superare la crisi a breve termine, ma comprendere la reale sostenibilità della nostra esistenza fisica, mentale e spirituale. Con alla base il coinvolgimento e la responsabilizzazione di tutti noi cittadini, meno critiche e più operatività in condivisione e non in gruppi frammentati che si lanciano critiche ad ogni ora….Buon cammino e buona vita a tutti – Laura

  9. Ancora con queste assurdità? Bagnai come benetazzo e molti altri cavalcano la crisi vendendo libri sul catastrofismo e cigni neri vari. Ognuno fa quel che può, come Vanna Marchi.
    la ricchezza italiana è 10.000 miliardi di euro circa. uscire dall’euro ci costa minimo 3000 miliardi il 30% ma è poco. Semplice calcolo da scuole medie. Cioè questi fior fiore di economistballisti ci vogliono fare credere che perdere 3000 miliardi in una notte dopo che in 10 anni ne abbiamo spesi 2000 per restare nell’euro con tutti i vantaggi che questo comporta è meglio? pur con qualche zombie in giro, poveretti, che sofrono per la crisi, ma quanti ce ne sarebbero stati e quanti ce ne saranno se si ascoltassero questi economistballisti? La vera decrescità felice si avrà grazie all’euro sveglia.

    • Magari fosse in grado di motivare la sua posizione, il dialogo sarebbe anche costruttivo. Non creda che non sia un tema dibattuto, anche tra economisti che con la decrescita proprio non c’hanno nulla a che fare. Anzi, la maggior parte degli economisti seri considera un’assurdità il fatto che non vi sia stato un’analisi costi/beneifici per l’Italia.

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