La pubblicità danneggia la nostra società

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“I consumatori, sono come gli scarafaggi: dopo un po’ il solito insetticida non basta più, li devi spruzzare con roba più forte”

David Lubars, dirigente BBDO

 

Secondo Nielsen, che a maggio 2013 ha reso pubblico il proprio rapporto trimestrale Global AdView Pulse, “Il 2012 si è concluso positivamente per il settore pubblicitario: a livello globale, la spesa pubblicitaria è aumentata del 3,2% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 557 miliardi di dollari” e ancora, con toni più trionfalistici questa volta, “Tutte le regioni, a eccezione dell’Europa, hanno aumentato la loro spesa pubblicitaria nel 2012. Il mercato mediorientale e africano, una volta stabilizzata l’economia della regione, ha registrato una notevole crescita annua (+14,6%)”. Insomma tante buone notizie per chi lavora nel mondo della pubblicità e soprattutto per chi campa di pubblicità (il mondo dei media), un po’ meno per i consumatori di tutto il mondo, che a quanto pare dovranno fare i conti con una propaganda pubblicitaria ancora più agguerrita.

Ma d’altronde si sa, la pubblicità è forse la più potente delle armi che le aziende hanno in loro possesso. Avendo come unico obiettivo l’incremento dei propri profitti, ovvero l’aumento delle vendite, hanno sempre un disperato bisogno di fare breccia nelle menti dei singoli individui e quindi delle masse, per convincerli a comprare i loro prodotti. Non è un caso se tutti noi siamo chiamati dagli addetti ai lavori “consumatori”, perché tale deve essere la nostra essenza. Ed ecco così che l’intera vita del consumatore sarà bombardata, giorno e notte, trecentosessantacinque giorni all’anno, dall’incessante propaganda aziendalistica che non lo lascerà mai solo: per strada mentre si guida, nei centri storici mentre si va a passeggio, nel proprio salotto di casa mentre si guarda un film alla tv o si chatta con gli amici in internet e perfino nelle conversazioni più intime (il non plus ultra per le aziende è rappresentato dal poter raggiungere anche i contenuti delle conversazioni private con i loro messaggi, cioè innescando il cosiddetto passaparola). E tutto questo per convincere i poveri consumatori ad abbandonare le loro “errate” abitudini, come il portare un capo dell’anno passato o non averci l’ultimissimo modello iper-tecnologico di cellulare in grado di fare anche le più strampalate piroette tecnologiche. Perché il messaggio da inculcare è sempre lo stesso, ovvero che se non comprerai l’ultima moda, l’ultima trovata tecnologica, l’ultimo modello di auto Euro 5 o Euro 10, sarai fuori moda, non al passo coi tempi, bollato come “sfigato” e quindi a rischio di isolamento sociale (o per lo meno vedrai scadere il tuo status o rango all’interno della società).

A conferma di ciò basta vedere l’effetto che le martellanti pubblicità di noti marchi dell’abbigliamento (Nike su tutti), dei giocattoli (Giochi Preziosi), dell’intrattenimento (Disney) o dei fast food (McDonald’s) hanno sui bambini già in tenerissima età (a quale genitore non è mai capitato di doversi arrendere ai pianti dei propri figli di fronte alle incessanti richieste per un qualche giocattolo visto alla tv o un paio di scarpe portato dal leader del gruppo degli amici?). La pubblicità ha il compito di renderci insoddisfatti di ciò che abbiamo e quindi di ciò che siamo, per convincerci che, una volta acquistato quel particolare oggetto dei desideri, la nostra vita raggiungerà la tanto sperata felicità. Peccato però che si tratti di un’effimera “felicità”, che durerà giusto il tempo che una nuova pubblicità sancisca che anche l’oggetto dei desideri di ieri è oggi irrimediabilmente out. Si potrebbe definire la pubblicità come quel particolare meccanismo che ha lo scopo di renderci costantemente infelici coi nostri soldi – ovvero con la svendita delle nostre energie fisiche e intellettuali al sistema produttivo, lo stesso che mette in moto la propaganda della pubblicità, con cui riesce a prendere due piccioni con una fava, ovvero la nostra capacità di accettare qualunque condizione di lavoro pur di guadagnare quei soldi necessari a soddisfare le esigenze della propaganda pubblicitaria.

Questa continua spinta all’acquisto ha però delle pesanti conseguenze, sia sul piano sociale, che su quello ambientale. Sul piano sociale stiamo assistendo alla decadenza della nostra società, ben simboleggiata dal fatto che sono proprio i più poveri – come gli adolescenti dei ghetti neri in America –, che per sfuggire alla loro umiliante condizione di paria (in una società che di fatto colpevolizza la povertà) son disposti a tutto pur di non essere emarginati e quindi anche a rubare o a entrare nella malavita per potersi permettere un paio di Nike da 200 euro o l’ultimo modello di smartphone. Questo provoca una profonda insicurezza nello stato d’animo della maggior parte di noi, perché se l’unico valore che conta davvero è il denaro (e quindi quei simboli che ne attestano il possesso, come un abito da boutique o una Porsche), che in un sistema di libero mercato tende “naturalmente” ad accumularsi nelle tasche dei pochi privilegiati, tutti gli altri aspetti per cui vale la pena vivere (una buona cultura, una rete di amicizie sincere, l’altruismo e la cooperazione tra uomini e via dicendo) verranno accantonati se non direttamente funzionali all’accumulo di denaro (all’università studierò solamente quello che mi permetterà di trovare un buon lavoro, le amicizie contano perché così si riesce a far carriera, l’altruismo manco parlarne se non come mero gesto ipocrita per ingraziarsi i favori del pubblico, eccetera). Sul piano ambientale perché, per mandare avanti un’economia fondata sul consumismo e quindi lo spreco, l’accumulo di rifiuti e gli inceneritori, stiamo dilapidando le risorse naturali del pianeta e distruggendo la biodiversità e il futuro dei nostri figli.

3 Commenti

  1. Ieri sera, 13 ottobre, nel programma “Che tempo che fa”, nell’intervista che il conduttore (Fabio Fazio ) fa a Renato Brunetta, il conduttore stesso a un certo punto dice, rispondendo alle critiche dell’intervistato, che il programma che lui conduce è finanziato interamente dalla pubblicità.
    Anche Michele Santoro vede la pubblicità come un fiore all’occhiello da sbandierare: ricordo che in passato, nel parlare delle sue trasmissioni, Santoro ha fatto riferimento con orgoglio alla gara degli inserzionisti pubblicitari per inserire gli spot nelle sue trasmissioni.
    Questi due conduttori fanno riferimento all’area di sinistra (per quello che ciò possa valere oggigiorno): questo per dire che ormai il consumismo ormai ha pervaso tutte le culture e le ha uniformate.
    Ciao
    Armando

  2. Voglio rispondere con un articolo di Massimo Fini.
    “Poveri ricchi. Fan pena. È fra di loro che si riscontrano le più alte percentuali di nevrosi, di depressione, di consumo di psicofarmaci, di alcol, di droga. Per trarre dal loro membro sempre più floscio una goccia di godimento, per provare un’emozione, devono farsi inc….. da un travesta e farsi ficcare il Rolex nel c..o (che è un atto altamente simbolico: è come dire che i ricchi gadget che bramiamo e di cui ossessivamente ci circondiamo, per avere i quali lavoriamo, produciamo e ci consumiamo, non valgono nulla e devono far la fine che si meritano). Questo modello di sviluppo è riuscito nell’impresa, veramente miracolosa, di far star male anche chi sta bene. E poveri politici, mosche cocchiere che si illudono di governare una macchina che non risponde più a nessun comando, tantomeno ai loro, e che da tempo va per conto suo, autopotenziandosi e aumentando costantemente, a causa della propria e ineludibile dinamica interna, la sua velocità. Finché andrà trionfalmente a sbattere da qualche parte. Costoro o sono dei truffatori – perché sono consapevoli di essere impotenti – o sono dei coglioni. Ma, forse, sono truffatori e coglioni insieme. Liberté, egalité, fraternité era il motto della Rivoluzione francese nata da quell’evento epocale, decisivo, che è stata la rivoluzione industriale, da cui inizia la Modernità, e che ha partorito le ideologie e i modelli conseguenti: l’industrial-capitalismo e l’industrial-marxismo che non è che una variante, inefficiente, del primo. È stato un fallimento su tutta la linea. Completo. Clamoroso.

  3. Caro Manuel, con me sfondi una porta aperta… Posso solo aggiungere che la cosa veramente più da vigliacchi è quella di fare pressione sulle ancora ingenue menti dei bambini, così da “farli abituare” sin da piccini, e ritrovarsi con un figlio che piange disperatamente perché vuole a tutti i costi questo o quello. A quel punto son pochi i genitori che trovano la forza e il modo di poter dire di no. Un’altra cosa da aggiungere è che siamo come spinti a voler sempre qualcosa che ancora non c’è, che “potrebbe” arrivare, ma siccome quello che non c’è è infinito, voilà il gioco è fatto. Io ho studiato un po’ di Marketing circa vent’anni fa, e ti posso giurare che questa disciplina (abbinata alla pubblicità), ha raggiungo livelli di parossismo che allora non immaginavo nemmeno

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