Centenario di Berlinguer e decrescita

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Il 25 maggio scorso è ricorso il centenario della nascita di Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano dal 1972 fino alla morte sopraggiunta nel 1984. Le sue intuizioni riguardo alla questione della ‘austerità’ successiva alla crisi petrolifera del 1973 furono tanto acute che, a giudizio di Serge Latouche, fanno di lui un precursore della decrescita a tutti gli effetti.

In occasione dell’anniversario della nascita, riproponiamo due articoli che sono stati pubblicati su questo blog riguardo alla prospettiva del politico comunista, uno scritto da me e uno da Luca Madiai.

Aggiungo solo che, in un’epoca in cui importanti membri delle oligarchie globali sembrano essersi resi conto dell’impossibilità di continuare a mettere la polvere sotto il tappeto riguardo a certe questioni sistemiche, è veramente triste constatare come gran parte di coloro che si professano ribelli/alternativi preferiscano invece negare problemi gravi e ineludibili. In modo non dissimile dalla sinistra extraparlamentare che, ai tempi di Berlinguer, derise le sue riflessioni sull’austerità invocando beffardamente il diritto al caviale per tutti.

Sappiamo tutti come è andata a finire: l’avvento della restaurazione neoliberista a partire dagli anni Ottanta e una sinistra, in tutte le sue forme (moderate o radicali) incapace di fronteggiarla perché non in grado di comprendere un mondo che stava mutando profondamente e inesorabilmente. Con il risultato o di diventare complice del neoliberismo oppure di avversarlo con un arsenale ideologico oramai obsoleto e spuntato.

Blaterare oggi di ‘great reset’ presentando il tutto come un gigantesco complotto orchestrato da villain dei fumetti, avulso da problemi reali, sarebbe imperdonabile e produrrebbe conseguenze gravissime, sia politiche ed ecologiche. In particolare, proprio come temeva Berlinguer riguardo alla crisi del suo tempo, gli effetti causati dall’approssimarsi dei limiti dello sviluppo verrebbero fatti pagare quasi completamente alle classi subalterne, onde poter mantenere il più possibile inalterato il privilegio di pochi.

Possiamo solo sperare che qualche figura politica attuale mostri la stessa lucidità e si faccia promotore di un’iniziativa analoga e adeguata ai tempi attuali, al di là dell’opportunismo elettorale mostrato da taluni.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

3 Commenti

  1. Ho letto sia l’articolo di Luca Madiai che il tuo (che mi piace di più). Checché ne dica Latouche, considerare Berlinguer un precursore della decrescita mi sembra una bella forzatura. Berlinguer aveva difeso l’importanza della austerità perché era un modo di affrontare le difficoltà economiche dell’epoca consono alla sua forma mentis. Infatti è stato certamente un politico di alto profilo morale, ma anche un moralista, che non è proprio la stessa cosa. Come diceva Giorgio Gaber “qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona”… Quanto al resto non mi pare che abbia avuto consapevolezza di come la decrescita (felice o meno) potesse essere un modello economico e sociale alternativo a quello dominante del consumismo capitalista. Vorrei però anche aggiungere che al suo tempo non si poteva pretendere una critica radicale del mito della crescita di ispirazione liberista. Una considerazione a parte, molto amara, andrebbe fatta sull’atteggiamento ottuso della sinistra “rivoluzionaria” di allora. Il caviale per tutti, pur tenendo conto della provocazione, è una stupidaggine così come lo erano le critiche rivolte al report del Club di Roma. Il guaio è che, mutatis mutandis, certi negazionisti da salotto sono ancora in circolazione. Purtroppo a costoro il secondo principio della termodinamica non entrerà mai in testa…

    • La cosa fondamentale che aveva capito Berlinguer è che la fase del boom economico era destinata a finire per sempre e che, se non si prendeva atto di ciò, le classi subalterne ne avrebbero pagato il prezzo. Quello che è puntualmente successo. Tra l’altro, non si trattava della ‘crescita liberista’ bensì del modello keynesiano che aveva effettivamente consentito avanzamenti sociali, quindi un feticcio molto più difficile da mettere in discussione.

    • La sinistra rivoluzionaria degli anni settanta in realtà derivava dall’ubriacatura petrolifera dei trent’anni precedenti, che faceva vedere la vita in rosa, trasformabile a proprio piacimento (come diceva Aurelio Peccei).
      Ho conosciuto diverse persone che dicevano di essere rivoluzionarie e, per la verità, dire che erano persone normali, ordinarie, forse è dare un giudizio ottimistico.

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