Il sito di DFSN è stato down per alcuni giorni a causa di problemi tecnici, per cui questo post che doveva rappresentare una replica immediata a Ugo Bardi esce con giorni di ritardo. Nel frattempo ho avuto qualche scambio con il professore su Facebook, ma ritengo che nella sostanza sia ancora valido quanto avevo già scritto.
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Gentile Prof. Bardi,
da sostenitore della decrescita felice e da persona che ha sempre apprezzato la brillantezza dei suoi studi unitamente alla rara capacità di uscire dalle anguste torri d’avorio dell’Accademia, sono ovviamente rimasto molto deluso dal suo articolo Il Ritorno di Madonna Povertà: con la storia della “decrescita felice” ci hanno pesantemente imbrogliato.
Per carità, la decrescita felice è tutt’altro che esente da critiche, anzi. Giusto per fare un esempio, con tutta la l’enfasi concentrata sul risparmio di energia (la famosa metafora del secchio bucato di Pallante) e con alcune posizioni troppo rigide e prevenute sulla preservazione dei terreni agricoli e dei paesaggi, sicuramente alcuni decrescenti non hanno contribuito sufficientemente alla causa delle rinnovabili, a cui lei giustamente attribuisce un’importanza fondamentale.
Tuttavia, proprio chi avrebbe potuto esprimere obiezioni acute, sensate e pertinenti, ha preferito lanciarsi in un’invettiva sulla decrescita non dissimile dalle invettive con cui se ne sono usciti tanti politicanti o le madamin pro TAV. Scrive infatti: “A parte i dettagli, mi sa che ci stiamo muovendo esattamente verso questo tipo di cose: povertà abbietta. In sostanza, con la storia della “decrescita felice” ci hanno imbrogliato in modo molto pesante”. Davvero sconcertante, pensando che proviene da qualcuno che ha fatto parte del comitato scientifico di Associazione per la Decrescita, ragion per cui mi risparmio di spiegare per la milionesima volta la differenza tra recessione e decrescita ecc. per non offenderne l’intelligenza.
Come se non bastasse, replicando ad alcuni commenti al post, ha addirittura reincarato la dose: “L’idea che la decrescita a livello individuale sia una buona idea poteva venire in mente solo a persone che non han capito nulla di come funziona il sistema economico (Jevons l’aveva capito benissimo: il suo non era per niente un “paradosso”… Per essere più chiaro, Jevons dice che se io decido di non usare una risorsa (decrescita personale) qualcun altro la userà. Il risultato della mia personale virtù ecologica sarà che io mi impoverisco e che qualcun altro diventa più ricco. Ma l’idea della “decrescita felice” è sempre stata esattamente questa: impoverire i poveri e arricchire i ricchi. E il bello è che qualcuno ha creduto che fosse una cosa buona.”
Innanzitutto, l’ideologia basata sull’impoverire i poveri per arricchire i ricchi esiste da ben prima che Latouche e Pallante venissero al mondo e si chiama capitalismo. Se lo scopo della decrescita felice fosse veramente quello, allora sarebbe osannata da tutti i politici e i membri delle élite, invece di essere costantemente oggetto di vituperio e contumelie.
In secondo luogo, perché professore ha sempre ostentato con orgoglio la sua Citroen Ax riconvertita a motorizzazione elettrica? Per lei non si applica il Paradosso di Jevons? Qualcun altro non avrà forse consumato al posto suo la benzina risparmiata o sfruttato i materiali non impiegati riutilizzando carrozzeria, telaio e parti meccaniche da un veicolo già esistente?
Battute a parte, mi permetto una piccola osservazione sul Paradosso, consapevole dei rischi perché sto sconfinando nel campo dove lei è l’autorità mentre io solo un principiante con qualche cognizione in materia. Se non ricordo male, l’economista inglese sosteneva qualcosa di un pochino diverso da “se io decido di non usare una risorsa qualcun altro la userà”.
Notando come i miglioramenti di efficienza della macchina a vapore avessero aumentato e non diminuito il consumo complessivo di carbon fossile, ne dedusse che il perfezionamento tecnologico, se non vincolato a precisi limiti produttivi, incentiva anziché rallentare lo sfruttamento della materie prime.
I movimenti della decrescita cercano appunto di creare i presupposti culturali per superare l’idea secondo cui la felicità umana sia correlata all’aumento dei consumi tout court, evidenziando anche come pratiche diversa da quelle del business as usual possano garantire livelli di comfort simili agendo però in direzione della sostenibilità. Il medesimo messaggio che, immagino, ha voluto trasmettere elettrificando la sua vecchia Citroen e rendendo il fatto di dominio pubblico.
Inoltre, mi pare che la critica sull’eccessiva attenzione posta dalla decrescita sulle scelte individuali giunga con qualche anno di ritardo, specialmente per quanto riguarda l’ambito italiano. Penso ad esempio alle sinergie che si sono create tra Movimento per la Decrescita Felice con l’Economia del Bene Comune, Ugo Mattei e altre realtà maggiormente concentrate sugli aspetti politici e sociali, che hanno permesso un salto di qualità anche all’interno di MDF. Basta una rapida occhiata al gruppo tematico sull’economia, ad esempio, per apprezzarlo.
Mi permetta infine un’osservazione “da collega”, ossia da blogger, sebbene con numeri decisamente inferiori ai suoi. Proprio in virtù della visibilità di cui (giustamente) gode grazie anche a casse di risonanza ‘generaliste’ come Il Fatto Quotidiano on line, sarebbe opportuno che, specialmente quando scrive in quei contesti, tenesse sempre a mente l’ingenuità di molti lettori riguardo a certe tematiche.
Viviamo in un’epoca dove degrado della biosfera e sovrasfruttamento delle risorse, aggravate da scelte politiche scellerate votate alla distruzione, impediscono di buttare la polvere sotto il tappeto come si è tentato disperatamente di fare fino ad ora. Il monito di Draghi “Volete la pace o i condizionatori accesi?” (ricalcato pari pari sul mussoliniano “volete burro o cannoni?”) preconizza il tentativo delle élite di imporre misure di austerità alle masse per favorire ristrette minoranze privilegiate, edulcorandole di idealismo.
Preso atto di ciò, basta un attimo per scambiare lucciole per lanterne, specialmente quando non si conoscono a sufficienza tematiche complesse come quelle legate alle sostenibilità. Le propongo uno stralcio di un intervento di Carlo Freccero:
“Il rapporto suoi limiti dello sviluppo”, commissionato al MIT del Club di Roma viene pubblicato nel 1972. Nel pieno dell’industrializzazione il libro ci ammonisce sul pericolo che la crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e di sfruttamento delle risorse, porti il nostro pianeta al collasso. Troviamo già qui tutti i temi dell’agenda 2030 e del Great Reset. Non è casuale.
Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma è un mito per Schwab, ed è intervenuto direttamente, alle origini del WEF, portando il suo contributo teorico. A parte il bellissimo libro di Cesarano Collu, “Apocalisse e Rivoluzione” che identifica “I limiti dello sviluppo” come “utopia capitalista” la sinistra non sembra registrare l’evento. Al contrario sembra introiettare progressivamente questa utopia”.
Chi leggesse ingenuo e ignaro il suo post e le relative tirate contro la decrescita felice, penserebbe che lei stia portando acqua al mulino di questo tipo di posizione, fatto davvero paradossale dal momento che è da poco uscito un suo libro dove si sottolinea l’accuratezza di quello studio del Club di Roma, alla faccia dei cospirazionismi da quattro soldi.
Insomma, la decrescita felice e i suoi sostenitori hanno tante mancanze per cui occorre senza dubbia una costante opera di critica costruttiva. Tuttavia, “truffe”, “balle” e “imbrogli” provengono da altre parti, questo è poco ma sicuro.
Cordialmente (o per lo meno senza alcun rancore, davvero)
Igor Giussani
Scusa Giussani, lo chiedo a te che di decrescita te ne intendi. Ma questo sito che Bardi pubblicizza
https://thesunflowerparadigm.blogspot.com/?m=1
a te non sembra che si occupi appunto di decrescita?
Non ho capito quali siano le ragioni per cui la società del girasole e la decrescita siano inconciliabili e si escludano a vicenda.
(A parte il fatto che potrebbe chiamarsi pure società del Topinambur. Pseudo tubero di facilissima coltivazione. Sempre di Helianthus si tratta. Questo almeno aiuterebbe a mitigare in parte la crisi alimentare che si prospetta a breve).
(La parte tra parentesi non è propriamente inerente la questione. È per chi si preoccupa più di poter mangiare che di andare in giro con un triciclo a energia solare). (Un po’ scherzo. Mi si perdoni il tono).
Assolutamente sì, solo che ho paura che io e Bardi non ci capiamo più quando si parla di decrescita felice.