Parisi, il Nobel oltre il primo tabù

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“Il Pil dei singoli paesi sta alla base delle decisioni politiche e la missione dei governi sembra essere quella di aumentarlo il più possibile. Obiettivo che però è in profondo contrasto con l’arresto del riscaldamento climatico… Il prodotto nazionale lordo non è una buona misura dell’economia, cattura la quantità ma non la qualità della crescita… se il Pil rimarrà al centro dell’attenzione, il nostro futuro sarà triste”.

Sono parole pesanti quelle del neo premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi, rilasciate alla camera dei deputati pochi giorni dopo il conferimento del prestigioso premio. Un intervento che, per altro, riabilita la categoria dei fisici insigniti dall’Accademia di Svezia dopo il famigerato intervento di Carlo Rubbia al Senato nel 2014, presto diventato un classico dei negazionisti climatici.

Le dichiarazione di Parisi rappresentano sicuramente un’evoluzione nell’affrontare la problematica ecologica. Dopo che per anni i potentati politici ed economici hanno negato/trascurato l’acuirsi del riscaldamento globale, oggi tinteggiano il business as usual di verde con la ‘crescita sostenibile’ e slogan analoghi. Un atteggiamento gattopardesco (“cambiare tutto per non cambiare niente”) di cui la principale testimonianza è probabilmente il libro di Bill Gates Clima. Come evitare il disastro.

Attaccando frontalmente il dogma della crescita, la critica del neo Nobel fa un netto salto di qualità, in quanto contraddice l’idea mainstream di una crisi ecologica risolvibile semplicemente per via tecnologica. Mancano ancora un paio di step per giungere a una consapevolezza completa, affermando ad alta voce altri due gravosi dati di fatto:

  • per l’attuale sistema socio-economico-politico (che potremmo chiamare genericamente ‘capitalismo’) la ricerca della crescita economica continua rappresenta un obiettivo fondamentale per la sua stessa esistenza, per quanto razionalmente illogico. Senza sbarazzarcene, non c’è alcuna speranza di un vero risanamento ambientale;
  • il riscaldamento globale non è ‘il’ problema ecologico, bensì il sintomo di una malattia molto più complessa dovuta all’eccessiva invadenza delle attività umane sulla biosfera, fatto testimoniato da una impronta ecologica superiore quasi del 90% alla biocapacità del pianeta e che concretamente si manifesta sotto forma di distruzione di habitat, estinzioni di massa e perdita di biodiversità in generale.

Forse è il caso di farsi sentire senza aspettare per forza un altro premio Nobel che trovi il coraggio di rivelare osceni segreti di Pulcinella.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

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