La disubbidienza civile può essere un’opportunità?

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Paolo D’Arpini si offre di far pubblicare un suo contributo su DFSN, cosa che facciamo ben volentieri.

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“Nessuno stato, nessuna chiesa, nessun interesse costituito ha mai voluto che tu conoscessi la forza del tuo spirito, perché una persona con una solida energia spirituale sarà inevitabilmente un ribelle.” (Osho)

Solitamente, per modestia ma soprattutto per un radicato rispetto che ho per le istituzioni, tendo a contenere, in un ambito di “politicamente corretto”,  il mio disaccordo verso norme, leggi, disposizioni amministrative, ecc. che ritengo ledere i  diritti del cittadino, di chi vive in uno stato definito “democratico”. Tale espressione di democrazia è contenuta nella Costituzione che in più punti stabilisce i diritti alla libertà. Tanto che veniamo definiti “cittadini” e non “sudditi”.

La prima regola democratica è quella di consentire a tutti di poter esprimere il proprio pensiero ed io  ho sempre cercato di avvalermi di questo diritto. Non mi astengo dal dire ciò che penso, anche se il mio pensiero e le mie parole possono risultare fastidiose per qualcuno, o possono procurarmi noie burocratiche e di carattere sociale.  Negli ultimi due anni, in seguito alle contingenze sanitarie in cui ci siamo trovati, ho potuto sperimentare come la mia “libertà di pensiero e di parola” sia stata  causa -per me- di notevoli difficoltà espressive.

Non sto parlando semplicemente della censura mediatica o dell’oscuramento subito sui social o sui motori di ricerca. Infatti da anni ormai ho imparato come il “mettersi contro”, opponendosi al sistema, venga retribuito con la cancellazione pubblica dell’opinione.

 Molti anni addietro, quando sembrava che la libertà d’espressione e l’indipendenza da ogni “opportunità di comodo”   fosse un “bene” da salvaguardare, vissi -come intellettuale, ecologista e opinionista politico e spirituale- un lungo periodo sulla cresta dell’onda.  Conservo ancora a Calcata, ove massimamente godei di un lungo tempo  di gloria mediatica, centinaia di copie di giornali, riviste e di emissioni di agenzie nazionali (ma anche internazionali) e menzioni  di apparizioni in tutte le reti televisive e radiofoniche.  Purtroppo a mano a mano che le mie “dichiarazioni” o battaglie  non collidevano con  gli interessi dei potenti o addirittura avevano causato debacle politiche  gravi, pian piano scomparii da ogni organo di comunicazione pubblico… fino al punto che -oggi- persino le mie  iniziative culturali più innocenti, pur di un certo livello,  vengono ignorate anche dai giornaletti di paese. Insomma ormai vengo “sopportato” da appena una manciata di “media” controcorrente  (gli ultimi coraggiosi della libertà espressiva)   o che non sanno ancora quanto siano “nocive” per il sistema (e per chi mi ospita) le mie idee bislacche.

Ad esempio qui a Treia, in provincia di Macerata, nella periferia delle Marche profonde, dove mi sono ritirato in esilio  per evitare il rogo, per ottenere una piccola “audience” spesso sono costretto a parlare per metafore, alludendo a storie  vere o inventate (che potrebbero comunque aprire spiragli di verità).  Come quelle, ad esempio, dell’ “l’isola somarabile” o  della “la raccolta di fichi e di immondizie” o “la festa dell’acqua cotta”, ecc…

Beh, per consentire una migliore comprensione della situazione in cui ci troviamo e dalla quale dobbiamo uscire, vorrei qui riportare alcuni pensieri sulla necessità della disobbedienza civile, espressi  dal filosofo ecologista  H. D. Thoreau.

“L’autore statunitense allineato, Paley,  sul “dovere di sottomissione al governo civile” riduce ogni obbligo all’opportunità  e si spinge sino a dire che finchè l’interesse della società lo richiede, vale a dire, finché il governo in carica non si può contrastare o cambiare senza pubblico disagio, è volontà di Dio (sic) che il governo in carica venga obbedito…”.

Ma  questo Paley sembra non aver mai contemplato quei casi in cui non si applica la regola dell’opportunità, nei quali un popolo, così come un individuo, deve chiedere giustizia, costi quel che costi… altrimenti possiamo di nuovo assistere a giustificazioni, come quelle  portate dai criminali di guerra nazisti, che dichiararono al processo di Norimberga “mi sono limitato ad ubbidire agli ordini”.

Tali persone che privilegiano solo “l’opportunità politica” non sono semplicemente degli ignavi, incapaci di discriminazione e di poca intelligenza comunitaria, ma dei veri e propri delinquenti che dovrebbero smettere di tenere la gente in schiavitù con la scusa dell’ordine pubblico e della decenza.  Una decenza degna di una “sudiciona di rango, sgualdrina vestita d’argento, con lo strascico levato in alto, e l’anima caduta nel fango” (Thomas Middleton).

Diceva ancora Thoreau: “Approvo con entusiasmo la massima ‘Il governo migliore è quello che governa di meno’ e gradirei vederla adottata più radicalmente e sistematicamente. Messa in pratica finisce per equivalere a un’altra di cui pure sono convinto: ‘Il governo migliore è quello che non governa affatto’ e quando gli uomini saranno pronti, sarà questo il tipo di governo che avranno”

Ed in previsione di ciò riporto un mio pensiero, una sorta di carta degli intenti della nostra “associazione fra  uomini” sulla necessità di precorrere i tempi che verranno.

E’ giunto il momento di usare  discriminazione  verso alcune regole e  consuetudini della società in cui viviamo. Insomma  dobbiamo prenderci  la briga di cambiare il nostro atteggiamento, ribellandoci alle norme restrittive e meschine della politica corrente. Ecco perché  è giusto perseverare  nello scopo di far da rompighiaccio, aprendo  nuove  strade evolutive per la nostra comunità,  degli umani e dei viventi in generale.

Alcuni detrattori dicono che siamo sessantottini non pentiti, oppure che siamo inveterati illusi, poiché il nostro voler cambiare il mondo si risolve in un nulla di fatto… Sarà così… ma almeno stiamo cercando di farlo cominciando dal cambiare noi stessi, decidendo per noi stessi quei comportamenti necessari a creare una nuova civiltà ecologica e spirituale.

Ed allora ci definiamo “ribelli” e non “rivoluzionari” poiché il rivoluzionario appartiene ad una sfera terrena mentre il ribelle e la sua ribellione sono sacri. Il rivoluzionario sente il bisogno di rivolgersi alla folla, muovendosi in ambiti politici e di governo, insomma ha bisogno di “potere”. Ed il potere quasi sempre corrompe (lo sappiamo bene) ed i rivoluzionari che lo hanno assunto ne sono stati corrotti. Il potere ha cambiato la loro mente mentre la società è rimasta la stessa, solo i nomi sono cambiati.

Per questo il mondo ha bisogno di precursori ribelli e questo è un momento in cui se non vi saranno parecchi spiriti ribelli i nostri giorni sulla terra sono contati… 

Paolo D’Arpini

1 commento

  1. Stupenda riflessione che mi trova completamente d’accordo. La trovo perfettamente calzante coi tempi bui che stiamo vivendo ed ho molto apprezzato che ci fa capire perfettamente rispetto a cosa dovremmo essere ribelli senza il bisogno di fare nomi e cognomi.

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