Pensiero critico, critica del pensiero/2 Il debunking

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(puntata 1)

Debunking e fact-cheking

Smentire falsità e demistificare sono per principio azioni lodevoli e meritorie, quindi il debunking, se condotto con serietà e correttezza, può solo recare onore a chi lo pratica, specialmente nell’epoca in cui la bulimia di informazione da Web rende difficile districarsi tra fonti attendibili e pozzi senza fondo di fake-news. In un certo senso, tutti quanti dovremmo ispirarci almeno idealmente ai fact-checker, il contrario equivarrebbe a considerare se stessi dei creduloni superficiali che si lasciano abbindolare come allocchi dal primo cialtrone di turno.

Premesso ciò, quali risultati concreti sono stati ottenuti da chi ha fatto del debunking addirittura un’attività fine a se stessa, con lo scopo dichiarato di migliorare la qualità dell’informazione in Rete e ridurre drasticamente le falsità dilaganti? In questo caso, il giudizio si fa meno lusinghiero. Talvolta, persino alcuni debunker lasciano trasparire un profondo senso di delusione, come se i loro sforzi fossero destinati a rimanere vani.

Secondo alcuni ricercatori, combattere le bufale paradossalmente le rafforza perché, in un’epoca in cui la pubblicità negativa è considerata preferibile a nessuna forma di propaganda, favorisce la viralità dei contenuti che diffondono. C’è poi chi mette in guardia dal ‘ritorno di fiamma’ sulla mente dei lettori qualora si enfatizzi troppo la notizia falsa invece dei fatti che la smentiscono, rinforzando quindi involontariamente menzogna e mistificazione.

 

Fonte: Manuale della demistificazione di Skeptical Science

 

Per quanto argomentazioni fondate, sono abbastanza diffidente verso le spiegazioni-alibi che dirottano insuccessi e fallimenti solo su cause esterne al comportamento delle persone direttamente coinvolte. Vediamo allora di approfondire la questione.

Al pari di tanti altri fenomeni della Rete, il debunking di norma scatena reazioni contraddittorie, consenso fino all’idolatria oppure avversione tendente all’odio viscerale. Se i facili entusiasmi sono comprensibili, come si spiega tanto astio verso un’attività che, se ben condotta, dovrebbe tributare solo elogi?

I fan del debunking hanno spesso la risposta pronta: è in corso uno scontro tra sostenitori di verità, cultura e scienza contro quelli di menzogna, oscurantismo e ignoranza; tanti fact-checker hanno cavalcato l’onda del ‘noi vs loro’ (quando non l’hanno fattivamente promossa) anche perché funzionale al contesto dei social network, dove la radicalizzazione è una risorsa eccezionale per conquistare visibilità.

Divulgare deliberatamente notizie false è un atto criminoso che non ha nulla da spartire con la libertà di espressione, quindi è giusto ogni biasimo. Ma che dire del pubblico che fa da cassa di risonanza e che, in teoria, il debunking dovrebbe informare ed educare? Merita altrettanta ignominia?

Certo, chi crede nelle fake-news è probabilmente ‘analfabeta funzionale’ e di sicuro ‘vittima del bias di conferma’, per usare espressioni care ai debunker. Ma è possibile che l’attuale ‘popolo delle bufale’ sia cognitivamente tanto diverso dalle masse che, solo qualche decennio fa, si sottoponevano alle vaccinazioni senza obiettare, esultavano alla costruzione di autostrade e grandi opere (con buona pace di Pasolini, avrebbero fatto estinguere volentieri tutte le lucciole per mille Montedison), non opponevano resistenza alla costruzione di centrali nucleari, riponevano fiducia nella stampa e pendevano sostanzialmente dalle labbra degli esperti?

Non abbiamo elementi certi per escluderlo a priori; di sicuro, però, sappiamo che nel frattempo sono intervenuti cambiamenti epocali che hanno causato strascichi enormi, determinati principalmente da quarant’anni di incontrastata egemonia neoliberista. L’elevazione del profitto a criterio-cardine della società ha inevitabilmente corrotto tutti gli ambiti; piccoli e grandi scandali hanno sconvolto politica, economia, giornalismo, mondo accademico; l’influenza lobbystica ha raggiunto livelli esorbitanti; insomma, è saltato il clima di fiducia su cui si deve reggere il patto sociale. Un sondaggio realizzato nel 2018 dall’Università dell’Insubria su di un campione rappresentativo del popolo italiano lo evidenzia in modo drammatico:

 

 

 

Fonte: Università degli Studi dell’Insubria

 

Un quadro a tinte eccessivamente fosche? Forse, anche perché la sensazione di fiducia tradita è molto dolorosa e non favorisce l’obiettività. Ma c’è modo e modo per provare a riportare più equilibrio e serenità di giudizio.

Qui arriviamo al secondo problema fondamentale: raramente mi imbatto in debunking scorretti sul piano formale, troppo spesso però vedo all’opera una palese tendenziosità celata dietro la maschera della constatazione neutrale e oggettiva. Mi spiego meglio.

Se sono uno storico della Shoah e il mio sforzo documentario consiste esclusivamente nel ridimensionare il numero delle vittime dei campi di sterminio, è innegabile il mio intento di sminuire la gravità di questo crimine immane. Analogamente, se affronto argomenti come emigrazione, energia atomica, 5G, vaccini, manipolazione genetica, sperimentazione animale e molti altri limitandomi a confutare palesi bufale senza rapportarmi con le obiezioni più serie e argomentate – facendo intendere implicitamente che non esistono – sto chiaramente cercando di sdoganare l’idea per cui qualsiasi voce critica riguardante multiculturalismo, sicurezza e fattibilità del nucleare, elettrosmog, lobbysmo di Big Pharma, transgenesi, prassi della ricerca scientifica, ecc. sia da considerarsi frutto di pregiudizio e ignoranza.

Le ‘sbufalate’ hanno quasi sempre la funzione di rassicurare su timori condivisi da ampie fette di popolazione, raramente vengono confutate notizie eccessivamente ottimistiche, a meno che non riguardino pseudo-invenzioni del tipo “ecco il motore ad acqua che l’industria petrolifera sta tentando in tutti i modi di nascondere al mondo” (veicola comunque indirettamente il messaggio che i petrolieri o altri potentati non ostacolerebbero mai l’avvento di una tecnologia che potesse danneggiare i loro interessi!).

I fact-checker, spesso accusati ingiustamente di essere asserviti a formazioni politiche o aziende, a me sembrano più che altro assurgere troppo spesso ad avvocati difensori del Business As Usual. Intendiamoci: esiste l’onestà intellettuale ma non una visione neutrale dei fenomeni (Heisenberg docet), lungi da me chiedere a chicchessia di imbarcarsi in improbabili operazioni di ‘par condicio’ su ogni tematica trattata o peggio ancora di assumere atteggiamenti cerchiobottisti.

Se però, come i debunker sostengono ripetutamente, il loro scopo non è difendere ideologie né promuovere sterili muro contro muro, bensì favorire un clima del dibattito più razionale e meno basato sul sensazionalismo emotivo, allora un consiglio mi sento di darlo: alla pars destruens del fact-checking si deve accompagnare necessariamente uno sforzo empatico e costruttivo verso il pubblico che si vorrebbe educare, non limitato a un semplice atteggiamento paternalista.

Occorre invece partire dal presupposto che, dietro al sostegno acritico alle bufale, magari non si celino solo ignoranza, bias e fanatismo, ma anche preoccupazioni serie e fondate, per quanto argomentate nel peggior modo possibile. Vediamo un esempio concreto di come si potrebbe mettere in pratica quanto propongo.

Chi diffonde leggende metropolitane su Big Pharma difficilmente cambierà idea solo perché gli vengono smentite, per di più se avverte un tono di derisione verso i suoi timori; quasi sicuramente, anzi, si trincererà ancora di più nei suoi convincimenti. Potrebbe invece smuoversi dai pregiudizi cercando con lui un punto d’incontro per inquadrare nell’ottica corretta l’intera questione del lobbysmo dell’industria farmaceutica, assumendo quindi che, di per sé, trattasi di problema reale e non di paranoia nevrotica.

Quindi, all’immancabile e puntuale debunking potrebbe accompagnarsi un contributo utile in tal senso, come un articolo de Il Fatto Quotidiano di qualche anno fa, di cui riporto uno stralcio significativo:

Big Pharma sta uscendo allo scoperto per quello che è: una lobby planetaria, una casta di intoccabili che fa i miliardi sulla pelle dei cittadini, accumula scandali uno dietro l’altro, inventa le malattie prima di sfornare la pillolina miracolosa e ovviamente è impermeabile alla crisi. Glaxo Smith Kline, gigante britannico dei farmaci, si è comprata i medici di mezzo mondo. Solo ad aprile è stata accusata di corruzione in Libano, Giordania, Iraq e Polonia, dove il manager regionale dell’azienda e 11 dottori sono sotto indagine per un presunto giro di mazzette in cambio della prescrizione del farmaco anti-asmatico Seretide. Nel luglio 2013 è stata incastrata in Cina, dove ha sganciato 320 milioni di sterline per ingraziarsi la classe medica con regali di lusso e prostitute.
Il botto negli Stati Uniti, anno 2012: 3 miliardi di dollari di multe per aver pompato le vendite di antidepressivi per indicazioni non autorizzate. La Roche spaccia il Tamiflu come il farmaco del secolo contro l’aviaria nel 2006 e tre anni dopo l’influenza suina (il virus A/H1N1) ma i ricercatori della Cochraine Collaboration, entrano in possesso dei risultati delle ricerche chiusi negli archivi, dimostrano che è un finto antidoto per una finta pandemia. Poi il cartello con l’altro colosso svizzero, Novartis, per favorire la diffusione del Lucentis, cioè il farmaco più costoso per la cura della maculopatia (1400 euro) contro l’analogo low cost Avastin (15 euro), con maxi-multa dell’Antitrust italiana da 180 milioni di euro. Solo per citare i casi più freschi. La magistratura ha messo la marcia. I media hanno rotto il tabù.

“Visto? Big Pharma è criminale e truffa la gente!”, tuoneranno gli ‘analfabeti funzionali’. Ed è vero, dal testo emerge come alcune delle maggiori corporation del settore non si facciano scrupoli a violare la legge e altri comportamenti riprovevoli. Si evince però in modo altrettanto incontrovertibile che, malgrado la loro smisurata potenza, il famigerato ‘Sistema’ un’azione di vigilanza e contenimento la svolge, per giunta su fenomeni che, rispetto a quelli paventati dalle teorie del complotto (avvelenare la popolazione mondiale con i vaccini e roba simile), sono bazzecole. Pertanto, Big Pharma gode di ampi margini di manovra e gli organismi di garanzia probabilmente chiudono gli occhi in diverse circostanze, ma non è la burattinaia del mondo che qualcuno ama dipingere.

Quindi, se al blastare il falso si accompagnasse un impegno concreto per capire fin dove le paure sono ragionevoli e dove invece degenerano in isterismi senza senso, il debunking potrebbe aumentare notevolmente la sua capacità di persuasione; secondo me, questo sforzo servirebbe anche a tanti fact-checker per imparare qualcosa prima ignorato o ampiamente sottovalutato.

(continua)

 

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia

 

 

 

 

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

2 Commenti

  1. Caro Igor, ho letto anche questo tuo articolo, con interesse come sempre, rilevando però che pur avanzando le dovute critiche sei stato troppo clemente con l’attività dei debunker. Mi correggo, dovevo dire di alcuni debunker. Sul piano dello stile ho sempre visto molta supponenza nell’opera dei debunker, quel classico atteggiamento sprezzante di chi dicesse “senti questo che cazzate che dice, ora ci penso io a ridicolizzarlo”.
    Sul piano della sostanza ho invece spesso rilevato nei debunker un atteggiamento filoscientista, senza nessun doveroso approccio epistemologico, ovvero un approccio capace di tener conto della natura e dei limiti della conoscenza scientifica.

    • Hai ragione su molte, però i debunker non sono scienziati, quindi se persistono con un atteggiamento scientista sono più scusabili di un Burioni o di gente che comunque fa parte del mondo della ricerca e quindi sarebbe anche suo dovere mostrarsi all’altezza degli avanzamenti epistemologici.

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