La critica dell’antropocentrismo rappresenta un momento imprescindibile per una reale coscienza ecologica, un valore essenziale per quella transizione capace di reintegrare la società umana all’interno dei vincoli planetari, abbandonando la hybris di ‘dominio sulla Natura’ di cui sono oramai evidenti, in tutta la loro gravità, i danni prodotti.
Ciò nonostante, al pari di tanti concetti brillanti, anch’essa non è immune da fraintendimenti e degenerazioni. Ad esempio, anche tra sedicenti ecologisti radicali, è diffusa l’opinione secondo cui sarebbe da bollare quale ‘delirio antropocentrico’, ‘arroganza di voler primeggiare sulla Natura’, ecc. il fatto che l’uomo con la sua attività possa modificare alcune caratteristiche basilari del pianeta, a partire dal clima.
Commento apparso sul gruppo Facebook di un’associazione ambientalista radicale
Paradossalmente, questo tipo di negazionismo riecheggia le tesi di soggetti legati al business delle fossili e altre attività altamente inquinanti, in particolare il mantra “il clima è sempre cambiato e le estinzioni di massa si sono sempre verificate senza che ci fosse alcuna interferenza umana”. Per capire appieno la stupidità di tali argomentazioni, basta semplicemente astrarle dal clima e trasferirle mutatis mutandis in un altro contesto: se dichiarassi, ad esempio, che la gente si è sempre ammalatta di tumori prima dell’avvento dell’industrializzazione e che quindi non c’è motivo per addebitare le escalation di casi di cancro a Taranto o nella Terra dei Fuochi rispettivamente alle emissioni dell’ILVA e allo sversamento illegale di rifiuti tossici – non suona ‘presuntuosa’ l’idea di poter alterare profondamente l’attività cellulare? – sono sicuro che i medesimi denigratori del ‘delirio antropocentrico’ mi scannerebbero vivo, e del tutto a ragione (figuriamoci se, constatando l’enorme business gravitante attorno ai tumori – 100 miliardi di dollari annui è il giro di affari della sola vendita di farmaci – definissi addirittura il cancro un falso problema inventato allo scopo di lucrarci sopra). Di fronte all’evidenza di una causa scatenante supportata da svariate prove di cancerogenicità, per quale ragione dovrei attribuire l’emergenza sanitaria a cause naturali non pervenute?
Evitiamo quindi schizofrenie intellettuali e ragioniamo nel modo adeguato anche quando si tratta di comprendere le problematiche poste dalle modificazioni antropiche sul pianeta. Nel passato, ogniqualvolta sono avvenuti sulla Terra sconvolgimenti tali da alterarne profondamente il clima e causare estinzioni di massa, essi erano dovuti a fenomeni quali:
- variazioni dell’orbita terrestre;
- caduta di asteroidi o meteoriti;
- esplosioni di supernove ‘vicine’ alla Terra con conseguente irradiazione di lampi di raggi gamma;
- rilascio di enormi quantità di metano dai fondali degli oceani;
- maxi-eruzioni vulcaniche che hanno originato le cosiddette ‘grandi province ignee’ (in parole povere, fuoriuscite di magma talmente elevate da formare intere porzioni di continenti).
Da alcune migliaia di anni a questa parte, nessuno di essi si è mai manifestato; da circa un secolo e mezzo, invece, eventi palesemente correlati all’attività industriale hanno interferito in misura crescente nei cicli biogeochimici dell’ecosfera. Non per niente è stato coniato il termine ‘antropocene’ per indicare l’epoca geologica attuale, nella quale all’essere umano e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche; in un interessantissimo articolo pubblicato su Apocalottimismo, Jacopo Simonetta, dopo aver sviscerato i dati di alcune ricerche, trae importanti conclusioni che bene illustrano la portata delle trasformazioni avvenute:
- l’uomo e gli animali da lui addomesticati rappresentano il 98% dei mammiferi complessivi sul pianeta (‘solo’ mille anni fa, il rapporto era almeno 90%-10% in favore dei selvatici);
- considerando anche suoli e piante agricole, l’attività umana occupa 2/3 di quella selvatica (ogni tre chili di ‘carne selvatica’, ce ne sono due di vita domestica);
- oggi sulla terra ci sono più chili di costruzioni, macchine e discariche che chili di materia vivente (alberi, alghe, insetti e batteri compresi);
- lo spazio ecologico umano è maggiore di tutte le forme di vita e di tutti gli ecosistemi selvatici superstiti messi insieme, probabilmente il 20-30% di più di tutto il resto.
Tassi di estinzione: si noti il loro esponenziale aumento in corrispondenza delle grandi scoperte geografiche del Seicento-Settecento ma, soprattutto, con l’avvento della rivoluzione industriale e della sua capillare diffusione a partire dal Novecento (fonte: Biodiversity e Conservation)
Si osservi come le emissioni di anidride carbonica (CO2) e metano (CH4) siano aumentate esponenzialmente dall’inizio dell’era industriale a oggi, raggiungendo in breve tempo livelli mai toccati negli ultimi 500.000 anni; tutto ciò a fronte di un’attività solare sostanzialmente regolare. (Fonte: antarticglaciers.org)
Pensare che tali sconvolgimenti epocali non si ripercuotano sulle condizioni generali del pianeta è semplicemente folle.
E’ curioso come il negazionismo ambientale rappresenti il trait d’union tra i presunti anti-antropocentrici e i soggetti che (almeno in teoria) sarebbero a loro esattamente antitetici, ossia i fanatici del Progresso: ambedue le fazioni, infatti, rigettano importanti (e soprattutto allarmanti) acquisizioni della scienza indagante la biosfera, preferendo elevare a verità incontestabile i propri paraocchi ideologici pseudo-filosofici; anche se mossi da ragioni diametralmente opposte, sottovalutano ugualmente i peggiori effetti collaterali della hybris umana. Entrambi i gruppi amano accusare gli altri di ‘arroganza’ e ‘presunzione’ (in stile bue che danno del cornuto all’asino, visti toni e argomentazioni adottati), ma sono personalmente più indulgente verso i progressisti a ogni costo che, se non altro, agiscono coerentemente con le proprie convinzioni avverse alle ragioni dell’ecologia, non si proclamano paladini della Natura.
In definitiva, gli stravolgimenti operati sul pianeta a causa dell’influenza umana (cambiamenti climatici, sesta estinzione di massa, ecc.) costituiscono forse la principale ragion d’essere della seria critica all’antropocentrismo, incarnando perfettamente il lato oscuro di quel desiderio di dominare la Natura miseramente naufragato nel rischio di segnare drammaticamente il destino del genere umano, fino a determinarne persino un’eventuale estinzione.
Immagine in evidenza: murales realizzato da Banksy