Cambiamento climatico: perché tutto può collassare

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La chimica-fisica dell’atmosfera funziona come un sistema complesso e diversamente non potrebbe essere all’interno delle altrettanto complesse dinamiche che determinano il comportamento delle componenti fondamentali della vita su questo pianeta.
L’aumento della temperatura, dovuto al riscaldamento prodotto dai gas serra rilasciati dalle attività umane, in questo periodo storico ha effetti che si manifestano soprattutto alle alte latitudini e che nell’emisfero nord si esprimono provocando il disgelo dei ghiaccio marino e del suolo ghiacciato (il permafrost). Per quanto riguarda il permafrost, l’aumento della temperatura è in grado di mobilizzare gli idrati di metano (1) che vi sono contenuti .
La particolare struttura chimica di questi composti permette di immagazzinare notevoli quantità di idrocarburi e si stima che un metro cubo di idrato produca circa 160 metri cubi di metano. La liberazione di questo gas è dovuta principalmente a due fattori: quello termogenico, ovvero quando il gas si origina in seguito all’alterazione termica della materia organica contenuta nelle rocce madri, oppure quello biogenico, quando il gas viene prodotto dalla decomposizione della stessa materia grazie attività di alcune specie di batteri ed è questo secondo caso quello che ci interessa più direttamente. Ma gli idrati sono imprigionati anche sotto la superificie sottomarina (in particolare della piattaforma continentale) ed è stato calcolato che abbiano una consistenza di circa 1.400 miliardi di tonnellate (Gt) di carbonio equivalente.
Il metano (CH4) è un gas estremamente attivo e una sua molecola intrappola tanto calore quanto 21 molecole di CO2. Già nelle condizioni attuali, l’enorme quantità immagazzinata potrebbe a breve rilasciare fino a 50 Gt di questo gas, un quantità tale da incrementare il contenuto di metano nell’atmosfera di un fattore dodici.
Consideriamo che gli effetti climatici di questo rilascio potenziale possono essere significativi per un periodo di tempo che va da mille a centomila anni, tanto che si ipotizza (seppure per altre cause) che l’estinzione di massa del Permiano (2), nel corso della quale scomparirono oltre il 90% delle specie marine e il 70% dei vertebrati terrestri, possa essere stata effettivamente causata da un evento di questo tipo.

 

 

Il caso del rilascio di metano è un tipico esempio di retroazione positiva che può alimentare un circuito potenzialmente letale su scala globale. Ma che cos’è una retroazione?
Come ha ben spiegato il premio Nobel per la chimica Ilya Prigogine nei suoi studi sui sistemi complessi (e i sistemi ecologici sono sistemi complessi), questi reagiscono ad uno squilibrio, a una deviazione, ovvero al cambiamento del loro stato, in due modi: o attraverso una retroazione negativa che tende a correggere la deviazione riportando il sistema al suo stato originale, o attraverso una retroazione positiva che tende a formare nuove strutture con un processo di tipo irreversibile. Dunque, questa classe di processi, nella versione negativa è reversibile, in quella positiva no.
La retroazione negativa indica che il sistema reagisce a delle informazioni in entrata (nel nostro caso l’aumento di gas climalteranti in atmosfera) e le modifica neutralizzando le potenzialità che verrebbero attivate provvedendo a ristabilire le relazioni all’interno del sistema. In concreto tende quindi a mantenere l’equilibrio originario, l’omeostasi.
La retroazione positiva (tipica dei sistemi aperti) invece amplifica il cambiamento e quando una variabile aumenta o diminuisce, lo fa anche l’altra. Questo spiega come a partire da piccoli mutamenti possano prodursi cambiamenti molto grandi (il cosiddetto effetto farfalla).
Quando si spinge un sistema oltre i suoi limiti di equilibrio proliferano i circuiti di retroazione positiva, e ciò aiuta a comprendere gli accelerati cambiamenti del clima che abbiamo di fronte. Si tratta di una evoluzione (ma non inganni il significato progressivo che diamo al termine) che per l’appunto richiede instabilità, una instabilità che, se portata alle estreme conseguenze, è in grado di produrre un cambiamento strutturale, ovvero una nuova configurazione da cui non si torna indietro.
Una volta che il processo sfocia nella creazione di una nuova struttura, questa assume
le caratteristiche di una struttura dissipativa che produce un nuovo squilibrio e avvia
un ciclo caotico dove si producono nuove instabilità. In queste condizioni il sistema “impazzisce” e si moltiplicano i circuiti che generano processi di auto-organizzazione e di auto-alimentazione.
Si tratta di un processo NON lineare che può risultare tanto potente da frantumare
tutta l’organizzazione preesistente. In altri termini, “l’impazzimento del sistema” può effettivamente coincidere con il raggiungimento dei 2°C o addirittura anche “solo” di 1,5° C di riscaldamento atmosferico in più rispetto all’inizio dell’era industriale che, come deliberato dagli accordi internazionali di Parigi, non vanno in alcun modo superati.
Anche se non è perfettamente prevedibile con quale intesità potrà evolvere il cambiamento, quello che è certo è che superato questo punto di non ritorno (tipping point) possono entrare in gioco forze che per definizione sono incontrollabili.
Allo stato attuale delle conoscenze e considerata l’evoluzione climatica causata dal
riscaldamento globale, si considera altamente probabile che il meccanismo sopra descritto possa condurre in modo inatteso (e anche in tempi molto più brevi rispetto a quelli evidenziati in un primo momento), a una situazione di forzata transizione da uno stato all’altro che determinerebbe reazioni a catena e travolgenti impatti sugli ecosistemi e sulle specie viventi.
Nelle nostra vita di tutti i giorni non siamo abituati a pensare in termini NON lineari e questo ci rende difficile comprende le dinamiche “esponenziali” che pure entrano in gioco in determinate situazioni. Questo è uno dei motivi principali del perché non riusciamo a cogliere in tutta la loro pericolosità il cambiamento climatico in corso.
La nostra realtà, quella che mentalmente costruiamo ogni giorno con la nostra esistenza, infatti non necessariamente coincide con la realtà dei processi naturali che, se sottoposti a uno stress, reagiscono secondo regole e principi che non sono modificabili dai nostri desideri e dall’idea (errata) che ci siamo fatti del mondo in cui viviamo.
Ciò detto, è auspicabile che quanto ancora in noi è guidato dalla razionalità e quindi dalla capacità di agire per prevenire il peggio, abbia la meglio sulle “oscurazioni” che al momento condizionano il nostro comportamento e ci rendono incapaci di evitare il peggioramento della crisi in cui siamo già immersi.
Teniamo presente che il caso degli idrati di metano è solo uno tra quelli possibili in quanto fenomeni di retroazione positiva su scala globale possono essere prodotti anche dal processo di acidificazione degli oceani, dall’ulteriore abbattimento di ampie porzioni di aree forestali o da più criticità ambientali che si trovano ad interagire in modo sinergico.
Secondo il recente report prodotto dai ricercatori del Tavolo intergovernativo dell’ONU che si occupa del tema, abbiamo pochissimo tempo a disposizione per non oltrepassare la soglia che è stata indicata e, se questo avverrà, il rischio del collasso ecosistemico globale si farà sempre più concreto.

Note
1) I clatrati idrati (o alternativamente clatrati gassosi, idrati gassosi, clatrati, idrati, ecc.) sono una classe di solidi
della chimica supramolecolare in cui le molecole di gas occupano “gabbie” composte da molecole d’acqua unite
da legami idrogeno. Una volta svuotate dai gas ivi contenuti le “gabbie” diventano instabili e collassano in cristalli
di ghiaccio.
2) Estinzione del Permiano o del Permiano- Triassico avvenuta circa 251 milioni di anni fa

Riferimenti
– ecobiosistemica – Watzlawick P. , Beavin J. H. , Jackson Don D. , Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971
– Pablo Servigne et Raphaël Stevens, Comment tout peut s’effondrer. Petit manuel de collapsologie à l’usage des générations présentes, Paris, Le Seuil, collection Anthropocène, 2015.
– M. Walter, J. P. Chanton; F. S. Chapin III; E. A. G. Schuur; S. A. Zimov, Methane production and bubble
emissions from arctic lakes: Isotopic implications for source pathways and ages, in Journal of Geophysical Research, vol. 113

Fonte immagine in evidenza: Focus

 

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