L’originalità e l’esclusione

Analisi di due pilastri della nostra cultura (1) che, dagli inizi dell’età storica, hanno risolto il problema del trasferimento della conoscenza fra diversi individui, fra diverse formazioni sociali e fra diverse popolazioni-culture

2
3529

La foto in evidenza espone La cripta del Peccato Originale, pittura rupestre nei pressi di Matera

Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino (Genesi 2-16), ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti» (Genesi 2-17-17)

Solo in condizioni di ipo-comunicazione
una cultura produce qualcosa.
Claude Levi-Strauss, Mito e significato (2)

 

Foto 1 Masaccio “La cacciata dal Paradiso Terrestre – 1425-1427
Adamo ed Eva furono cacciati via dal Paradiso Terrestre perché vollero conoscere senza limiti

Presentazione del lavoro

Viviamo in una situazione contraddistinta da sempre minori disponibilità di risorse naturali facilmente estraibili, da prospettive catastrofiche per le condizioni di vita delle popolazioni umane in conseguenza degli inasprimenti dei mutamenti climatico-ambientali (in conseguenza dell’immissione nell’ambiente di sempre maggiori quantità di biossido di carbonio e di altri inquinanti), da un continuo aumento della popolazione nelle zone sottosviluppate della Terra e da un peggioramento delle loro condizioni di vita (con parallelo aumento di migrazioni umane verso le zone in cui c’è benessere), dall’aumento di vaste fasce di disoccupazione (soprattutto giovanile) anche nelle zone sviluppate del mondo, da avanzamento delle zone desertificate, da problemi nell’approvvigionamento di acqua, ecc.
La coscienza della suddetta situazione dovrebbe fare capire che la soluzione a tutto è la decrescita dei consumi delle risorse naturali (quindi decrescita della popolazione, della produzione, dei consumi pro-capite, ecc.) come pure dovrebbe fare capire che la decrescita ci sarà in ogni caso. Si aggiunge di sfuggita che c’è stata una profonda logica nella crescita che c’è stata in passato, che, tramite molte contraddizioni, ha portato a un enorme miglioramento delle condizioni di vita: adesso, in linea di massima, la crescita porta a un peggioramento delle condizioni di vita. La inevitabile decrescita futura (che se ne prenda coscienza in tempo in modo da accompagnarla “dolcemente” oppure la si subisca passivamente e violentemente) investirà tutti gli aspetti in cui si articola la vita umana (da quella individuale a quella familiare, da quella lavorativa a quella sociale in generale, dalla vita di quartiere a quella delle metropoli, da quella delle nazioni a quella delle più vaste aree geopolitiche, ecc.).
Davanti all’umanità, e comunque avvenga, c’è solamente la prospettiva di un “progetto” di decrescita, ma, come diceva uno storico:
”Quando…costruiamo progetti per il futuro, siamo naturalmente portati a tirare bilanci. E perciò siamo spinti a guardare indietro, a riflettere sui nostri passi, a valutarli criticamente. Chi non sappia farlo, finisce per non sapere chi sia. Mentre guardiamo all’indietro, lo facciamo inevitabilmente sotto lo stimolo degli interrogativi che la vita ci pone in concreto nel presente: in maniera selettiva, con l’interesse più per taluni aspetti che per altri. Poi nuovi bisogni inducono a ripensare ancora, con l’attenzione verso momenti prima trascurati.” (3)
E’ bene quindi guardare indietro e che si conoscano gli elementi principali di quel processo storico-culturale che, arrivato a maturazione per la prima volta nella Bassa Mesopotamia e nel più vasto Vicino Oriente nella seconda parte del VI millennio before present (4)(seconda parte del quarto millennio a.C. cioè, per essere più chiari, nel periodo 3.500-3.000 a. C.), si è pian piano espanso nel tempo e nello spazio, fino ad arrivare ai nostri giorni e a riguardare tutto il mondo, e a permeare tutti gli aspetti in cui si articola la vita umana!
Nella seconda parte del VI millennio b.f. (3.500-3.000 a.C.) arrivò a maturazione nella Bassa Mesopotamia una realtà storica fatta di forte incremento demografico, di sviluppo tecnologico, di specializzazione lavorativa in conseguenza dell’aumento del numero e della complessità delle mansioni lavorative stesse, di aumento della produttività agricola e manifatturiera, di concentrazione urbana, di gerarchizzazione della popolazione e del territorio, di sviluppo organizzativo, di surplus alimentare necessario per mantenere una parte della popolazione non addetta direttamente alla produzione agropastorale ma ad altre molteplici e importanti funzioni (tutto il “settore pubblico”, cioè le organizzazioni templari e palatine, fatte di sacerdoti, regnanti, scribi e altri funzionari, artigiani e commercianti, guardie, un piccolo esercito di professione, ecc.).
Affinché questa realtà storica potesse nascere e arrivare a maturazione fu necessario risolvere un grosso problema che il sorgere e lo sviluppo di questa stessa realtà comportava; in un contesto caratterizzato da un forte aumento del numero e della complessità delle mansioni lavorative e da condizioni di scarsità delle risorse naturali e tecnologiche (volta per volta storicamente determinate) sorse infatti un grosso problema per lo sviluppo delle forze produttive: bisognava risolvere il grosso problema del trasferimento della conoscenza-know how (informazione–apprendistato) fra i diversi individui, fra le diverse formazioni sociali e fra le varie popolazioni-culture.
Fu necessario elaborare nuovi modelli culturali, cioè modelli culturali diversi da quelli esistenti precedentemente nelle sparute e piccole comunità di villaggio, che erano basati sui rapporti faccia a faccia e su base parentale, senza gerarchia e senza suddivisione del lavoro se non in base all’età e al sesso, dove le semplici mansioni si apprendevano informalmente e giorno per giorno e tutti sapevano fare tutto, dove ognuno sapeva di tutti e dove le cose si decidevano parlando la sera intorno al fuoco.

Foto 2 Ricostruzione di una scena di vita in un villaggio paleolitico

Fu necessario elaborare nuovi modelli culturali (cioè nuovi rapporti fra gli individui, fra le varie formazioni sociali e fra le varie popolazioni-culture) che, in continui e contemporanei processi dialettici di feed back, resero possibile e contemporaneamente rispondevano alle esigenze di quella realtà: furono elaborati i valori di originalità ed esclusione (e i valori più operativi, in cui si articolarono, di “individuo”, di “derive sociali” di “gerarchia” e di “derive culturali”).
Sono questi nuovi valori culturali che renderanno possibile il trasferimento della conoscenza-know how (informazioni e apprendistato) nella nuova realtà caratterizzata da incremento demografico, da sviluppo tecnologico, da specializzazione lavorativa in conseguenza dell’aumento del numero e della complessità delle mansioni lavorative stesse, da aumento della produttività agricola e manifatturiera, da condizioni di scarsità (di volta in volta storicamente determinate) delle risorse naturali e tecnologiche, da concentrazione urbana, da gerarchizzazione della popolazione e del territorio, da sviluppo organizzativo, da surplus alimentare necessario per mantenere una parte della popolazione non addetta direttamente alla produzione agropastorale ma ad altre molteplici e importanti funzioni (tutto il “settore pubblico”, cioè le organizzazioni templari e palatine, fatte di sacerdoti, regnanti, scribi e altri funzionari, artigiani e commercianti, guardie, un piccolo esercito di professione, ecc.).
Anticipando la trattazione che avverrà nella terza parte di questo lavoro si mette in evidenza come, in presenza dei vecchi modelli culturali, fosse impossibile il trasferimento delle conoscenze-know how (informazioni e apprendistato) stante la complessità delle diverse mansioni lavorative. Si pensi all’attività scribale, che richiedeva molti anni di apprendistato nelle scuole scribali per poter padroneggiare l’uso dei numerosissimi segni della scrittura ideografica; la stessa cosa valeva per molte specializzazioni lavorative, come per esempio la metallurgia, la tessitura, la produzione di ceramica e altre attività artigianali. Non è possibile la decisione collettiva su come svolgere le varie mansioni se fra le varie persone c’è differenza di livello di conoscenza-know how. Uno scriba non può confrontarsi con un artigiano specializzato nella metallurgia sul modo in cui scrivere un contratto su una tavoletta di terracotta, un pastore non può confrontarsi con un fabbro sul modo in cui fondere e forgiare i metalli come pure un mercante non può confrontarsi con un pastore sul modo in cui produrre il formaggio, ecc.
Nella nuova realtà, per semplificare, le persone (e le corporazioni) sapevano svolgere una sola mansione (altamente specializzata) che si acquisiva dopo un lungo apprendistato: si poneva il problema del trasferimento delle conoscenze-know how (informazioni-apprendistato) fra le diverse generazioni, fra i diversi individui, fra le varie formazioni sociali e fra le varie popolazioni-culture, e si poneva il problema del rapporto di cambio fra i diversi prodotti ottenuti dalle diverse mansioni lavorative (in condizioni di scarsità, di volta in volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche).
Il tema di questo lavoro è appunto la ricerca dell’origine e del significato dei valori di originalità e di esclusione (e dei valori di individuo, di derive sociali, di gerarchia e di derive culturali in cui si articolarono), cioè la ricerca del modo in cui questi nuovi valori culturali, in una nuova e complessa realtà socio-economica che portava a molteplici e complesse mansioni lavorative, in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche, resero possibile, nella seconda parte del IV millennio a.C., lo sviluppo delle forze produttive risolvendo i problemi del trasferimento della conoscenza-know how (informazione e apprendistato) fra i diversi individui, fra le varie formazioni sociali e fra le varie popolazioni-culture.
Fra questa nuova e complessa realtà storica e la nuova cultura basata sui valori di originalità ed esclusione non è possibile stabilire quale sia la variabile indipendente e quella dipendente, né è possibile stabilire quale delle due sia avvenuta prima temporalmente e/o logicamente, perché fra esse ci sono continui e contemporanei rapporti dialettici di feed back. Fra di esse c’è lo stesso rapporto che c’è fra l’uovo e la gallina: l’uovo viene deposto dalla gallina ma questa in precedenza ha avuto bisogno dell’uovo per nascere…e così via all’infinito! …e come si sa non è possibile stabilire se sia nato prima l’uovo o la gallina!
Dopo la seconda parte del IV millennio a.C. i processi storici sono andati incontro a una enorme variabilità, derivanti dal mutare di tutta una serie di condizioni: i modelli culturali invece, basati sui valori di originalità ed esclusione (e sui valori più operativi, in cui si articolano, di “individuo”, di “derive sociali” di “gerarchia” e di “derive culturali”) sono rimasti costanti. Sono rimasti costanti perché sono rimasti costanti i problemi che risolveva: rendevano possibile lo sviluppo delle forze produttive risolvendo (in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche) i problemi del trasferimento della conoscenza-know how (informazione e apprendistato) fra gli individui, fra le varie formazioni sociali e fra le varie popolazioni-culture.
I processi storici basati su questi nuovi modelli culturali hanno proceduto per millenni e si sono espansi a dismisura: sono arrivati fino ai nostri giorni e permeano, in tutto il mondo, tutti gli aspetti in cui si articola la vita umana! Questi processi sono andati avanti non in modo lineare ma con passi avanti e con arretramenti e, soprattutto, con contraddizioni di ogni genere.
E’ in base agli effetti dello svolgimento di questi processi storici, basati sui valori culturali di originalità ed esclusione, che oggi viviamo in un mondo caratterizzato da buone condizioni di vita (adeguato soddisfacimento dei bisogni alimentari e sanitari, istruzione di massa, riscaldamento invernale delle case, ecc.) per una parte consistente della popolazione mondiale, ma anche, dialetticamente connesso a quanto prima detto, che viviamo in un mondo caratterizzato da pessime condizioni di vita per la restante parte della popolazione mondiale, che è “esclusa” appunto da quelle buone condizioni di vita: in ogni caso le buone condizioni di vita di una parte consistente della popolazione mondiale sono il risultato di millenni di concreta storia fatta di sviluppo delle forze produttive ma insieme e “tramite” lo sviluppo demografico, lo sviluppo tecnologico-scientifico-amministrativo, ecc., ma anche insieme e “tramite” le guerre, le epidemie, le carestie, le deportazioni di popolazioni per farne manodopera servile, gli stermini, condizioni di vita e di lavoro al limite della sopportazione, sfruttamento di popolazioni su altre, e, per terminare, insieme e tramite profondi sconvolgimenti negli equilibri ecologico-ambientali che, se il processo storico-culturale non cambierà in tempo utile, porterà l’umanità intera alla catastrofe.
I valori di originalità ed esclusione hanno reso possibile lo sviluppo delle forze produttive risolvendo il problema del trasferimento della conoscenza-know how (informazione-apprendistato) fra gli individui, le varie formazioni sociali e le varie popolazioni-culture, in condizioni di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, di risorse naturali e tecnologiche.
Si accenna solamente che, se si continuerà in una prospettiva di crescita e di assenza di limiti fisici nello sfruttamento delle risorse naturali e tecnologiche, saranno questi valori culturali elaborati nella seconda parte del VI millennio before present che daranno le soluzioni, con tutte le contraddizioni viste, alle nuove prospettive che l’umanità ha di fronte, come la 5ft Generation nelle reti di telecomunicazioni.

 


1) Riprendendo la definizione contenuta nel testo di antropologia culturale utilizzato all’Università, la cultura sarà qui intesa nel seguente modo:
“La cultura è l’insieme esplicito e implicito dei modi stabilizzati (generali e particolari) di pensare, sentire e agire degli uomini, differenziato in complessi più o meno integrati per ogni singolo gruppo in qualche modo distinguibile nel tempo e nello spazio e internamente a esso: eredità sociale di origine anonima o individuata, essa si trasmette, si accresce, si modifica o si riduce di generazione in generazione o si diffonde fra i gruppi attraverso la comunicazione simbolica, per apprendimento, produzione o contatto deliberati, imposti o spontanei, interagendo all’interno fra le singole parti o all’esterno con le variabili naturali in quanto tali e in quanto già plasmate dalla cultura stessa. E’ un patrimonio dinamico e strutturato di dee pratiche e teoriche relative alla direzione (organizzazione) e regolamentazione delle attività e relazioni di individui umani con l’ambiente non umano, l’ambiente umano (inclusi se stessi) e la globalità dell’esistenza, in risposta ai problemi emergenti dalle contraddizioni della vita nelle vicissitudini storiche già sempre a loro volta condizionate culturalmente.                                                                                                Essa è lo strumento specificatamente umano di adattamento alla natura per l’appagamento dei bisogni, e si esteriorizza in oggetti materiali e oggetti ideali (comunicati), e poi si interiorizza nella stessa costituzione psicofisica degli individui: trasformando la natura con le loro creazioni, gli uomini trasformano se stessi.                                                                         Ogni cultura particolare può essere suddivisa convenzionalmente in classi e categorie di contenuto (parti e settori), nonché in forme di trasmissione (veicoli) e modi di partecipazione (strati).” )
2) Claude Levi-Strauss, Mito e significato, NET Nuove Edizioni Tascabili il Saggiatore, 2002, pag. 34
3) Massimo L. Salvadori nella prefazione a La storia 1 Dalla preistoria all’antico Egitto, Mondadori, (nella sesta pagina non numerata)
4) Before present (BP): con questa espressione in inglese “s’intende una scala del tempo usata in archeologia, geologia, e altre discipline scientifiche per specificare quando accaddero gli eventi nel passato. Invece di usare la datazione “a.C.-d.C.”, si misura la distanza di un evento direttamente da oggi.
Poiché il “tempo presente” muta continuamente, si è adottata la convenzione di fissare l’anno 1950 come punto di partenza della scala (di un’era, o periodo o epoca). Per esempio, 1500 “BP” significa 1500 anni prima del 1950, vale a dire, nell’anno 450.

 

Le note saranno riportate in fondo a ogni capitolo


Sommario

1) Il tema di questo lavoro: l’originalità (la singolarità) e l’esclusione

a) Definizione di originalità e di esclusione;
b) Funzione di questi valori nel miglioramento delle condizioni di vita;
c) Collegamento fra questi valori e la realtà precedente e successiva agli anni settanta del XX secolo;
d) Le derive

2) La realtà storica che arriva a maturazione nella seconda parte del VI millennio B.P. in Bassa Mesopotamia e nel più vasto Vicino Oriente

3) Un grosso problema nel trasferimento della conoscenza-know how in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità delle risorse naturali e tecnologiche

a) “E’ scritto nella Bibbia”;
b) Il peccato originale: l’inizio della storia;
c) L’incremento demografico, la specializzazione del lavoro, lo sviluppo tecnologico-organizzativo e altro;
d) Le cause e gli effetti più prossimi dell’incremento demografico: la specializzazione del lavoro e lo sviluppo tecnologico-organizzativo;
e) La nascita dei valori dell’individuo, delle derive sociali, della gerarchia e delle derive culturali;
– L’incubatrice della nuova cultura: la religione;
– L’individuo, le derive sociali e la gerarchia

4) La nascita delle derive culturali:

a) Le esportazioni invisibili;
b) La guerra per l’acqua

5) Una breve conclusione
….ma siamo arrivati al capolinea!!

6)  La 5ft Generation: uno sguardo sul futuro


Trattazione

1) Il tema di questo lavoro: l’originalità (la singolarità) e l’esclusione

Il futuro progetto della decrescita sarà associato a nuovi valori, che, tramite continui e contemporanei rapporti dialettici di feed back, determineranno e saranno determinati dalla decrescita. Ma ogni progetto futuro necessita della conoscenza del passato e del presente: è necessario quindi guardare indietro e ricercare i valori di quella cultura che, arrivata a maturazione per la prima volta nella Bassa Mesopotamia e nel più vasto Vicino Oriente nella seconda parte del VI millennio Before Present (3500-3000 a.C), tramite continui e contemporanei rapporti dialettici di feed back, ha determinato ed è stata determinata da quel primo processo storico.
Il processo storico in seguito è continuamente variato in base a tutta una serie di condizioni ma i valori culturali sono rimasti costanti perché finora (in un contesto di crescita e di assenza di limiti fisici) non sono variati i problemi che risolveva cioè rendere possibile lo sviluppo delle forze produttive (in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, di volta in volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche) risolvendo i problemi del trasferimento della conoscenza-know how (informazioni e apprendistato) fra i diversi individui, fra le diverse formazioni sociali e fra le varie popolazioni-culture.
I valori culturali di originalità ed esclusione (e di quelli più operativi, in cui si articolano, di “individuo”, “derive sociali”, “gerarchia” e “derive culturali”) sono i pilastri della nostra cultura e questo lavoro intende fare luce sulla loro nascita, sulla loro ragion d’essere e di come, tramite continui e contemporanei rapporti dialettici di feed back, hanno contemporaneamente reso possibile e dato risposte alle esigenze di quei processi storici che hanno riguardato l’umanità finora.
E’ il caso di sottolineare ancora che le condizioni allora esistenti e che, in modo dialettico, hanno portato alla cultura in questione, si basano sulla crescita e sull’assenza di limiti, e sono completamente diversi dalle condizioni che si sono create nella seconda metà del XX secolo: gli anni settanta del XX secolo possono considerarsi un nuova età assiale nella storia umana, cioè un periodo che segna una cesura con la storia precedente e di questo si è preso coscienza con lavori come, per esempio, “The Entropy Law and the Economic Process”, la principale opera di Nicholas Georgescu-Roegen e “I limiti dello sviluppo” di un gruppo di scienziati del MIT di Boston (riguardo al cambiamento di condizioni fra prima e dopo gli anni settanta del XX secolo rinvio a questo mio lavoro

http://www.decrescita.com/news/gli-anni-settanta-xx-secolo/ 

Tenendo conto della complessità del tema di questo lavoro e della complessità della realtà che si cerca di analizzare si invita a considerare questo lavoro stesso solamente un piccolo e approssimativo contributo all’analisi dei valori culturali in questione, del complesso di valori di cui fanno dialetticamente parte e delle problematiche che avremo di fronte. Si consideri inoltre che la realtà a cui si fa riferimento nella ricerca delle origini di questi valori è solamente l’area mesopotamica e quelle aree molto prossime a essa, prescindendo dagli apporti provenienti da altre aree, anche se molti fenomeni del processo storico-culturale sono avvenuti in questa area per la prima volta ma che poi hanno interessato tutte le popolazioni umane sparse per la Terra. Nel fare questo lavoro si faranno sicuramente delle semplificazioni che alle volte potranno sfociare in semplicistiche generalizzazioni, ma, come si diceva, bisogna considerare questo lavoro solamente come un piccolo e approssimativo contributo all’analisi dei valori culturali di cui si è detto e della realtà storica a cui sono dialetticamente connessi.
L’originalità e l’esclusione (si ripete e come si cercherà di dimostrare con questo lavoro) sono dei valori che impregnano ogni aspetto della vita umana, dai comportamenti individuali alla vita familiare, dalla scuola al mondo del lavoro, dell’arte e dello spettacolo, dalle politiche degli stati-nazione a quelle delle aree geo-politico-culturali più vaste.
Questi valori (e degli altri a essi strettamente collegati), hanno avuto una fondamentale importanza per il dialettico progresso dell’umanità ma, nell’attuale realtà, danno un forte contributo (feed back positivo) nel portare gli individui verso il malessere e l’insicurezza e l’umanità tutta verso la catastrofe. Non bisognerà però eliminare completamente quei due valori (e gli altri in cui concretamente si articolano) ma solamente quegli aspetti che adesso, a fronte del nuovo panorama che si è delineato, risultano essere negativi, e conservare invece quegli aspetti che contribuiranno ancora al miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità.

a) Definizione di originalità e di esclusione

Il valore di “originalità”, di “singolarità”, ha molti altri significati, ma in questo lavoro, facendo riferimento al processo storico-culturale, sebbene in modo molto approssimativo, con valore culturale di originalità, di singolarità, si intenderà il carattere di novità, di diversità, di qualsiasi “cosa” rispetto a quanto già esistente e che sia nello stesso tempo migliorativa di ciò che già esiste, in modo da portare a conti fatti a uno sviluppo delle forze produttive e/o , in ogni caso, a un miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità. Per qualsiasi “cosa” si intende per esempio una nuova tecnica per accendere il fuoco, una nuova tecnica per forgiare i metalli, per cuocere i mattoni, per costruire le case, per tessere la lana e le altre fibre tessili; si intendono nuove modalità di comunicazione, nuove modalità di scrivere, nuove modalità di arare il terreno, ecc.; per qualsiasi “cosa” si intendono per esempio nuovi modi di organizzare la vita da parte di individui, famiglie e gruppi umani più o meno vasti, nuove idee sul modo di interpretare se stessi (come individui e come gruppi umani più o meno vasti), di interpretare se stessi in rapporto agli altri e di interpretare il mondo che ci circonda, ecc.
Ma l’originalità si incarna nelle persone (individui) e nelle “strutture” dei vari aggregati in cui si svolge la vita umana (dalle famiglie ai piccoli gruppi, dai ceti professionali alle storiche classi sociali, dalle nazioni alle formazioni geo-politico-culturali più vaste, ecc.). In questo senso essere originali, diversi, differenti da altri significa anche, nella misura in cui c’è scarsità, di volta in volta storicamente determinata, di risorse naturali e tecnologiche, considerarsi contemporaneamente superiori e in contrapposizione ad altri, che ovviamente andranno verso l’esclusione: questo è il secondo valore culturale di cui si farà l’analisi e come già si è visto, è dialetticamente connesso a quello di originalità! Il pacchetto di valori che viene fuori potrebbe denominarsi “originalità- superiorità-contrapposizione-esclusione”.
Questo pacchetto di valori, arrivato a maturazione nella Bassa Mesopotamia nella seconda parte del VI millennio B.P. contraddistingue l’epoca storica umana e impregna tutta l’umanità nei suoi diversi livelli, dalle singole persone (individui) alle “strutture” dei vari aggregati in cui si svolge la vita umana (dalle famiglie ai piccoli gruppi, dai ceti professionali alle storiche classi sociali, dalle nazioni alle formazioni geo-politico-culturali più vaste, ecc.).

b) Funzione di questi valori nel miglioramento delle condizioni di vita

  E’ ovvio che la diversità, la differenziazione, deve essere vista come portatrice di sviluppo delle forze produttive e, in generale e in ultima analisi, di miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità: se così non fosse l’originalità (la singolarità) diventerebbe, per gli individui, sinonimo di emarginazione, diversità, bizzarria, stravaganza, stranezza, devianza e, al limite, di pazzia (1) e, per aggregazioni e culture umane presunte portatrici di idee e/o status originali, giustificazione per deportazioni e genocidi (2).
Questo desiderio di essere originali, singolari, quindi di diversificarsi, di differenziarsi e, di conseguenza, di contrapporsi (da parte di individui verso altri individui, di gruppi sociali verso altri gruppi sociali, di nazioni verso altre nazioni, di aree geo-politico-culturali verso altre aree geo-politico-culturali … e delle tifoserie delle squadre di calcio verso le tifoserie delle altre squadre di calcio con cui si è in concorrenza) è collegato strettamente e contemporaneamente (in una situazione di molteplicità e complessità delle mansioni lavorative e di scarsità, volta per volta storicamente determinata, di risorse naturali e tecnologiche) alla risoluzione dei problemi connessi al trasferimento della conoscenza-know-how (informazione e apprendistato) fra i diversi individui, fra le diverse formazioni sociali e fra le varie popolazioni-culture.
Tale risoluzione è necessaria affinché si abbia un sempre maggiore sviluppo delle forze produttive e un sempre maggiore soddisfacimento dei bisogni umani.
Questo desiderio comporta l’espansione, nello spazio e nel tempo, da parte di individui, gruppi, organizzazioni, nazioni, culture, aree geopolitico-culturali, ecc. a danno di altri individui, gruppi, organizzazioni, nazioni, culture, aree geopolitico-culturali, ecc. (che ovviamente si cercherà di escludere)!
L’esempio delle squadre di calcio, per certi versi, è molto indicativo. L’importanza socio-culturale ed economica che viene dato al gioco del calcio deriva dal fatto che esso giustifica e rafforza i valori di originalità e dell’esclusione: la contrapposizione fra le squadre deriva dal fatto che c’è solamente uno scudetto o una coppa da vincere (risorse limitate!) solamente una squadra potrà vincere lo scudetto o la coppa in palio; la loro contrapposizione porta a un miglioramento del gioco del calcio (altrimenti si rimarrebbe al livello di calcio praticato nelle partite [una volta molto diffuse] fra scapoli e ammogliati o fra amici) e le squadre che, per vari motivi, non stanno al passo vengono escluse (nel senso che, prima di tutto, non vincono niente ma che rischiano di essere “escluse” dal campionato di serie A e retrocesse in quello di serie B).
Il valore culturale della originalità, in una situazione di scarsità delle risorse naturali e tecnologiche, attraverso la superiorità e la contrapposizione porta all’esclusione. Questa dinamica pervade intensamente la personalità degli individui e le “strutture” delle varie aggregazioni umane (dalle famiglie ai piccoli gruppi, dai ceti professionali alle storiche classi sociali, dalle nazioni alle formazioni geo-politico-culturali più vaste, ecc.) ed è necessaria una lunga analisi per stabilire le motivazioni della sua nascita, le esigenze che soddisfaceva e le conseguenze che comportava (è stato già anticipato che portava alla fondamentale esigenza di un maggiore sviluppo delle forze produttive e, in generale, un sempre maggiore soddisfacimento dei bisogni umani, risolvendo il problema del trasferimento della conoscenza-know how [informazione-apprendistato] in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche: ma bisognerà ovviamente spiegare come ciò è avvenuto!).
Questo valore in ogni caso (e come già detto) è relativo a una realtà umana e ambientale che non ha limiti alla sua crescita e dove la sua crescita porta a un ulteriore sviluppo delle forze produttive e a un ulteriore soddisfacimento dei bisogni umani (quindi non vanno completamente bene per la realtà che si è determinata successivamente agli anni settanta del XX secolo).
Bisogna anche dire che la ricerca dell’originalità si confonde, nella ordinarietà della vita e della realtà, nella ricerca del meglio in ogni caso, cioè di quanto di meglio è possibile cercare nelle disponibilità esistenti.
Il pacchetto culturale “originalità-superiorità-contrapposizione-esclusione” già agisce all’interno del mondo animale, dove l’uomo assume un ruolo originale ed esclusivo (nel senso che nel suo progetto esclude l’originalità degli altri organismi animali).
Ad un livello successivo di analisi, e avvicinandoci al tema di questo lavoro, questi due valori sorgono all’interno di una cornice in cui la crescita ha un ruolo fondamentale.
I valori culturali dell’originalità e dell’esclusione hanno svolto una funzione che ha reso possibile la realtà storica che in seguito sarà ampiamente esposta; nello stesso momento però da questa realtà sono richiesti e ricevono continuamente “direttive”: questi due valori svolgono la funzione di sviluppare le forze produttive risolvendo il grosso problema del trasferimento della conoscenza-know-how (informazione-apprendistato) fra i diversi individui, fra le diverse formazioni sociali e fra le varie popolazioni-culture, in una realtà socio-economica contraddistinta da molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche.
Questo pacchetto di valori, che fin qua sono solamente rapporti astratti, a un livello più concreto si articolano nella creazione dell’individuo (inteso come centro di interessi prima solo operativamente diversi ma poi anche in contrapposizione a quella degli altri individui, visto la scarsità, storicamente determinata, di risorse naturali e tecnologiche), nelle derive sociali (con la formazione di corporazioni-ceti-classi in conseguenza dei rapporti particolari che si formavano fra le varie formazioni sociali e le attività lavorative che svolgevano; tali corporazioni erano diverse e in contrapposizione fra di esse visto la scarsità, di volta in volta storicamente determinata, di risorse materiali e tecnologiche), nella creazione della gerarchia (intesa come l’orizzonte, il contesto, in cui si situano gli individui, le varie formazioni sociali e le varie popolazioni-culture, indicandone le diverse posizioni e funzioni e i connessi diversi oneri e diritti nella distribuzione di beni e servizi) e, infine, nelle derive culturali (per cui ogni popolazione umana, a contatto con un ambiente ecologico particolare e con particolari vicende storiche pregresse, acquisisce un pacchetto culturale particolare (da non vedersi come acquisito una volta per tutte ma soggetto a modifiche in conseguenza sia di dinamiche interne che in rapporto al resto della realtà) e, in presenza di condizioni di penuria, di volta in volta storicamente determinate, di risorse materiali e tecnologiche, in contrapposizione a quello delle altre popolazioni.

c) Collegamento fra questi valori e la realtà precedente e successiva agli anni settanta del XX secolo

Dopo avere esposto, in modo molto approssimativo, il valore culturale di “originalità”, di “singolarità” e quello dialetticamente connesso di “esclusione”, bisogna chiedersi se c’è qualcosa che non va in questi valori!
Il problema è che, a un certo punto dello sviluppo storico-culturale (diciamo dalla seconda metà del XX secolo), è iniziato un processo per cui si è passati da una penuria “storica” delle risorse ad una penuria “fisica” di risorse, si sono oltrepassati i limiti del pianeta Terra di rigenerarsi e si sono innescati processi di degrado ambientale che prima o poi porteranno a catastrofici sconvolgimenti climatico-ambientali.
In questo nuovo contesto che si è creato, il pacchetto culturale “originalità-contrapposizione-superiorità-esclusione” non porta più solamente allo sviluppo delle forze produttive, allo sviluppo scientifico-tecnologico, ecc. e, in definitiva, a un miglioramento delle condizioni di vita degli individui, dei vari gruppi umani, delle varie nazioni e delle diverse aree geopolitico-culturali, ma anche, sebbene con molte differenze a livello sia locale che mondiale, a un loro malessere e insicurezza e, visto la scarsità di risorse facilmente estraibili (“i limiti dello sviluppo”) e gli sconvolgimenti climatico-ambientali a cui si andrà incontro, alla futura catastrofe per tutta l’umanità.
Il pacchetto culturale “originalità-contrapposizione-superiorità-esclusione” pervade intensamente la personalità degli individui e le culture delle varie aggregazioni umane, dalle famiglie ai piccoli gruppi, dai ceti professionali alle storiche classi sociali, dalle nazioni alle formazioni geo-politico-culturali più vaste, ecc., ed è necessaria una lunga analisi per stabilire le motivazioni della sua nascita.
Diceva Marshall Mcluhan che “il medium è il massaggio”. Faceva riferimento alla televisione (ma, secondo me, potrebbe riguardare tutti i mass media e, in parte, la produzione culturale in generale, dai romanzi ai film e alle opere d’arte in genere) e intendeva che questo medium massaggia il telespettatore nel senso che lo rincuora, lo consola, rafforza le sue idee e i suoi comportamenti.
Buona parte dei programmi trasmessi dalla televisione hanno due temi di fondo: l’originalità e l’esclusione. Questi due temi sono fondanti per tutti quei programmi che vanno sotto il nome di “Talent show” e “Reality show” ma più o meno la stessa cosa si può dire di tutti quei programmi di intrattenimento che si basano sui quiz, a partire dai programmi televisivi degli anni cinquanta, sessanta e settanta come “Lascia o raddoppia?”, “Rischiatutto” e tanti altri.
Ma buona parte della “fiction”, cioè di tutta la produzione culturale (dai romanzi ai film e ai più svariati programmi televisivi) hanno al loro centro i valori dell’originalità e dell’esclusione (dal festival di Sanremo al concorso per miss Italia, dallo Zecchino d’oro ai festival cinematografici e concorsi letterari, ai vari “castings” fatti per i più svariati obiettivi).
Ciò del resto è in accordo con quanto si vede concretamente sul posto di lavoro, nelle scuole e in tutti gli altri posti in cui si svolge la vita umana, da quella quotidiana alle relazioni fra le varie aree geo-politico-culturali.
Giusto per terminare il discorso si aggiunge che le tecniche utilizzate per stabilire l’originalità o l’esclusione di un “prodotto” (di un progetto ingegneristico, di un’opera d’arte o di un qualsiasi manufatto, di una esibizione artistico-spettacolare, ecc. ecc.) sono essenzialmente due e cioè la “prova” e il “giudizio”.
Questi valori in ogni caso (e come già detto) sono relativi a una realtà umana e ambientale che non ha limiti alla sua crescita e dove la sua crescita porta a un ulteriore sviluppo delle forze produttive e a un ulteriore soddisfacimento dei bisogni umani (quindi non vanno completamente bene per la realtà che si è determinata successivamente agli anni settanta del XX secolo).
Bisogna anche dire che la ricerca dell’originalità si confonde, nella ordinarietà della vita e della realtà, nella ricerca del meglio in ogni caso, cioè di quanto di meglio è possibile cercare nelle disponibilità esistenti.
E’ necessario che i valori di originalità ed esclusione (e i valori che da essi discendono) siano fortemente riconfigurati, modificati, tenendo conto della nuova realtà che si è creata a partire dagli anni settanta del XX secolo: di questi valori bisognerà conservare solamente ciò che serve ad affrontare le sfide che la nuova realtà comporta.

d) Le derive

In questo lavoro sarà usato il concetto di “deriva”.
Il significato ordinario di “deriva” è di “Spostamento, rispetto a una superficie fissa, di un corpo immerso o galleggiante nell’acqua o nell’aria, dovuto al movimento delle correnti” ecc. come dice il Sabatini e Coletti, dizionario della lingua italiana.
Nella sintetica definizione sopra data si fa riferimento solamente a forze naturali (correnti di acqua o di aria) che portano allo spostamento, per esempio, di una imbarcazione o di un aereo.
In questo lavoro la definizione di “deriva” si baserà su una sintesi dialettica fra natura e cultura: si intenderà un fenomeno che inizia come scelta culturale o come condizione naturale ma che poi le scelte culturali future o ulteriori forze naturali freneranno o incrementeranno. Si ottiene un fenomeno che adesso sarebbe chiamato “abuso di posizione dominante” in riferimento al comportamento di alcune grandi aziende come Google o Facebook.
Questo comportamento che adesso, con molte difficoltà, si cerca di sanzionare in riferimento alle aziende anzidette, è stato ed è la norma nel comportamento degli individui e delle varie strutture in cui si è attuata la vita degli uomini.
E’ un comportamento che si potrebbe definire naturale e culturale nello stesso tempo perché nella storia c’è sia la cultura che la natura.
Nella storia avviene ciò che, in una lettera del 1871, Charles Darwin descriveva avvenisse nella natura:
”Si è spesso affermato che sono ora presenti tutte le condizioni per la generazione spontanea di un organismo vivente, quali possono essere state presenti nel passato. Ma anche se (e che grosso se!) noi potessimo concepire che in qualche piccolo stagno, in presenza di ogni sorta di sali di ammonio e di fosforo, di luce, calore, elettricità, ecc., si sia venuto a formare un composto proteico, pronto a subire ulteriori più complesse trasformazioni, al giorno d’oggi tale materiale verrebbe immediatamente divorato o assorbito, il che non sarebbe potuto accadere prima che esseri viventi facessero la loro comparsa”
(It is often said that all the condition for the first production of a living organism are now present, which could ever have been present. But if (and oh! what a big if!) we could conceive in some warm little pond, with all sorts of ammonia and phosphoric salts, light, heat, electricity, &c., present, that a proteine compound was chemically formed ready to undergo stillmore complex changes, at the present day such matter would be instantly devoured or absorbed, which would not have been the case before living creatures were formed. (3)
Che i procedimenti seguiti nella natura siano molto simili a quelli che avvengono nella storia, lo dicevano sia un filosofo, economista e rivoluzionario come Friedrich Engels:”…nella natura sono operanti, nell’intrico degli innumerevoli cambiamenti, quelle stesse leggi dialettiche del movimento che anche nella storia dominano l’apparente accidentalità degli avvenimenti…” (4)
…che un grande antropologo come Claude Levi-Strauss :“…ci renderemo conto che fra vita e pensiero non c’è quel radicale divario che il dualismo filosofico del XVII secolo accettava come un dato di fatto. E se ci convinceremo che quanto avviene nella nostra mente non è sostanzialmente né fondamentalmente diverso dai fenomeni basilari della vita stessa, se comprenderemo che non c’è alcuna insuperabile distanza fra l’uomo e tutti gli altri esseri viventi – non solo gli animali, ma anche le piante – diventeremo forse saggi come non credevamo di poter essere.” (5).
Trasferendo alla storia il procedimento seguito dalla natura, così come descritto dalla lettera di Charles Darwin del 1871, si spiegano tutte le guerre, le distruzioni di città e infrastrutture, i genocidi, le deportazioni di popolazioni per farne manodopera servile, le condizioni punitive imposte agli sconfitti, ecc. che hanno costellato la storia da molti millenni a questa parte e che hanno consentito ai vincitori, con diverse modalità, di “ devoured or absorbed ” le potenzialità e le risorse degli sconfitti.
Come si vede del concetto di “deriva” viene dato una definizione non molto chiara ma spero che nella trattazione si spieghi meglio il suo significato.

 


1) “Queste malattie del comportamento però non possono venire giudicate solo negativamente sul piano sociale, poiché molti individui che ne sono affetti dimostrano originalità e creatività, soprattutto sul piano artistico. Dice il genetista inglese John Edward, già professore a Oxford: se si dovessero sradicare tutte le forme depressive e schizofreniche con un programma di eugenetica negativa si correrebbe il rischio di uccidere il teatro, la poesia e l’arte in genere.”
(in La scienza della felicità. Ragioni e valori della nostra vita, di F. e L.L. Cavalli-Sforza, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1997 – pag. 296)
2) anche in questo caso è difficile vedere la negatività, ai fini del progresso umano, di questi fenomeni;
3) The life and letters of Charles Darwin – London: John Murray, Albemarle Street. 1887. terzo volume, pagina 18 (nota in fondo alla pagina);
4) Friedrich Engels Anti-Dühring – Prefazione alla seconda edizione – 1885 (Documento facilmente rintracciabile sul WEB come per esempio al seguente link http://www.resistenze.org/sito/ma/di/ce/mdce9g28a2.htm
5) Claude Levi-Strauss, Mito e significato, il Saggiatore, Prima edizione Net, marzo 2002, pagg. 37-38

 

 

 

2) La realtà storica che arriva a maturazione nella seconda parte del VI millennio B.P. in Bassa Mesopotamia e nel più vasto Vicino Oriente

Il pacchetto culturale che arriva a maturazione nella seconda parte del quarto millennio a.C., in continui e contemporanei processi dialettici di feed back, ha reso possibile e contemporaneamente ha risposto alle esigenze della coeva realtà storica e di tutte le realtà storiche successive, compresa la nostra attuale realtà storica.
In questo capitolo sarà trattato il processo storico mentre nel successivo si parlerà del processo culturale e di come questo secondo aspetto, in continui e contemporanei rapporti dialettici di feed back, rese, si ripete, contemporaneamente possibile il processo storico suddetto rispondendo alle sue esigenze: i nuovi modelli culturali che furono elaborati resero possibile (in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in una situazione di scarsità, volta per volta storicamente determinate, di risorse naturali e tecnologiche) lo sviluppo delle forze produttive risolvendo il problema del trasferimento della conoscenza-know how (informazione-apprendistato) fra i diversi individui, fra le diverse formazioni sociali e, per finire, fra le diverse popolazioni-culture.

 

Trattazione

Il periodo, l’area e il “brodo storico-culturale” in cui il mondo moderno affonda le radici non sorge improvvisamente e come per incanto: c’è stato un lungo periodo di incubazione culturale e particolari condizioni climatico-ambientali che hanno reso possibile quanto detto.
Dice Paolo Matthiae, eminente storico e archeologo del vicino Antico Oriente, al riguardo:
“Le culture mesolitiche (10.000-8.000 a.C., ndr) del Vicino Oriente…costituiscono delle esperienze che preludono allo sviluppo dell’agricoltura. E’ stato, infatti, osservato che in queste culture si verificano, nell’evoluzione delle tecniche, atteggiamenti e consuetudini la cui acquisizione appare un presupposto per l’impianto della coltivazione, in un quadro di sempre intensificata dilatazione dei generi di sostentamento. Così l’impiego, pur assai raro, di pietre da macina quasi sicuramente per la polverizzazione dell’ocra, l’utilizzazione di pozzi sotterranei per immagazzinare provviste commestibili, la ricerca di cibi animali e vegetali assai vari in sostituzione di specie animali estinte devono essersi rivelate delle linee di tendenza della vita comunitaria – sono state definite “preadattamenti” – che, in presenza di determinate situazioni ambientali, hanno condotto naturalmente all’instaurazione delle tecnologie propriamente agricole.” (1)
Dice ancora lo studioso: “Il complesso articolarsi dei fenomeni sociali, economici e culturali nell’area del Vicino Oriente antico è strettamente legato alle condizioni ambientali in cui tali fenomeni ebbero a collocarsi:…nell’insieme, si può dire che esse furono le prime a consentire, nella millenaria vicenda dell’umanità, un coagularsi e un estrinsecarsi di energie tali da produrre la genesi dell’età storica.” (2)
Come già anticipato, penso di avere individuato il periodo e il luogo in cui arriva a maturazione il processo storico-culturale in cui l’attuale umanità è immersa: è la seconda parte del VI millennio before present (BP), cioè la seconda parte del IV millennio a.C. (3500-3000 a.C.) e il luogo è la Bassa Mesopotamia (e in generale l’antico Vicino Oriente).
Ma è possibile utilizzare quanto successo in Bassa Mesopotamia nella seconda parte del IV millennio a.C. per interpretare il processo storico-culturale in cui tutta l’umanità attualmente è immersa? È Possibile vedere quanto successo in questa area geografica nel periodo indicato come laboratorio in cui si elaborarono per la prima volta le linee fondamentali del processo storico-culturale in cui tutta l’umanità è attualmente immersa?
Mario Liverani, autore del saggio “Antico Oriente – Storia società economia” (essenziale per la mia formazione storica), dice al riguardo in relazione all’area geografica e al periodo in questione: “Sotto vari aspetti dunque la storia del Vicino Oriente antico si sta sempre più configurando come un laboratorio privilegiato per lo studio di taluni fenomeni di rilevante interesse per la ricostruzione storica delle società umane. Il concetto di “laboratorio” va qui inteso come quello di un luogo ove sia possibile scomporre fenomeni complessi nei loro fattori costitutivi, da analizzare “nel vuoto” per ricavarne norme e per ricomporre modelli. L’antico Oriente può essere considerato un laboratorio privilegiato (non certo esclusivo) perché, situato com’è alle soglie della storia, ha a che fare con fenomeni che stavano proprio allora acquistando complessità, ma che restano abbastanza lontani da noi da evitare che un coinvolgimento emozionale o culturale ci impedisca di renderci lucidamente conto del reale funzionamento dei vari fattori. Al di là dunque del risultato immediato della comprensione del fatto storico in esame, si apre la prospettiva di una applicabilità più ampia dei risultati ottenuti per la ricostruzione dei più generali meccanismi storici e antropologici.” (3)
Al fine di comprendere ciò che arriva a maturazione nel Vicino Oriente nel VI millennio B.F è bene addentrarci, sebbene per sommi capi, nelle condizioni all’origine della nascita dell’età storica. Per fare ciò si utilizzeranno ampie citazioni dal saggio di Mario Liverani “Antico oriente – Storia società economia”, intervallate ogni tanto da mie considerazioni.
Partiamo da un approssimativo inquadramento climatico-ambientale.
“…il clima del Vicino Oriente si è attestato già da 10.000 anni (tutte le date che saranno riportate in seguito, salvo che non sia indicato diversamente, sono da intendersi “avanti Cristo”, ndr) (4) grosso modo sui valori attuali, cosicché tutto il periodo storico è ricompreso in un’unica fase interglaciale. E però all’interno di questa fase si sono verificate fluttuazioni di medio termine nella quantità di precipitazioni e nella temperatura media,…”, ma “…il paesaggio è mutato nel corso del tempo per l’attività dei gruppi umani, che hanno praticato uno sfruttamento talvolta selvaggio di alcune risorse e che hanno avviato processi di degrado spesso irreversibili.” (5)
Ma adesso è bene entrare nel vivo del processo più propriamente umano e individuare, all’interno del contesto climatico-ambientale delineato, le scelte che furono fatte.
“Il periodo immediatamente precedente (ca. 15.000-10.000)…è stato definito (R. Braidwood) un periodo di caccia e raccolta intensificata. L’insediamento è ancora in caverne, per piccole comunità di 40-50 individui al massimo, caratterizzati da mobilità al seguito degli animali che forniscono il principale contributo alla dieta. La sopravvivenza è ancora un problema di portata quotidiana: non si hanno tecniche né per la produzione di cibo né per la sua conservazione.
….
…la caccia…comincia a selezionare gli animali da abbattere in modo da non depauperare il gregge, che l’uomo dunque inizia a controllare pur restandone esterno. Anche la raccolta delle graminacee e delle leguminose diventa più specialistica ed intensiva, producendo effetti di involontaria diffusione e selezione. Sia sul piano delle conoscenze che su quello delle pratiche di sfruttamento si gettano così le basi per il successivo intervento in senso riproduttivo.

Il periodo critico è quello che va dal 10.000 al 7500, detto della produzione incipiente (R. Braidwood). Alcune specie di piccoli ruminanti che nel periodo precedente erano oggetto di caccia selettiva …diventano progressivamente oggetto di una sorta di “simbiosi” con i gruppi umani, simbiosi che poi porterà in alcuni casi (specialmente caprini e ovini) all’addomesticamento, …
La “simbiosi” e il primo addomesticamento portano all’utilizzazione sistematica del latte e del pelo (o della lana), con l’abbattimento limitato ai maschi, e alla protezione e guida ai pascoli stagionali delle greggi oramai diventate proprietà dei gruppi umani.

Lo stesso vale per alcune specie vegetali, delle graminacee… e delle leguminose….
I ripetuti raccolti di graminacee spontanee e la susseguente concentrazione dei semi presso gli abitati deve aver indotto infine (al seguito di osservazioni sul ciclo vegetativo) ai primi esperimenti di coltivazione, con delimitazione degli spazi e loro protezione contro i ruminanti.

Già nella fase incipiente (10.000-7500) il nuovo modo di produzione ha notevoli conseguenze sui modi dell’aggregazione sociale e dell’organizzazione materiale. Le comunità, uscite ormai dalle caverne, si costruiscono delle abitazioni rotonde, in genere seminterrate e con alzato a capanna. Si distinguono campi-base permanenti (in prossimità dei quali iniziano i tentativi di coltivazione) e campi stagionali per la caccia (che resta attività sostanziale) e per la transumanza. I primi silos, necessari per la conservazione dei raccolti e delle sementi da un anno all’altro, mostrano superata la dimensione giornaliera del problema del nutrimento: greggi e campi comportano il concetto di proprietà e di trasmissione ereditaria. Si hanno in effetti tombe, sia singole che di gruppi familiari.

E’ difficile periodizzare in modo netto, sia per le sfasature fra zona e zona, sia per la progressività dei fenomeni. Ma il periodo 7500-6000 può ormai dirsi pienamente neolitico: comunità di villaggio (di 250-500 persone) sedentarie, con abitati in case di fango o mattoni crudi, di pianta quadrangolare, e con un’economia basata sulla coltivazione di graminacee e leguminose e sull’allevamento di caprovini e suini (alla fine del periodo anche bovini).

Comincia a prendere forma lo scenario neolitico del Vicino Oriente, con comunità di villaggio che producono il proprio cibo, che sono differenziate fra loro per tipi di risorse accessibili e per grado di avanzamento tecnologico, e che sono in rapporto di scambio (anche a lunga distanza) per materiali pregiati e poco ingombranti (il cibo è tutto prodotto localmente).
Il problema delle ‘cause’ del passaggio dalla caccia-raccolta alla produzione di cibo non è tale da potersi risolvere univocamente: cause ed effetti, fattori indipendenti e dipendenti si intrecciano e sono malamente misurabili data l’insufficienza ‘statistica’ dei dati e data la loro griglia spazio-temporale ancora troppo larga. In linea generale sembra errata la spiegazione per pressione demografica: sia nella fase di raccolta intensiva e caccia specializzata, sia nella fase di produzione incipiente, la popolazione è ancora talmente rada che le risorse disponibili sono comunque sufficienti. Quanto ai mutamenti climatici (e conseguentemente ecologici) cui abbiamo già accennato, essi costituiscono verosimilmente lo scenario del mutamento tecnologico ed economico, ma non la sua causa. Due fattori sono probabilmente da tenere in considerazione: uno di natura temporale e uno di natura spaziale. Il fattore temporale consiste nella volontà di dilatare i ritmi di dipendenza ambientale nel procacciamento di cibo: coltivazione, controllo delle greggi, immagazzinamento, sedentarietà sono elementi che vanno di pari passo nel costituire un controllo di lunga durata dei mezzi di produzione. Il fattore spaziale è connesso con il movimento attraverso ecosistemi diversi dei gruppi umani nella fase critica: risorse note ed accessibili “naturalmente” in una fascia possono essere utilizzate in un’altra solo mediante un trapianto artificiale ed un controllo tecnico. Partendo dalla diversità nel tempo e nello spazio delle risorse disponibili, le comunità “proto-neolitiche” hanno teso ad una maggiore stabilità e complementarietà, intervenendo attivamente sui cicli riproduttivi e di consumo anziché dipendere passivamente da essi.” (6)
“Alla fine del VII millennio (a.C. ndr), al culmine della fase di produzione incipiente, sono ormai acquisite su tutta l’area del Vicino Oriente le basilari innovazioni che caratterizzano la cultura “neolitica” in senso tradizionale: insediamento per comunità di villaggio, coltivazione delle principali piante alimentari (graminacee, leguminose), allevamento di caprovini, suini e bovini. Si affermano anche altre tecniche tipicamente neolitiche: tessitura (lana e lino), produzione ceramica…, prima utilizzazione del rame martellato…” (7)
….
“Queste attività di produzione e di trasformazione domestica sono ospitate in abitazioni di norma quadrangolari, ove trovano collocazione silos (scavati nel suolo) e ripostigli a pareti d’argilla, focolari e forni, aree di lavoro per la macinazione, per la tessitura e per ogni altra attività. Il materiale costruttivo è l’argilla impastata con paglia: …Pietra (per le fondazioni) e legname (per la copertura) sono impiegati più o meno a seconda della disponibilità locale.
….
I villaggi sono di norma piccoli e radi. La dimensione ridotta valutata di concerto con le strategie matrimoniali, induce a ritenere che l’insediamento coincidesse con poche famiglie estese, e al limite con una sola, e che comunque l’imparentamento all’interno del villaggio fosse pressoché generalizzato. La struttura sociale e decisionale è dunque impostata sulla presenza di uno o di pochi capi-famiglia (“anziani” o “patriarchi” che dir si voglia); su differenziazioni drastiche per sesso, età, provenienza; ma su differenziazioni relativamente modeste di carattere socio-politico. Non emergono ancora, neppure dai corredi delle sepolture – per non dire della dimensione e attrezzatura delle abitazioni – differenze di rango significative.
Le comunità sono internamente percorse e motivate da una religiosità diffusa che ha lasciato ampie testimonianze iconiche e oggettuali. Questa religiosità ha due aspetti tra loro complementari: un aspetto funerario e collegato (tramite la venerazione degli antenati) alla struttura gentilizia “patriarcale”; ed un aspetto attinente al problema della fertilità (umana, animale, vegetale) che le tecniche di produzione di cibo hanno portato in primo piano.
….
La struttura sociale delle singole comunità è dunque costituita da famiglie nucleari raccolte (con legami più o meno stretti e operativi) in famiglie allargate e in comunità gentilizie. All’interno delle comunità il ruolo dei singoli nuclei è largamente paritetico e la loro aggregazione è sostanzialmente cumulativa. Anche le attività non di diretta produzione di cibo, dalla tessitura alla ceramica, sono collocate all’interno delle stesse famiglie di produttori di cibo, senza specialisti “a tempo pieno”. Mancano le espressioni esteriori dell’unità comunitaria: edifici pubblici come templi o magazzini comuni.

L’altro elemento caratteristico dello schema insediativo territoriale è la sua rarefazione, la presenza di zone residuali (ma quantitativamente prevalenti) non colonizzate in senso neolitico (anche se potenzialmente atte ad esserlo), ove si collocano le attività marginali di caccia e raccolta, e che servono a tenere separate fra di loro le singole “isole” dei villaggi neolitici. In questa situazione la definizione del grado di conflittualità tra le comunità, pur difficilmente precisabile, è da ipotizzare a livelli piuttosto bassi. Si noti che le potenziali “armi” (punte di freccia, lame di pugnali o daghe) non sono ancora abbastanza specializzate da far distinguere un uso bellico da quello venatorio abituale. Lo stesso vale per le opere di difesa, che sia nel caso degli insediamenti ad alveare compatto (con facciate esterne continue e accesso dai terrazzi) (come nel caso di Çatal Hüyük, ndr) sia in quello di modesti muri di cinta (come nel caso di Gerico, ndr) è piuttosto efficace contro animali selvatici e notturni (oltre che a regolamentare e controllare gli accessi e le uscite, ndr) che non contro assalti nemici. Esistevano certo elementi di conflittualità inter-comunitaria, ma non sembra che la guerra fosse – nell’ambito delle basi economiche e della struttura socio-politica neolitica – un elemento centrale del modo di produzione e della soluzione dei rapporti esterni.” (8)
A questo punto bisogna fare la considerazione che se si allarga l’orizzonte dell’analisi e si va oltre quindi la dimensione del villaggio neolitico nascono delle problematiche molto complesse e quasi inestricabili: esistevano sicuramente delle aggregazioni regionali riguardo alla cultura materiale ma è un compito arduo se non impossibile fare affermazioni precise sul modo in cui la cultura materiale si sia trasmessa a partire da centri di diffusione originaria, fare affermazioni sulle lingue parlate, sulle migrazioni dei vari gruppi umani, ecc., ecc.
“Il grado di identificazione tra frontiere della cultura materiale, frontiere linguistiche, frontiere etniche (relative cioè alla coscienza o presunzione di una comune origine) varia nel tempo, e in età storica è di norma assai basso e al limite irrilevante.

Oltre non si può certo andare, e in ogni caso non è certamente possibile attribuire alcuna valenza politica a questi aggregati definiti sulla base della cultura materiale – l’orizzonte politico essendo certamente assestato su un raggio puramente locale.
Se la dimensione economica (produttiva) è puramente locale – e così pure quella politica -, se esistono però degli aggregati culturali di scala regionale, se esistono parallelamente delle diversificazioni cantonali dovute all’ambientazione ecologica, esistono infine dei rapporti che intersecano tutto il Vicino Oriente: si tratta di rapporti che con termine forse anacronistico si usa definire commerciali. Non c’è contraddizione fra la scala locale della produzione e l’esistenza di traffici anche di lunga distanza. Tutto ciò che serve al sostentamento e all’attrezzatura insediativa deve essere reperito nel raggio di pochi chilometri dall’insediamento stesso. Il trasporto su lunga distanza di cibo e di materiali ingombranti sarebbe troppo oneroso per la tecnologia neolitica.
Ma esistono dei materiali preziosi (per i valori dell’epoca) anche su piccole unità di peso e di ingombro, che diventano oggetto di scambio e trasporto anche a distanze notevolissime dal loro luogo d’origine. (ossidiana, pietre dure, conchiglie marine, metalli, ndr).

Si tratta, come si vede, in tutti i casi di materiali di scarso ingombro e destinati alla manifattura di oggetti decorativi (pietre dure, conchiglie) o funzionali di pregio…
Sui modi di svolgimento dei traffici, è fin troppo facile e gratuito dichiarare che si tratta di baratti.

Pur nella sua basilare strutturazione per cellule produttive autosufficienti di raggio locale (i singoli villaggi), il Vicino Oriente nel periodo neolitico inizia dunque ad avviarsi verso “un sistema regionale” complessivamente strutturato: zone diverse e complementari per risorse e potenzialità produttive, con regioni caratterizzati da caratteri culturali “immotivati”, con ambienti tecnologicamente più o meno avanzati, con zone più o meno popolate.” (9)
“Le zone dell’arco pedemontano (margine esterno della “fertile mezzaluna”, ndr) che erano state all’avanguardia nel corso della “rivoluzione“ produttiva perdono questo ruolo quando col neolitico pieno le tecniche produttive vengono trapiantate in ecosistemi dove non avrebbero potuto aver origine ma dove per converso trovano più ampi spazi per svilupparsi. Il bagaglio basilare di piante e animali addomesticati viene traferito in regioni dove non era disponibile allo stato selvatico, …La colonizzazione da un lato degli altopiani anatolici ed iranici, dall’altro e soprattutto dell’alluvio mesopotamico rende ormai massiccia la distribuzione di orizzonti culturali su tutta l’estensione del Vicino Oriente.

Çatal Hüyük (nella parte meridionale dell’attuale Turchia, ndr) è il sito più impressionante: 600 per 350 metri di superficie, con una sequenza di 14 livelli che coprono il periodo 6500-5500. Ai margini meridionali della piana di Konya sfrutta una “nicchia” irrigua e l’interfaccia tra le risorse della piana semi-arida e le montagne boscose. La base economica è quella tipica agro-pastorale, ma si caratterizza per scelte “ricche” (frumento piuttosto che orzo, bovini piuttosto che caprovini); per un’industria litica bellissima (in ossidiana per il 90%); per ceramica abbondante (prima lustrata chiara, poi lustrata scura, infine a ingubbiatura rossa: ma non dipinta come saranno le successive ceramiche del neolitico anatolico). L’insediamento è compatto: le case monocellulari sono addossate le une alle altre, così che il loro fronte esterno costituisce un fronte compatto utile alla protezione; la circolazione avviene a livello delle terrazze, dalle quali si scende nelle stanze, e sulle quali si svolge anche gran parte dell’attività domestica. Le unità abitative hanno uno schema fisso, con panchine addossate alle pareti, sotto le quali sono sepolti i morti, e sopra le quali si dorme, ed inoltre focolare e forno, ripostigli, la scala di accesso. Ma un terzo circa delle unità abitative, eguali per il resto alle altre (cioè come esse dotate degli impianti abitativi), si segnala per la presenza di una decorazione e di un arredo di carattere cultuale, nel quale ha posto preminente il bucranio, nonché simboli della fertilità e della generazione e figurine fittili femminili. Non si tratta di santuari (dato il loro uso abitativo), non di sacerdoti (data la loro frequenza), ma di culto domestico.
Il quadro complessivo di un villaggio così ben documentato e così ricco come Çatal Hüyük mette in risalto l’ossessione simbolica e rituale di una popolazione che vive a stretto contatto con i suoi morti e col mondo divino, al fine di assicurare il corretto andamento del ciclo produttivo che è sostanzialmente un ciclo rigenerativo basato sui procedimenti (simbolicamente assimilati) del seppellimento vegetale e della penetrazione animale.” (10)

 

Foto 3 Çatal Hϋyϋk, nella piana di Konya, nell’Anatolia meridionale, è, insieme a Gerico in Palestina, una delle più antiche città al mondo. Fu fondata nel nono millennio before present e raggiunse fino a 5-6 mila abitanti.

Molti altri siti del Vicino Oriente del periodo sia coevo che successivo al sito di Çatal Hüyük mettono in evidenza culture meno ricche e meno avanzate tecnologicamente.

 

“Diversa è la situazione ecologica e culturale nella bassa Mesopotamia che, anteriormente alla pluri-secolare opera di drenaggio e irrigazione, era in gran parte occupata da acquitrini.” (11)
Nella Bassa Mesopotamia, per la precisione nella zona del basso Eufrate, emerge improvvisamente la cultura di Eridu. Difficile stabilire il processo formativo di questa cultura, dal cui sviluppo viene fuori quella di Haggi Muhammad e poi quella di el-‘Ubaid. Con questo sviluppo culturale la Bassa Mesopotamia prenderà la guida dello sviluppo tecnologico e organizzativo del Vicino Oriente.
Adesso saranno esposti più in dettaglio gli elementi che contraddistinguono le culture suddette e le innovazioni rispetto al passato. Una precisazione: per “cultura” in questo contesto è da intendersi un insieme di strumentazioni e tecniche produttive, caratteristiche delle case, determinati rapporti sociali all’interno del gruppo umano, determinate forme cultuali, ecc. Alle volte la “cultura” prende il nome da uno dei siti (a cui corrispondeva un villaggio, una città o una località), in cui sono stati fatti i maggiori o più importanti ritrovamenti archeologici. In merito alla “cultura” di Eridu abbiamo quindi il sito di Eridu (sito eponimo), individuato cioè dove sorgeva la città di Eridu.
“Negli strati 17-15 di Eridu (fase di Eridu, ca. 5000) sono stati rinvenuti dei piccoli edifici che per tipologia e collocazione… sono interpretati come i primi esempi di edifici esclusivamente dedicati al culto. L’inizio è modesto (si tratta di piccole cappelle), ma gravido di sviluppi, ed è già significativo il fatto di dedicare a questa funzione degli spazi propri, mentre precedentemente (si ricordi il caso eclatante di Çatal Hüyük) essa era svolta in collocazione familiare. Questo sviluppo diventa caratteristico della successiva fase culturale di ‘Ubaid, quando acquista dimensioni considerevoli, e si diffonde dalla bassa all’alta Mesopotamia, non interessando per il momento le zone circostanti.
La fase culturale di ‘Ubaid ha una lunga durata, ca. 4500-4000 per la fase “antica” o “classica” e 4000-3500 per la fase “tarda”.
…..
Il bassopiano mesopotamico è oggetto in questa fase di una prima sistemazione, sia pure di scala molto locale, mediante lo scavo di canali che da un lato servono a convogliare le acque in zone altrimenti non coltivabili, e dall’altro e soprattutto servono a drenare l’eccesso di acque dalle sacche acquitrinose (zone delle “lagune” e zona del “delta”) e a convogliare il residuo delle piene stagionali verso i bacini di raccolta. Lungo i canali si dispongono gli insediamenti che sono con tutta evidenza centri agricoli: il più caratteristico manufatto-guida (ceramica a parte) è un falcetto di terracotta, strumento economico (assai più delle falci di selce) per un’attività (raccolta delle graminacee) ormai diventata di massa. All’agricoltura si affianca certo l’allevamento (caprovini, bovini), ed inizia probabilmente ad affiancarsi anche l’arboricoltura (palma da datteri) e l’orticoltura (cipolle, legumi vari) grazie alla disponibilità capillare di acque di superficie. In alcuni centri prossimi a stagni e lagune (tipico è Eridu) una notevole integrazione dietetica viene dalla pesca, e nei templi si trovano offerte di pesce e di strumenti per la pesca (ami, chiodi ricurvi per fissare le reti).
L’ architettura domestica, inizialmente piuttosto povera, con capanne di canne e di argilla, acquista poi maggiore solidità costruttiva e complessità di pianta…Al centro dell’insediamento troneggia il tempio: soprattutto ad Eridu si può seguire la sequenza di santuari successivamente ricostruiti ed ampliati crollo dopo crollo, fino ad ergersi su una vera e propria piattaforma che deriva dalla sistemazione delle macerie degli edifici precedenti. Dopo i tempietti embrionali della fase di Eridu, assai più cospicui sono i templi della fase ‘Ubaid classica… a cella tripartita allungata affiancata da ambienti minori sporgenti, per culminare… poi coi templi della fase ‘Ubaid tarda…in edifici tripartiti (cella allungata centrale, con due file di stanze ai lati), con muri esterni a sporgenze e rientranze (un tipo architettonico che resterà tipico dei templi mesopotamici per tre millenni), con accesso laterale preceduto da una scalinata che supera il dislivello della piattaforma. L’imponenza di questi edifici (circa 20 metri per 12) rispetto a tutto quanto noto fino ad allora, mostra che l’enucleazione della funzione cultuale comportò subito dei precisi contraccolpi sull’organizzazione del potere economico e politico, nella direzione della centralizzazione (afflusso delle offerte, il culto come attività comunitaria, mobilitazione delle forze lavorative per l’edificazione stessa, probabile sacerdozio professionale). Di questa tendenza alla centralizzazione e alla stratificazione si hanno altri indizi, per ora non tropo vistosi ma interpretabili alla luce degli sviluppi successivi.
Un primo indizio sta nell’accresciuta presenza di prodotti artigianali di intrinseco pregio (per gli standard dell’epoca) frutto di attività specialistiche, anche se non ancora necessariamente a tempo pieno, per la loro lavorazione e per il loro procacciamento. Dietro gli attrezzi metallici e dietro le pietre dure lavorate in elementi di collane o in sigilli a stampo, si devono postulare attività mercantili (non basta più attendere una generica distribuzione dai centri di origine) e attività artigianali.
Un secondo indizio sta nella collocazione di crescenti margini di ricchezza in contesti non strettamente funzionali alla sopravvivenza, ma invece gravidi di significati simbolici. Oltre alle offerte templari crescono i corredi funerari; e questi tendono a diventare uno specchio di crescenti differenze nella disponibilità economica da parte dei defunti, facendo intravedere una società che comincia a stratificarsi funzionalmente ed economicamente.
Un terzo indizio sta nell’inizio di produzioni “in serie”, che comportano da un lato artigiani a tempo pieno, e dall’altro l’esistenza di una qualche “agenzia” politica di dirigenza e di committenza delle attività economiche della comunità. Si è già visto il caso delle falci di terracotta (significativo perché oltre alla massificazione dello strumentario indica quella dell’attività agricola di base). Ancor meglio documentabile è il caso della ceramica. La ceramica di ‘Ubaid “classica” è una ceramica fatta a mano, molto pregevole sia sul piano tecnico (tipo di impasto, grado di cottura, pareti sottili a guscio d’uovo) sia su quello estetico (decorazione dipinta che sviluppa quella dei periodi precedenti aggiungendo nuovi motivi anche animalistici). Già nella fase di ‘Ubaid tarda si assiste ad una decadenza tecnica per produzione più affrettata, in serie su grandi quantitativi: introduzione del tornio lento, cottura irregolare, minor cura per la decorazione. Il processo culminerà nel successivo periodo (antico- Uruk) con l’affermazione di una lavorazione completamente al tornio di vasellame di serie.
Siamo dunque, con la cultura di ‘Ubaid, sulla via della costituzione di aggregati socio-economici e politici più complessi del villaggio neolitico. Il punto di partenza va individuato nella più ampia produzione agricola, che nell’alluvio mesopotamico è reso possibile dall’irrigazione estensiva e dall’introduzione dell’aratro a trazione animale; e le linee portanti sono quelle dell’incipiente specializzazione lavorativa e funzionale, del conseguente emergere di funzioni di coordinamento e decisione (in specie attorno al ruolo-guida del tempio), e della progressiva stratificazione all’interno della comunità.” (12)
Quanto detto è ciò che avviene nella bassa Mesopotamia.
Nel più vasto Vicino Oriente si crea quindi, verso la metà del IV millennio a. C. un sistema interregionale che giustappone alla bassa Mesopotamia (prevalente sul piano demografico, della produzione agricola e dello sviluppo organizzativo) altre aree di “livello culturale inferiore” e diverso, ma a essa collegata e che le fornisce legname, metalli, pietre dure e altro.

“Una rivoluzione globale: tecnologica, organizzativa, demografica, urbana” (13)

Ciò che arrivò a maturazione nella bassa Mesopotamia nella seconda parte del VI millennio b.p. (seconda parte del IV millennio a.C., cioè il periodo 3.500-3.000 a.C.) fu una vera e propria rivoluzione globale: ne furono infatti investiti tutti i suoi aspetti! …e i valori culturali elaborati per la prima volta nella Bassa Mesopotamia nella seconda parte del IV millennio a.C. sono, nella sostanza, i valori della attuale cultura, diffusa in tutto il mondo! Questi valori culturali resero possibile la rivoluzione suddetta, rendendo possibile (in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche) lo sviluppo delle forze produttive risolvendo il fondamentale problema del trasferimento della conoscenza-know how fra i diversi individui, fra le diverse formazioni sociali e, per finire, fra le diverse popolazioni-culture. Questi nuovi valori culturali, che nell’analisi di Mario Liverani sono dispersi nell’analisi dei processi storici, sono invece il tema fondamentale di questo lavoro: alla loro analisi sarà dedicato l’intero successivo capitolo.
Ma vediamo come Mario Liverani espone questa rivoluzione globale (tecnologica, organizzativa, demografica e urbana) avvenuta nella seconda parte del quarto millennio a.C.
“Dal punto di vista della portata dei mutamenti, questi investono ogni aspetto della civiltà – da quelli demografici a quelli tecnologici, da quelli socio-economici a quelli ideologici – e la investono in modo talmente radicale da mutarne la struttura, …
La “rivoluzione” è complessa ed il problema centrale è sempre stato quello di decidere tra i vari fattori quali siano stati quelli fondamentali e primari, quali quelli derivati. I primi tentativi di spiegazione tendevano a privilegiare uno dei fattori come decisivo: o quello tecnologico o quello demografico o quello organizzativo. Ormai è chiaro che siamo di fronte a un meccanismo di tipo sistemico, in cui i vari fattori interagiscono l’uno sull’altro, e proprio dall’interazione traggono maggiore impulso. La nuova organizzazione nello sfruttamento delle risorse è un potente “volano” di sviluppo, ma sarebbe impensabile senza la spinta della specializzazione lavorativa e della concentrazione urbana. La crescita demografica è indubbia, ma di per sé è un fattore permanente e di efficacia lenta, che richiede condizioni nuove per esplicarsi in forma accentuata e per un periodo ristretto. Le innovazioni tecnologiche sono state probabilmente stimolate dalle accresciute esigenze produttive, ma a loro volta le hanno consentite.
Volendo semplificare il meccanismo sistemico, e stabilire delle priorità di tipo logico più che cronologico, è da dire che l’aumento della produttività agricola è il presupposto fondamentale per assicurare alle comunità quella disponibilità di eccedenze alimentari che consente il mantenimento di specialisti a tempo pieno mediante la costituzione di un polo redistributivo centrale. Il “salto” più appariscente sarà quello demografico e urbanistico, ma il più sostanziale è quello organizzativo. L’origine della città significa origine delle Stato e della stratificazione socio-economica. Significa dunque l’origine della storia, non tanto perché il nuovo strumento della scrittura mette a disposizione una fonte di informazione più esplicita e più dettagliata, ma soprattutto perché per la prima volta si assiste all’interazione complessa di gruppi umani delle singole comunità (stratificazione sociale, costituzione di una dirigenza politica, ruolo socio-politico dell’ideologia) e fra le varie comunità ormai organizzate su più larga scala (Stati cittadini e cantonali) e dotate di specifiche strategie e di rivalità per l’accesso alle risorse e per il controllo territoriale.
Per tutto il periodo neolitico e calcolitico, come abbiamo visto, le singole comunità permangono alla dimensione del villaggio (nonché del gruppo transumante), con implicazioni quantitative e qualitative. Le singole comunità sono tendenzialmente omogenee, sia tra di loro sia al loro interno, perché tendenzialmente autosufficienti. Esistono differenze di grado, con famiglie più ricche o più numerose di altre, con villaggi più grandi e più prosperi di altri. Ed esistono anche delle specializzazioni (sia di singole persone, sia di intere comunità) che però mantengono un carattere piuttosto occasionale e una distribuzione sparsa. Il “salto” organizzativo consiste nel sistematizzare la separazione tra produzione primaria di cibo e tecniche specialistiche, e nel polarizzare questa separazione concentrando gli specialisti in alcuni centri più grandi, proto-urbani, e lasciando disperso nei villaggi di campagna il compito della produzione di cibo.
Il rapporto da complementare diventa subito gerarchizzato, coi villaggi strutturalmente tributari delle città. Dai produttori di cibo va agli specialisti un flusso di eccedenza alimentare che permette agli specialisti di sopravvivere pur non producendo cibo. E dagli specialisti va verso i produttori di cibo un flusso di prodotti specializzati e di servizi. Il meccanismo è per principio bidirezionale, e tale da avvantaggiare la comunità integrata nel suo complesso; ma i rapporti interni si sbilanciano a tutto vantaggio degli specialisti. Costoro sono innanzitutto depositari di tecniche più rare e avanzate, hanno dunque una capacità contrattuale, un prestigio sociale e culturale ben superiore ai produttori di cibo che svolgono incombenze tecnologicamente banali e diffuse (si pensi che essi rappresentano l’80% o più della popolazione).Gli specialisti sono inoltre più “a valle” nella catena produttiva, in posizione più favorevole per ritagliarsi percentuali privilegiate di cibo (e in generale di reddito), e per influenzare le scelte strategiche. Al vertice del nucleo specializzato ed urbano, si collocano coloro che svolgono incombenze amministrative (scribi, amministratori, sorveglianti, ecc.) e cerimoniali (sacerdoti), intese ad assicurare la coesione della comunità e l’organizzazione dei flussi di lavoro e di retribuzione che lo attraversano. Quello che a livello familiare e di villaggio era compito dei capi-famiglia ed era iscritto nella tradizione, diventa ora un compito specializzato (ed anzi il più specializzato di tutti) e responsabile di scelte non scontate e non indifferenti perché basate sulla ineguaglianza e tali da accentuare l’ineguaglianza. In questo meccanismo la solidarietà non è più cumulativa ed opzionale, come era nelle comunità di villaggio in cui ogni nucleo familiare autosufficiente poteva anche dissentire o estinguersi senza che gli altri ne risentissero conseguenze particolari. Nel sistema specialistico ed urbano la solidarietà diventa organica e necessaria: la complementarietà e la sequenzialità rendono il lavoro di ogni nucleo familiare necessario anche per gli altri nuclei; e le scelte strategiche coinvolgono tutti e devono essere accettate da tutti (per convinzione o altrimenti per coazione).
La sistematizzazione delle specializzazioni lavorative, la loro concentrazione spaziale, l’individuazione di poli decisionali comuni portano al nascere di quelle che L. Oppenheim chiamò “le grandi organizzazioni”: templi e palazzi. Sono questi grossi complessi architettonici e organizzativi che fanno la differenza fra città e villaggi: le città sono quegli insediamenti che sono sedi di “grandi organizzazioni”, i villaggi quelli che ne sono privi. Tra tempio e palazzo la differenza è notevole, perché il tempio è innanzitutto la sede delle attività cultuali, la “casa del dio” ove la comunità presta al suo capo simbolico il culto giornaliero e periodico (feste); il palazzo è invece innanzitutto la residenza del capo umano, il re con la sua cerchia più stretta (famiglia reale, corte). Ma altrettanto importanti sono le affinità: palazzo e tempio sono entrambi la sede delle attività amministrative e decisionali, e la sede dell’accumulo delle eccedenze sul quale è fondato l’intero meccanismo redistributivo. Oltre che residenza reale o rispettivamente divina, oltre che sede delle manifestazioni pubbliche di carattere politico o rispettivamente di carattere religioso, palazzo e tempio sono anche la sede di botteghe artigiane, di magazzini, di uffici scribali e di archivi. Ne sono talvolta la sede in senso stretto, anche logistico, con locali destinati ad attività e servizi di carattere economico; lo sono più spesso in senso più generale, in quanto contornati e integrati da altri edifici destinati appunto all’immagazzinamento delle scorte, delle attività artigianali, delle attività amministrative. Il complesso costituito dal palazzo/tempio, dagli edifici integrativi specializzati, dalle abitazioni del personale dipendente (clero, amministratori, mercanti, artigiani, guardie), rappresenta tutto il settore “pubblico”, prevalente in città e invece assente nei villaggi.
Rispetto alla “grande organizzazione”, che si identifica con quello che noi definiremmo lo Stato, la popolazione si dispone in un rapporto molto nettamente bipartito. Gli specialisti non hanno mezzi di produzione propri, ma lavorano sui mezzi di produzione del palazzo, su commissione del palazzo, e sono mantenuti dal palazzo mediante un sistema di razioni o mediante assegnazione di terre. Gli specialisti sono dunque l’élite socio-economica e politica dello Stato, ma sono giuridicamente ed economicamente “servi” del re (o del dio), e fanno parte dello Stato in quanto mantenuti da esso, fruitori diretti del meccanismo redistributivo. Invece il resto della popolazione, costituito dalle famiglie di produttori di cibo, è “libero” nel senso che detiene i propri mezzi di produzione (terre, bestiame) e lavora per il suo sostentamento; ma è tributario dello Stato cui deve cedere le proprie eccedenze alimentari; ed è dunque parte del meccanismo redistributivo. Piuttosto nel momento del prelievo che non in quello del ritorno, momento quest’ultimo che assume spesso carattere puramente ideologico (culto religioso, propaganda politica), con modesta ricaduta nelle campagne della produzione specialistica e persino del sevizio essenziale della difesa. Il momento di più evidente ed efficace ricaduta dell’organizzazione centrale sulle campagne è dato dallo scavo dei canali, essenziale infrastruttura agricola che può essere realizzata solo con un coordinamento di lavoro e risorse che la “grande organizzazione” è in grado di assicurare.
All’interno del nucleo palatino la specializzazione lavorativa è molto accentuata: le liste dei mestieri e professioni già attestate nel periodo tardo-Uruk (3200-3000 a.C. ndr) sono estremamente dettagliate, ed abbracciano tutto l’universo della competenza tecnologica dell’epoca. Questa accentuata e concentrata specializzazione del lavoro porta ad alcune conseguenze importanti. Gli specialisti a tempo pieno conferiscono alle loro tecniche un indubbio impulso di professionalità e di efficienza, e sono in grado di sperimentare e di mettere a punto processi lavorativi più razionali. L’innovazione tecnologica può contare su un ambiente più favorevole, e le esigenze del committente pubblico assicurano più frequenti occasioni per lavorazioni di pregio e di impegno. Viceversa il lavoro per un committente spersonalizzato e di grosse proporzioni (il resto della popolazione, verso cui è indirizzata la produzione dozzinale, di bassa qualità, ndr) sposta la lavorazione verso la ripetitività e l’omogeneità.
….
Una seconda serie di conseguenze è di ordine sociale. All’interno della singola organizzazione si instaura un rapporto gerarchizzato tra maestri di bottega e loro apprendisti, tra sorveglianti ed operai. Ai tradizionali rapporti di lavoro familiare subentrano rapporti di dipendenza e stimoli di carriera. La stessa retribuzione è direttamente legata al posto di lavoro e alla capacità del dipendente di fornire il servizio richiesto. Nell’organizzazione di famiglia e di villaggio ciascuno ha una posizione già dettata al momento della nascita dalla sua collocazione di parentela; e ognuno sa già se e quale ruolo (sociale oltre che lavorativo) erediterà alla morte del padre. Ora invece si è retribuiti personalmente, si afferma l’idea dei meriti personali, della responsabilità personale, e prende corpo il possesso personale (non più solo familiare) dei beni. Ma è soprattutto fra categoria e categoria che si stabiliscono delle scalarità per prestigio del lavoro eseguito (che può essere più o meno specialistico, richiedere maggiore o minore addestramento, collocare più o meno vicino al centro decisionale) e conseguentemente per l’entità della retribuzione ricevuta. Le differenze di censo non sono più soltanto dei fatti occasionali, ma rappresentano un elemento strutturale nella compagine sociale. La società di specialisti diventa automaticamente una società stratificata in classi.” (14)
Se la rivoluzione urbana (ma è una rivoluzione che mi sono permesso di considerare globale visto che ha interessato tutti gli aspetti della vita umana) avvenne nella bassa Mesopotamia nella seconda metà del VI millennio b.f. (seconda metà del IV millennio a.C., cioè 3500-3000 a.C.) è per un complesso motivo che è possibile esprimere in questo modo: l’alluvio mesopotamico, nicchia ecologica molto più grande delle altre esistenti nel più vasto Vicino Oriente, dopo secoli di drenaggio e sistemazione idraulica del territorio, con l’adozione di nuove tecniche agricole e con l’adozione dell’aratro-seminatore a trazione animale, con la possibilità di commercio (approvvigionamento di materiali non esistenti in zona) offerte dalle vie di comunicazione rappresentate dai fiumi e dai canali, ecc., ecc., rese possibile una produzione cerealicola anche con un rapporto fino a 25-30:1 fra raccolto e semente, rendendo possibile enormi eccedenze alimentari con cui sostenere un notevole incremento demografico e mantenere una consistente parte della popolazione non addetta direttamente all’attività agro-pastorale (le organizzazioni templari e palatine, quello che è stato definito Stato [regnanti e sacerdoti, scribi e personale tecnico-amministrativo, mercanti e artigiani, guardiani, un piccolo esercito di professione, ecc.])
Ma è bene soffermarsi sui rapporti di gerarchia e interdipendenza che alterano sia il paesaggio agrario che urbano.
“Nelle campagne, è lo stato giuridico della terra a diversificarsi. In situazione pre-urbana tutte le terre hanno sostanzialmente lo stesso stato giuridico: appartengono alle famiglie che le coltivano. Nell’ambito della comunità di villaggio esistono dei meccanismi che garantiscono per quanto possibile il permanere delle terre in possesso delle diverse famiglie (meccanismi riconducibili all’inalienabilità della proprietà fondiaria al di fuori dei meccanismi di trasmissione ereditaria); ed esistono anche terre gestite in comune dal villaggio – in specie i pascoli. Con l’urbanizzazione si ha una bipartizione dello stato giuridico delle terre. Alcune terre restano proprietà delle famiglie “libere”, altre terre appartengono invece al tempio e al palazzo; e queste tendono ad accrescersi nel corso del tempo sia per processi di acquisizione economica sia per iniziative di colonizzazione. La gestione delle terre templari e palatine avviene secondo due modalità: una parte è direttamente sfruttata dall’organizzazione mediante manodopera servile, e tende quindi ad assumere l’aspetto di grosse aziende agricole “pubbliche”; una parte è invece lottizzata e assegnata in usufrutto ai singoli dipendenti dell’organizzazione in cambio del loro servizio. Queste terre templari e palatine vanno a costituire un nuovo paesaggio agrario, a presenza umana più sparsa e diffusa, che caratterizza soprattutto gli immediati dintorni delle città e le terre di nuova sistemazione, producendo così quell’emarginazione dei villaggi cui si è già accennato sul piano demografico. Le terre dei vari tipi significano per il tempio/palazzo diversi modi e diverse entità di afflusso fiscale: la “decima” (o comunque una quota percentuale non alta) dalle terre di villaggio, la totalità del prodotto delle terre direttamente sfruttate (detratto quanto occorre per la semina successiva e per il sostentamento dei contadini e animali da lavoro), il servizio specializzato per le terre lottizzate. E fra le varie terre si stabilisce anche una interazione economica, soprattutto perché i grandi lavori stagionali che richiedono molta manodopera sono eseguiti nelle aziende templari/palatine dagli abitanti dei villaggi come prestazione obbligatoria (corvèe), in modo da alleviare i costi di gestione della grande organizzazione.
Analoga diversificazione – in tutt’altra forma – caratterizza anche gli agglomerati urbani, differenziandoli dai villaggi la cui composizione omogenea per nuclei familiari si traduce, sul piano urbanistico, in una serie di abitazioni tutte uniformi per dimensione e per funzione. La stratificazione e la diversificazione funzionale conferiscono invece alle città un aspetto urbanistico complesso: al centro troneggiano (con cura anche dell’aspetto esteriore che deve imporsi anche all’ammirazione della popolazione) gli edifici palatini e templari; altri edifici sono anche pubblici e ospitano magazzini, botteghe artigianali palatine, ecc.; infine restano le case di abitazione che però appartenendo a nuclei familiari di prestigio sociale e di possibilità economiche assai differenziate tenderanno a differenziarsi per grandezza e per ricchezza. In questo tessuto urbano differenziato il centro di attrazione è costituito senza dubbio dal tempio, o meglio dall’area templare (con vari templi, in rapporto alla struttura politeistica del pantheon cittadino).
….
Infine, urbanizzazione significa anche concentrazione di ricchezza in tal misura da rendere opportuna la costruzione di mura di cinta. La spesa pur cospicua necessaria per la costruzione di quest’opera gigantesca, frutto di un numero enorme di giornate lavorative per la produzione e la messa in opera di mattoni da parte di un elevato numero di persone, è giustificata a protezione del patrimonio contenuto nella città: un patrimonio di merci preziose derivanti dal commercio a lunga distanza, e di riserve alimentari derivanti dalla tassazione interna, ma anche un patrimonio di conoscenze e di abilità tecniche concentrate nelle botteghe artigianali, e un patrimonio ideologico concretizzato nei templi e nei loro arredi. Tutto ciò va difeso da attacchi possibili dalle città vicine o da lontani invasori. I villaggi invece sono troppo numerosi e troppo piccoli, e la ricchezza in essa contenuta è troppo modesta, perché valga la pena di recingerli di mura. Vera ricchezza dei villaggi è la popolazione (manodopera effettiva del palazzo da cui dipendono, e potenziale per eventuali aggressori): ma essa troverà piuttosto scampo nella fuga che non protezione nelle fortificazioni.” (15)

 

Foto 4 Uno scorcio ricostruito dell’imponente città di Uruk. In secondo piano la ziggurat, struttura religiosa a piattaforme cultuali sovrapposte. Il “petrolio” che rese possibile la costruzioni di strutture così imponenti (e la prima urbanizzazione della Bassa Mesopotamia) fu l’agricoltura irrigua che, unita all’uso dell’aratro seminatore a trazione animale, dette rese produttive anche con un rapporto di 25-30:1 fra raccolto e semente.

 

Bisognava difendere le città a qualsiasi costo perché nelle città, tra l’altro, c’era l’amministrazione, cioè “…il lavoro più specializzato tra quelli che fanno capo alle grandi organizzazioni. Il funzionario amministrativo diventa sostanzialmente uno “scriba”: padroneggia la tecnica della scrittura (nonché ovviamente del calcolo e delle procedure amministrative), ciò che comporta un addestramento assai particolare. Se nelle botteghe artigiane gli apprendisti imparano nella pratica dei loro primi anni di lavoro i segreti delle rispettive tecniche, si diventa scribi con un addestramento che avviene in vere e proprie scuole, ove i maestri insegnano agli allievi a padroneggiare un repertorio di segni che comporta centinaia di elementi. Da questo addestramento escono i membri dell’élite culturale oltre che politica dello Stato, escono coloro che controllando la realtà a livello delle parole si mettono in grado di controllarla operativamente a livello socio-economico.” (16)

 

Foto 5 Tavoletta di terracotta che riporta un testo che potrebbe essere una registrazione di una operazione amministrativo-contabile: l’attività scribale richiedeva molti anni di apprendistato nelle scuole scribali per poter padroneggiare l’uso dei numerosissimi segni della scrittura ideografica (La scrittura nell’antica Mesopotamia era appannaggio di categorie di scribi, che erano istruiti in particolari scuole (dette edubba, cioè casa della tavoletta), e si tramandavano questa difficile arte di padre in figlio. Data la notevole importanza della scrittura nell’ambito della società gli scribi svolgevano spesso importanti incarichi ufficiali.
La struttura della scrittura cuneiforme, e quindi della lingua che essa esprime, si può definire un complesso di ideogrammi (risultanza degli antichi pittogrammi), e di morfemi, cioè di desinenze, suffissi e infissi, apposizioni, determinativi, e complementi fonetici vedi Lingua sumera. Da https://it.wikipedia.org/wiki/Scrittura_cuneiforme )

 

“La rivoluzione urbana porta…alla formazione dello Stato: non della funzione politico-decisionale, già presente in qualche forma nelle comunità pre-urbane, ma dello Stato in senso pieno inteso come organizzazione che controlla stabilmente un territorio (di dimensione multi-comunitaria) ed organizza lo sfruttamento differenziato delle risorse al fine di salvaguardare e di sviluppare la sopravvivenza della popolazione. Ciò che contraddistingue lo Stato è proprio il carattere differenziato ma organicamente coerente dei gruppi umani costitutivi, quindi la sovrapposizione agli interessi dei singoli individui e dei singoli gruppi (familiari, locali, o altro) degli interessi collettivi perseguiti nella diversità delle funzioni, dei contributi di ciascuno e dei ritorni a ciascuno spettanti.
La formazione proto-statale è un organismo basato della diversità. Questa diversità è evidente e pesante a livello fisico reale; occorre introdurre delle motivazioni di carattere ideale per convincere coloro che sostengono il peso maggiore che le disparità sono funzionali allo sviluppo complessivo, e che insomma lo sfruttamento va a beneficio degli stessi sfruttati (17). Organizzazione proto-statale significa dunque al tempo stesso formazione di un nucleo dirigente che si assume l’onere delle decisioni e i benefici di un trattamento privilegiato, e formazione di un’ideologia politico-religiosa che assicura stabilità e coesione alla piramide delle disparità.
Il nucleo dirigente deve operare su due fronti, operativo e ideologico, che sfociano nella costituzione rispettivamente di una burocrazia e di un clero. La burocrazia, costituita sostanzialmente dagli scribi, e articolata in settori e gerarchie differenziate, cura la gestione economica della grande azienda che è la città-Stato. Stabilisce, assicura e registra l’afflusso di eccedenze dai villaggi alla città, determina la redistribuzione delle eccedenze stesse ai lavoratori specialisti, gestisce le terre, emana le disposizioni per gli specialisti, progetta e realizza le opere di infrastruttura agricola (canali) e urbana (templi, mura), intraprende lo scambio commerciale con regioni lontane.
Il clero cura il culto sia giornaliero e riservato sia periodico e pubblico (feste), cioè gestisce quel rapporto con la divinità che fornisce la giustificazione ideale dei rapporti di ineguaglianza. La comunità cittadina, già abituata da secoli ad attribuire a personalità divine la responsabilità degli eventi umanamente incontrollabili, e a propiziarsele nelle forme antropomorfiche del dono e del sacrificio, traferisce ora tutto ciò al livello dell’organizzazione socio-economica e politica centralizzata. Si attua una sorta di parallelismo tra il meccanismo di accentramento e redistribuzione e il meccanismo delle offerte cultuali. Come la comunità cede una quota del suo prodotto (ed anzi la parte migliore, le primizie) alla divinità per ottenerne in contraccambio il corretto e favorevole andamento dei fenomeni naturali, così parallelamente cede una quota del suo prodotto alla classe dirigente in cambio dei servizi organizzativi e decisionali.
….
Una terza funzione basilare per il funzionamento dello Stato è l’esercizio (e il monopolio) della forza a fini di difesa e di coesione interna. Rispetto all’esterno, si rende necessaria la difesa delle ricchezze e delle capacità tecniche concentrate nella città, sia rispetto alle altre città-Stato sia rispetto a forze diversamente organizzate (tribù nomadi o altro). Questa difesa ha il suo corrispettivo in attività di offesa; cioè nel tentativo di impossessarsi dei prodotti e dei mezzi di produzione (uomini, terra) appartenenti ad altre città-Stato o ad ambienti marginali.
Strumento dell’esercizio statale della forza è la costituzione di un esercito, che avviene a due gradi diversi. Un nucleo militare è assicurato dagli specialisti della guerra, a tempo pieno; ma in caso di guerra si raccoglie un esercito di corvée, messo insieme dai contributi coatti di tutta la popolazione – e in questo il “lavoro” della guerra non è dissimile da ogni altro lavoro che richiede la mobilitazione della popolazione. Oltre che rispetto all’esterno, un certo grado di esercizio della forza è necessario all’interno stesso della comunità. Stanti le vistose ingiustizie distributive, i drastici dislivelli degli oneri contributivi e delle collocazioni sociali, ove il convincimento e l’ideologia non bastassero, una coercizione è attuabile da parte del potere centrale, sotto forma di mantenimento dell’ordine contro ribelli e devianti in genere.
….
Essenziale è il ruolo del tempio nel simboleggiare e nel mantenere la coesione della comunità. Intorno al tempio si aprono spazi attrezzati per ospitare feste e processioni, le “uscite“ in pubblico dei simulacri o dei simboli del dio – uniche occasioni probabilmente in cui la popolazione cittadina si raduna in massa per una mobilitazione ideologica che rende possibile (motivandole) le mobilitazioni economiche e lavorative.
….
“…la coesione della comunità è stimolata anche per opposizione, in confronto con le forze esterne. Il primo stimolo, di segno positivo (del tipo “dio è con noi”), serve a tenere insieme la comunità contro le spinte della diseguaglianza interna. Il secondo stimolo (del tipo “gli altri sono cattivi”) serve a tenere insieme la comunità di contro gli attacchi esterni e in funzione di aggressione verso l’esterno. Questa è giustificabile nei limiti in cui si diffonde la convinzione che il mondo esterno, in quanto tagliato fuori dal corretto rapporto col dio che contraddistingue la comunità cittadina, è un mondo caotico e barbaro, ostile e pericoloso. I nemici barbari e aggressivi, come le bestie feroci che ancora popolano le campagne e minacciano le greggi, vanno distrutti prima che possano distruggere noi. Le loro risorse vanno conquistate ed usate perché la periferia esiste in funzione del centro, e non per dignità autonoma.” (18)
Con le numerose citazioni del saggio di Mario Liverani sono state esposte le scelte ”storiche” avvenute in particolare nella Bassa Mesopotamia nel VI millennio B.P.
Queste scelte però rappresentano solamente un livello di scelte: adesso si parlerà di un altro livello di scelte, del livello “culturale”, connesso al precedente in un continuo, contemporaneo e dialettico rapporto di feed back. Per la verità queste scelte culturali nell’analisi di Mario Liverani sono disperse all’interno dell’analisi storica, non costituendo quindi un oggetto specifico e separato di indagine.
Questo secondo livello di scelte (l’elaborazione di nuovi modelli culturali) rese possibili quelle scelte storiche rendendo possibile (in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche) lo sviluppo delle forze produttive risolvendo il fondamentale problema del trasferimento della conoscenza-know how (informazione-apprendistato) fra i diversi individui, fra le diverse formazioni sociali e, per finire, fra le diverse popolazioni-culture.
Bisogna però fare una considerazione (che è soprattutto un chiarimento) fra i rapporti intercorrenti su questi due livelli di realtà. Questi due livelli di scelte sono da porsi non in termini di subordinazione l’uno verso l’altro ma sullo stesso piano. Un livello non è precedente all’altro né temporalmente né logicamente. Se così non si facesse sarebbe come stabilire se sia nato prima l’uovo o la gallina: l’uovo ha bisogno che la gallina lo deponga ma la gallina ha bisogno dell’uovo per nascere…e così via!

 


1) Paolo Matthiae, Il Vicino Oriente antico in AA.VV. La Storia, 1 Dalla preistoria all’antico Egitto, Mondatori 2006, pag. 126
2) Idem pag. 115
3) Mario Liverani, Antico oriente – Storia società economia, Laterza, Roma-Bari, 2006, pagg. 12-13
4) Tutte le date riportate nelle citazioni riprese dal saggio di Mario Liverani (salvo che non sia indicato diversamente) sono da intendersi “avanti Cristo”
5) Mario Liverani, Antico oriente – Storia società economia, Laterza, Roma-Bari, 2006, pag. 35
6) idem pagg. 63-71
7) Idem pag. 71
8) Idem da pag. 75 a pag. 78
9) Idem da pag. 79 a pag. 82
10) Idem da pag. 82 a pag. 84
11) Idem pag. 89
12) Idem da pag. 91 a pag. 95
13) Il riferimento è formalmente riferito alla “rivoluzione urbana” ma mi sono permesso di modificare questa espressione in “rivoluzione della cultura umana” visto le conseguenze che ha avuto in ogni aspetto della vita umana.
14) Idem da pag. 107 a pag. 114
15) Idem da pag. 119 a pag. 122
16) Idem pag. 134
17) Questa esigenza potrebbe considerarsi una costante universale nella culture umane caratterizzate da stratificazione sociale”: si pensi all’Apologo di Menenio Agrippa in riferimento alla storia romana (al link https://it.wikipedia.org/wiki/Apologo_di_Menenio_Agrippa )
18) Idem da pag. 135 a pag. 140

 

 

 

3) Un grosso problema nel trasferimento della conoscenza-know how in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità di risorse naturali e tecnologiche

“Solo in condizioni di ipo-comunicazione una cultura produce qualcosa.”
(Claude Levi-Strauss, Mito e significato) (1)

Le ampie citazioni riprese dal saggio di Mario Liverani hanno delineato, come esito di sviluppi che prendono le mosse da periodi precedenti, la nuova realtà storica creatasi nella Bassa Mesopotamia nella seconda metà del VI millennio B.P. (seconda metà del IV millennio a. C., cioè, per essere più chiari, nel periodo 3500-3000 a.C.).
Realtà fatta di forte incremento demografico, di sviluppo tecnologico, di specializzazione lavorativa in conseguenza di molteplici e complesse mansioni lavorative, di aumento della produttività agricola, di concentrazione urbana, di gerarchizzazione della popolazione e del territorio, di sviluppo organizzativo, da condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche, di surplus alimentare necessario per mantenere una parte della popolazione non addetta direttamente alla produzione agropastorale ma ad altre molteplici e importanti funzioni (tutto il “settore “pubblico” cioè le organizzazioni templari e palatine, fatte di sacerdoti, regnanti, scribi e altri funzionari, artigiani e commercianti, guardie, un piccolo esercito di professione, ecc.).
Non è possibile cercare in questa realtà il fattore più importante (o addirittura la variabile indipendente) perché bisogna interpretare questa realtà in modo sistemico, cioè con i vari fattori che si influenzano a vicenda e che da ciò traggono maggiore impulso.
Affinché avvenisse lo sviluppo che sopra è stato esposto era necessario che contestualmente fossero fatte altre scelte (alcune di queste ulteriori scelte già si intravvedono nella trattazione che è stata fatta). Come è stato già accennato, le scelte non furono fatte anticipatamente (in modo da determinare la predetta realtà) né posticipatamente (come esigenze poste dalla predetta realtà una volta costituita) ma strettamente a contatto con le scelte concrete in un continuo e contemporaneo rapporto dialettico di feed back: non si può quindi parlare di variabile indipendente né a proposito di queste scelte (modelli culturali) né delle scelte concrete (fatti storici) così come sopra sono state esposte. La gallina necessita dell’esistenza di un uovo per nascere ma l’uovo ha bisogno di una gallina che lo deponga…e così via all’infinito!
Si tratta adesso di individuare queste scelte, questi nuovi modelli culturali, cioè le nuove idee, i nuovi rapporti fra gli uomini, i nuovi rapporti fra gli uomini e la realtà, la nuova rete di relazioni che avrebbero dovuto esserci per rendere possibile la nuova e complessa realtà storica (produttiva, sociale, politica, organizzativa, ecc.) che sopra è stata esposta e, contemporaneamente, essere ad essa adeguata, rispondere alle sue esigenze. Si tratta di cercare cioè la rete di valori (i modelli culturali), che, procedendo con dialettici processi di feedback e per tentativi ed errori, avrebbe reso possibile la creazione e il funzionamento di questa nuova e complessa realtà storica e nello stesso tempo da questa nuova realtà storica avrebbe ricevuto la sua ragion d’essere, una maggiore forza e nuove direttive.
In un contesto caratterizzato dall’esistenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e da condizioni di scarsità, di volta in volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche, le scelte più importanti fatte resero possibile lo sviluppo delle forze produttive con la risoluzione del fondamentale problema del trasferimento della conoscenza-know how (informazione e apprendistato) fra i diversi individui, fra le diverse formazioni sociali e le diverse popolazioni-culture.
Le scelte consistettero in teoria e in prima approssimazione con l’esclusione del trasferimento delle conoscenze-know how (come si vede chiaramente dal passo citato della Genesi) ma in pratica con una loro forte limitazione e regolamentazione (come mette in evidenza la citazione di Claude Levi-Strauss): ciò avvenne con l’elaborazione dei valori dell’originalità e dell’esclusione e dei valori più operativi, in cui questi si articolarono, di individuo, derive sociali, gerarchia e derive culturali.

a) “E’ scritto nella Bibbia”

Per farsi una idea più precisa del ruolo importante giocato dal trasferimento della conoscenza-know how (informazione-apprendistato) e dei problemi fondamentali che poneva è bene fare un salto in avanti e arrivare a quanto dice la Bibbia a tale riguardo.
La redazione dell’Antico Testamento inizia verso il XIII secolo a. C., quindi fra la fine del tardo bronzo e la prima età del ferro (il riferimento è ovviamente al Medio Oriente antico), ma il suo contenuto, oltre a essere connesso alle vicende del popolo di Israele, risponde a problematiche generali, preesistenti e diffuse in tutto il Medio Oriente antico.
Infatti dice Mario Liverani nel suo saggio: “Ma i racconti biblici sono di norma elaborazioni storiografiche posteriori (e spesso molto posteriori) degli avvenimenti narrati, non solo basate su dati indiretti e incerti, ma soprattutto motivate da scopi precisi del loro tempo. Occorre perciò riassegnare i testi biblici all’epoca, agli ambienti politico-culturali, ai problemi che hanno portato alla loro redazione”. (2)
“…tutto l’Antico Testamento contiene (stratificati e reimpiegati) materiali antichi che è possibile entro certi limiti ricostruire e ‘datare’ (riassegnandoli ad ambienti ed epoche più antichi)”. (3)
Prima di fare questo salto in avanti è il caso, per mettere ancora più in evidenza l’importanza del problema che si sta trattando, iniziare con una citazione del grande antropologo Claude Levi-Strauss: “Il rischio del nostro tempo è probabilmente quello che potremmo definire di iper-comunicazione, cioè la tendenza a sapere perfettamente, in un dato punto della terra, quel che succede in tutte le altre parti del globo”. (4)
Mi permetto di correggere in parte il grande antropologo dicendo che il rischio della iper-comunicazione fu “il problema” alla base del peccato originale e, quindi, alla base della rivoluzione culturale che si ebbe nella seconda parte del VI millennio before present, come si vedrà appena sotto.

b) Il peccato originale: l’inizio della nuovo processo storico-culturale

Nella “Genesi” infatti sta scritto:
Dio dopo avere creato il cielo e la terra, la luce, il firmamento, le acque, le piante, i pesci e gli animali, ecc. alla fine del sesto giorno disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” (Genesi capitolo 1-26). Poi Dio disse: ”Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo.” (Genesi 1-29)
Ma Dio pose delle condizioni!
Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino (Genesi 2-16), ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti» (Genesi 2-17-17).
Ma le cose non andarono come Dio disse di fare!
Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «E’ vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». (Genesi 3-1) Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, (Genesi 3-2) ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». (Genesi 3-3) Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! (Genesi 3-4) Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». (Genesi 3-5) Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. (Genesi 3-6) Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. (Genesi 3-7)
E le conseguenze per avere mangiato i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male furono le seguenti, rispettivamente per il serpente, per la donna e per l’uomo!
Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». (Genesi 3-13)
Allora il Signore Dio disse al serpente: sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. (Genesi 3-14)
Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». (Genesi 3-15)
Alla donna disse: i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». (Genesi 3-16)
All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. (Genesi 3-17)
Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. (Genesi 3-18)
Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!». (Genesi 3-19)
…….
Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto (Genesi 3-23). (5)
Per la Bibbia quindi Adamo ed Eva non dovevano conoscere ciò che era bene e ciò che era male: solo il Signore Dio poteva conoscere il bene e il male!
Ma, come già detto, il contenuto della Bibbia, oltre a essere connesso alle vicende del popolo di Israele, risponde a problematiche generali, preesistenti e diffuse in tutto il Medio Oriente antico: è bene quindi individuare i motivi concreti che portarono al divieto della libera circolazione della conoscenza-know how. Si tratta di individuare i motivi per cui l’iper-comunicazione veniva vista come un rischio (per dirla con le parole di Claude Levi-Strauss) e, nello stesso tempo, di individuare i motivi per cui solo in condizioni di ipo-comunicazione una cultura produce qualcosa (sempre per dirla con le parole di Claude Levi-Strauss!).
I valori che resero possibile le forti limitazioni alla libera circolazione della conoscenza-know how furono i valori della originalità e dell’esclusione e quelli più operativi (in cui questi due si articolavano) di individuo, derive sociali, gerarchia e derive culturali.
Furono questi i valori che, in continui e contemporanei rapporti dialettici di feed back, resero possibile una realtà fatta di forte incremento demografico, di sviluppo tecnologico, di molteplici, complesse e, di conseguenza, specializzate mansioni lavorative, di aumento della produttività agricola, di concentrazione urbana, di gerarchizzazione della popolazione e del territorio, di sviluppo organizzativo, di surplus alimentare necessario per mantenere una parte della popolazione non addetta direttamente alla produzione agropastorale ma ad altre molteplici e importanti funzioni, ecc.
Ma contemporaneamente questi valori, in continui rapporti dialettici di feed back, furono la risposta alle esigenze di questa complessa realtà appena elencata.
Non si può quindi parlare di una variabile indipendente e di una variabile dipendente ma di un continuo e contemporaneo processo dialettico di feed back fra questi due diversi livelli di realtà.
Ma per quali motivi fu necessario limitare fortemente la libera circolazione della conoscenza-know how che, in presenza di molteplici e complesse e specializzate mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, di risorse naturali e tecnologiche, avrebbe reso possibile la realtà suesposta?
Come prima approssimativa risposta si può dire che le mansioni lavorative divennero molteplici, complesse e specializzate e per questo motivo non era possibile che tutti sapessero tutto e di tutti!
Per individuare la genesi del “pacchetto culturale” “originalità-superiorità-contrapposizione-esclusione” e dei valori in cui esso si è articolato (l’individuo, le derive sociali, la gerarchia e le derive culturali), che è il tema principale di questo lavoro è necessario fare una complessa analisi partendo dai fenomeni che arrivarono a maturazione nella Bassa Mesopotamia (principalmente l’incremento demografico, la specializzazione del lavoro e il progresso tecnologico-amministrativo) e dimostrare come il “pacchetto culturale” in questione fu, in continui e contemporanei rapporti dialettici di feed back, il modello culturale che rese possibile queste realtà e la risposta alle esigenze poste dal sorgere e dallo sviluppo di queste stesse realtà: le esigenze di rendere possibile lo sviluppo delle forze produttive risolvendo il problema del trasferimento della conoscenza-know how (informazione e apprendistato) fra i diversi individui, fra le diverse formazioni sociali e le diverse popolazioni-culture, in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, di risorse naturali e tecnologiche. Tale risposta comportò conseguentemente e necessariamente la creazione di nuove realtà.

c) L’incremento demografico, la specializzazione del lavoro e lo sviluppo tecnologico-organizzativo

Nell’analisi che appresso sarà svolta (e che mira a mettere in evidenza la motivazione che porterà alla creazione dei valori di originalità ed esclusione e degli altri valori in cui essi si articolavano, come l’individuo, le derive sociali, la gerarchia e le derive culturali) si privilegerà l’incremento demografico, la specializzazione del lavoro e lo sviluppo tecnologico-organizzativo. Questi aspetti del processo storico sono però strettamente interdipendenti, per cui non si può avere l’uno senza gli altri.
Nello svolgimento di questa analisi si metterà in evidenza come i valori di originalità ed esclusione e degli altri valori in cui si articolarono furono elaborati perché portarono allo sviluppo delle forze produttive risolvendo il problema del trasferimento della conoscenza-know how (informazione e apprendistato) fra i diversi individui, fra le diverse formazioni sociali e le diverse popolazioni-culture, in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche.
A partire da circa 12-10 mila anni fa, in corrispondenza e a causa del passaggio dall’ ”economia predatoria” (raccolta, caccia e pesca) all’ “economia produttiva” (coltivazione delle piante e pastorizia), è iniziata una esplosione demografica che non si è ancora arrestata.
“Il primo effetto dell’agricoltura è stato quindi la possibilità di nutrire molte più persone nella stessa regione e di consentire un aumento della densità della popolazione. Le abitudini, i costumi, che determinano la natalità, sono sempre molto radicati. Prima dell’agricoltura questi costumi permettevano una crescita lentissima della popolazione. L’agricoltura ha reso possibile, e utile, un aumento della natalità. Una volta che essa è salita diventa difficile arrestarla.
I cacciatori-raccoglitori di allora presumibilmente si comportavano come quelli di oggi, che hanno in media cinque figli, uno ogni quattro anni circa. Con un intervallo di quattro anni fra le nascite possono sempre viaggiare portando con sé, in braccio o sulle spalle, l’ultimo nato, mentre i precedenti sono già in grado di camminare, se non a un passo veloce, almeno a un’andatura ragionevole. Distanziando le gravidanze è possibile proseguire l’allattamento finché il bambino ha tre anni di età, e questo a sua volta diminuisce la possibilità di una nuova gravidanza. Con una media di cinque figli per donna, in pratica la popolazione si mantiene all’incirca costante, perché di questi cinque figli più della metà muore prima di arrivare all’età adulta, in genere nei primi anni di vita. Ogni coppia di marito e moglie tende così ad avere solo due figli che raggiungono l’età adulta e si riproducono a loro volta; la popolazione rimane stazionaria, cioè non aumenta, o tutt’al più aumenta molto lentamente.
Il contadino non ha più motivo di limitare il numero dei figli come il cacciatore-raccoglitore. E’ diventato sedentario, non ha il problema di spostarsi con figli troppo piccoli né quello di averne troppi e di non riuscire a nutrirli tutti, anzi ha bisogno di averne molti per potere coltivare la terra.” (6)

 

d) Le cause e gli effetti più prossimi dell’incremento demografico: la specializzazione del lavoro e lo sviluppo tecnologico-organizzativo

Con l’incremento demografico la comunità andava incontro a una sempre maggiore differenziazione. Un fenomeno che portava a incrementare la differenziazione all’interno della comunità fu la specializzazione del lavoro, con la creazione di molteplici e complesse mansioni lavorative e con la creazione di artigiani a tempo pieno. La specializzazione del lavoro fu anche esso una conseguenza e una possibilità offerta dall’incremento demografico (ma la specializzazione del lavoro [come per altri aspetti] influirà poi sull’incremento demografico in continui rapporti dialettici di feed back).
Era infatti impossibile la specializzazione del lavoro in gruppi umani di 8-10 persone. Infatti con gruppi umani di circa 30-40 persone è da pensare che poco meno della metà fosse composta da bambini (quindi il numero di persone adulte si abbassa a circa 15-20 persone per gruppo); le persone adulte a loro volta erano suddivise per la metà da uomini e l’altra metà da donne, fra cui c’era una suddivisione del lavoro. Quindi ogni uomo e ogni donna doveva sapere fare di tutto nei loro rispettivi campi (gli uomini addetti alla caccia e alla preparazione della strumentazione necessaria e le donne nell’allevamento dei figli, nella raccolta e nella costruzione delle capanne).
Sacerdoti e re, scribi e altri funzionari dell’organizzazione templare e palatina, guardiani, un piccolo esercito di professione, mercanti, artigiani a tempo pieno e la popolazione dei villaggi dove avveniva l’attività primaria agro-pastorale: è questo il quadro che si crea nella seconda parte del quarto millennio a.C. nella Bassa Mesopotamia. Questo quadro però è presentato con una notevole semplificazione perché, per esempio, in alcune epoche, buona parte della produzione agro-pastorale avveniva nelle aziende agricole dell’organizzazione templare e palatina e in quella dei funzionari a cui erano stati dati dei terreni in usufrutto, l’attività manifatturiera-artigianale avveniva in parte nei laboratori dell’organizzazione templare e/o palatina e in parte era distribuita nel territorio, il commercio su grandi distanze era svolta da mercanti (che agli inizi erano degli agenti di commercio, quindi dipendenti dell’organizzazione templare e/o palatina, mentre in seguito iniziarono a svolgere in proprio l’attività mercantile), ecc.
Una conseguenza e allo stesso tempo una causa di questa nuova realtà fu un imponente sviluppo tecnologico-organizzativo.
Questo sviluppo avvenne in tutti i campi: da quello della metallurgia connesso alla produzione di utensili a quello della manifattura della ceramica e dei tessuti, da quello delle costruzioni delle infrastrutture edili e agricole a quello della registrazione e della contabilizzazione dei vari aspetti dell’attività economica e degli scambi commerciali, ecc. ecc.
In seguito all’incremento demografico la comunità assumeva una struttura diversa e superiore rispetto a prima.
Il villaggio paleolitico, con in media circa 30-40 persone fra uomini, donne e bambini, era fatto da famiglie tutte uguali, con capanne tutte uguali, con una divisione del lavoro basata solamente sul sesso e sull’età. Gli uomini erano dediti alla caccia e alla produzione della strumentazione necessaria e le donne con i bambini alla raccolta e alla costruzione delle capanne. Non c’era gerarchia e i rapporti era paritari e “faccia a faccia”: tutti sapevano fare di tutto e conoscevano tutti. Le mansioni venivano apprese informalmente col continuo contatto fra adulti e ragazzi. Con la rivoluzione neolitica che portò all’esplosione demografica con l’adozione dell’agricoltura e della pastorizia, con la specializzazione di vari funzioni e lavori, con la rivoluzione urbana, questa indifferenziazione iniziò a venire meno.

 

e) La nascita dei valori dell’individuo, delle derive sociali, della gerarchia e delle derive culturali

Come è stato già detto, si scelgono principalmente i fenomeni dell’incremento demografico, della specializzazione del lavoro e dello sviluppo tecnologico-organizzativo come punti di vista per spiegare la nascita del pacchetto culturale “originalità-contrapposizione-superiorità-esclusione” (e dei valori più operativi in cui questo pacchetto si articola che sono quelli di individuo, di derive sociali, di gerarchia e di derive culturali). Questo pacchetto culturale rese possibile lo sviluppo delle forze produttive (in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, di risorse naturali e tecnologiche) risolvendo i problemi posti dal trasferimento della conoscenza-know how (informazione e apprendistato) fra i diversi individui, fra le diverse formazioni sociali e fra le diverse popolazioni-culture.

 

6) L’incubatrice della nuova cultura: la religione

Prima del neolitico c’era una sostanziale indifferenziazione sia all’interno del corpo sociale che in quello abitativo.
L’incremento demografico che si ebbe col neolitico investì fortemente i rapporti fra gli individui e rese necessaria una diversa modalità di risolvere i problemi della comunità. Nei primi periodi del neolitico i villaggi raggiunsero una popolazione di 250-500 individui. Sorgeva sempre più la necessità che nascessero delle figure con funzioni di intermediazione fra le varie istanze all’interno della comunità (per risolvere per esempio i problemi che intervenivano nella costruzione delle abitazioni, delle strutture di uso comune e per risolvere i nuovi problemi che si ponevano in gruppi umani sempre più numerosi e, soprattutto, differenziati al loro interno). Già con gruppi di 250-500 persone iniziarono a indebolirsi i forti vincoli sociali, in buona parte basati su rapporti diretti e su base parentale, su cui si basavano i gruppi di circa trenta-quaranta persone in media, fra uomini, donne e bambini, delle popolazioni di cacciatori-raccoglitori. I problemi non si potevano più risolvere discutendo la sera intorno al fuoco. Fu necessario creare nuovi legami fra gli individui; fu necessario ri-legarli, cioè legarli di nuovo, con modalità e a livelli diversi dai precedenti: questo fu uno dei compiti della religione (da re-ligio, che potrebbe derivare da ri-legare, nel senso di legare di nuovo, in riferimento a questa particolare funzione svolta). La religione ha la funzione principale di mettere in relazione l’uomo col sacro, cioè con qualcosa che va oltre la quotidianità, con qualcosa di straordinario, ma, soprattutto in passato, ha svolto anche altre e complesse funzioni. Quella di fare derivare “religione” da “re-ligio”, nel senso di ri-legare, facendo derivare il termine da questa ulteriore e particolare funzione svolta dalla religione è solamente una mia ipotesi, per cui non è suffragata da nessuno studioso (almeno non ho mai trovato una tale etimologia di religione). Il termine “Religione” ha etimologia latina (in altre lingue antiche la realtà che con esso viene indicata comporta l’utilizzo di altri termini che hanno altra etimologia) ma il fatto che lo si mette in relazione con la cultura arrivata a maturazione nella Bassa Mesopotamia nel VI millennio B.P. vuole solamente dire che è in relazione a realtà che hanno presentato le stesse problematiche. La religione era amministrata dai sacerdoti. Tali figure, in seguito ad ulteriori incrementi demografici, divennero specializzate e a tempo pieno ed ebbero bisogno di scribi e funzionari. Da qui nasceranno le “totalizzanti” organizzazioni templari che, oltre che mettere in relazione l’uomo col sacro, ebbero importanti altre funzioni come quella di elaborare nuovi rapporti fra le varie parti della popolazione, come quella di accumulare e redistribuire derrate alimentari, mobilitare la popolazione per la costruzione di canali, per la messa a coltura di nuove terre, per le guerre, di fare accettare la dura realtà a quelle parti della popolazione [come quella dei villaggi o che lavorava nelle aziende agricole templari e palatine, dove avveniva l’attività primaria agro-pastorale, e come i lavoratori delle manifatture metallurgiche, tessili e ceramiche] che subivano uno scambio ineguale con le parti privilegiate della popolazione, ecc. ecc. In seguito, in conseguenza di ulteriori incrementi dei vari aspetti della realtà, per una sorta di specializzazione, nasceranno le organizzazioni palatine (in aggiunta e, molte volte, in contrapposizione alle organizzazioni templari).
Sarà quindi compito della religione (e dell’organizzazione templare che l’amministrava) elaborare teoricamente e “amministrare” il pacchetto culturale “originalità-contrapposizione-superiorità-esclusione” (con i valori più operativi, in cui si articolano, di individuo, derive sociali, gerarchia e derive culturali) con cui rendere possibile lo sviluppo delle forze produttive risolvendo i problemi relativi al trasferimento della conoscenza-know how fra i diversi individui, fra le diverse formazioni sociali e fra le diverse popolazioni-culture, in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche: la creazione di questo nuovo pacchetto culturale renderà possibile la nuova realtà fatta di incremento demografico, di urbanizzazione, di sviluppo tecnologico-organizzativo, di specializzazione del lavoro, ecc. e, dialetticamente e contemporaneamente in continui rapporti di feed back, sarà la risposta alle esigenze di questa nuova realtà.

 

7) L’individuo, le derive sociali e la gerarchia

Con l’individuo, le derive sociali e la gerarchia siamo già nel campo della nuova cultura, quella cultura cioè che ha determinato la maturazione delle realtà che sono state trattate ma che nello stesso tempo sono la risposta ai problemi posti da queste nuove realtà. L’individuo, come centro di iniziativa e di interessi, prima solamente diversi ma in seguito anche contrapposti a quelli di altri individui, e le corporazioni, come centro di iniziativa e di interessi, prima solamente diversi e relativi alle particolari attività svolte ma in seguito anche contrapposti a quelli delle altre corporazioni, sono i valori che stanno alla base dello sviluppo delle prime civiltà. Sono questi i valori che, contemporaneamente determinati e determinanti, si imporranno nelle prime comunità urbane, circa 5-6 mila anni fa. Tutto ovviamente avvenne in un contesto che lo rese possibile e nei confronti del quale i valori culturali di “individuo” e di corporazione (“deriva sociale”) era la risposta ai problemi che aveva creato, come per esempio l’incremento demografico e i progressi tecnici in campo agricolo che resero possibile un surplus di derrate alimentari in grado di alimentare una parte della popolazione (gli artigiani, i sacerdoti, gli scribi, i mercanti e poi altri funzionari dell’organizzazione templare e palatina) non addetta alla diretta produzione di esse. La nascita delle diverse corporazioni e dei diversi individui, come centri di interessi inizialmente solamente diversi e in seguito in contrapposizione a quelli di altre corporazioni e di altri individui, è stato un processo molto lento e pieno di contraddizioni.
La gerarchia fu il valore che nacque contestualmente all’individuo e alle corporazioni (derive sociali) ed era una conseguenza e una risposta ai problemi posti dallo sviluppo del contesto in cui nacque: specificatamente la gerarchia era l’orizzonte, il contesto, in cui si situavano gli individui e le varie corporazioni, indicandone le diverse posizioni e i connessi diversi oneri e diritti nella distribuzione di beni e servizi. La nascita delle diverse corporazioni (derive sociali) e poi degli ”individui”, intesi in questo modo, fu un trauma all’interno delle prime comunità, in cui le differenze fra persone erano in precedenza connesse solamente all’età e al sesso, senza che ciò comportasse differenze nella ripartizione del cibo e di quanto altro necessario alla sussistenza. Tale nascita fu un trauma ma fu necessaria perché portò a un ulteriore sviluppo (sebbene non lineare e contradditorio) delle forze produttive e a un superiore soddisfacimento (sebbene non lineare e contradditorio) dei bisogni umani. Solamente con questo processo di differenziazione la comunità umana avrebbe assunto innumerevoli e diverse protuberanze e rientranze con cui adeguarsi alle innumerevoli e diverse rientranze e protuberanze della realtà esterna, che agli inizi è solamente ambientale ma in seguito anche umana. Solamente in questo modo ci sarebbe stato uno sviluppo delle forze produttive e un aumento del soddisfacimento dei bisogni umani, anche se tutto ciò è avvenuto in modo non lineare, con enormi sviluppi ma anche con forti arretramenti.
Ma non siamo ancora arrivati a individuare le cause ultime della differenziazione che avvenne all’interno delle comunità e che portarono alla nascita degli “individui” e delle corporazioni come centri di interessi “esclusivi”!
Non era possibile che ognuno potesse svolgere ruoli diversi senza che ciò comportasse una differenziazione nella ripartizione della ricchezza prodotta e, quindi, nel soddisfacimento dei bisogni? Evidentemente non fu possibile visto che le cose andarono nel modo visto. Ma quali furono le motivazioni?
Con gruppi di circa trenta-quaranta persone in media (quindi circa 8-10 maschi adulti addetti alla caccia e circa 8-10 femmine adulte addette alla raccolta) era possibile decidere sulle cose da fare, sulla loro organizzazione ed altro, discutendo la sera intorno al fuoco. I rapporti fra i vari individui erano diretti e l’attività lavorativa avveniva insieme. Infatti appena il numero delle persone interessate alla decisione o all’attività lavorativa andava oltre quei numeri si creava un problema. Quando si trattava infatti di rapportarsi ad altri gruppi allora si faceva riferimento solamente a una persona degli altri gruppi, sebbene questa persona non assumesse il ruolo di “capo” come si intende comunemente, ma fosse appunto un punto di riferimento. La stessa cosa avveniva in merito all’attività lavorativa: non era possibile discutere e decidere stando la sera intorno al fuoco se si è in centinaia di persone e che, in aggiunta, svolgono mansioni complesse e diverse fra di esse, così non era possibile svolgere un’attività lavorativa insieme e in modo solidale, senza gerarchia e in modo cumulativo, così come era stata sempre svolta, se si è in centinaia di persone che svolgono mansioni complesse e diverse fra di esse.
Inoltre fino a quando le mansioni svolte erano caratterizzata da una certa semplicità in modo che le mansioni potessero essere svolte da tutti e insieme (salva una suddivisione del lavoro in base al sesso e all’età) non si poneva nessun problema sul loro modo di vita.
L’incremento demografico, la specializzazione del lavoro e lo sviluppo tecnologico-organizzativo avutosi in seguito all’introduzione dell’agricoltura e all’allevamento sconvolsero il loro modo di vita. Non era più possibile decidere sui problemi comuni stando seduti la sera intorno al fuoco. Nel corpo sociale iniziarono a comparire dei ruoli diversi con funzione organizzativa, di regolazione dei rapporti fra i vari individui. I rapporti fra le persone iniziarono un lungo, sebbene lento, processo di spersonalizzazione e burocratizzazione.
L’incremento demografico rese possibile un ulteriore sviluppo tecnologico mediante la specializzazione nel lavoro con la creazione di artigiani a tempo pieno. Sarebbe stato necessario affinché si progredisse nella produzione di utensili, tessuti, vasellame e altro, che questa fosse svolta da artigiani a tempo pieno e che ci fosse altro “personale” addetto alla regolazione degli scambi fra la produzione artigianale e la produzione primaria agro-pastorale, a sovrintendere e organizzare la messa a coltura di nuovi terreni, la costruzione di canali e di strade, delle mura di difesa della città, dei magazzini, dei templi, dei palazzi reali, a mobilitare la popolazione nel caso di guerre, ecc. e alla giustificazione, con una apposita ideologia-religione, della nuova struttura “ingiusta” che si era creata.
Non è possibile per ogni individuo fare tutto e bene. Con la specializzazione delle attività all’interno della comunità fu possibile un notevole progresso tecnologico nella produzione dei vari utensili e nello svolgimento delle varie attività. Le mansioni acquisirono una notevole complessità tecnica e necessitarono di un lungo apprendistato per essere acquisite. Ma avvenne anche che (data la scarsità, volta per volta storicamente determinata, delle risorse naturali e tecnologiche) furono messe delle barriere all’ingresso di altre persone nello svolgimento delle mansioni suddette. Col procedere della storia la gestione esclusiva (nel senso che era esclusa ad altri) delle conoscenze e abilità tecnologiche si estese a determinati ceti. Si formarono delle corporazioni. La gestione corporativa delle professionalità connesse aveva una funzione positiva nel senso che solo una tale gestione esclusiva (cioè esclusa ad altri!) portava al progresso delle stesse professionalità. L’eliminazione di queste corporazioni avrebbe portato alla indifferenziazione nel corpo sociale, avrebbe comportato un forte rallentamento del progresso tecnologico, una diminuzione nel soddisfacimento dei bisogni: avrebbe portato alla situazione esistente precedentemente, avrebbe significato tornare indietro. Solamente condizioni di scarsa comunicazione fra gli individui, fra le varie corporazioni e fra di essi e tutto il resto della comunità, avrebbero portato all’innovazione tecnologica e allo sviluppo complessivo della società. Solamente in condizioni di scarsa comunicazione fra i vari individui e i vari ceti che costituiscono la società è possibile la gestione delle conoscenze-know how e il progresso tecnologico.
“Solo in condizioni di ipo-comunicazione una cultura produce qualcosa.” avrebbe detto Claude Levi-Strauss.
La motivazione specifica a questo impedimento nella gestione delle conoscenze-know how è la complessità delle mansioni. Si pensi all’attività scribale, che richiedeva un lungo apprendistato nelle scuole scribali per poter padroneggiare l’uso dei numerosissimi segni della scrittura ideografica; la stessa cosa valeva per molte specializzazioni lavorative, come per esempio la metallurgia, la tessitura, la produzione di ceramica e altre attività artigianali. Non è possibile la decisione collettiva su come svolgere le varie mansioni se fra le varie persone c’è differenza di livello di conoscenza-know how. Uno scriba non può confrontarsi con un artigiano specializzato nella metallurgia sul modo in cui redigere un contratto su una tavoletta di terracotta, un pastore non può confrontarsi con un fabbro sul modo in cui fondere e forgiare i metalli come pure un mercante non può confrontarsi con un pastore sul modo in cui produrre il formaggio, ecc.
Le motivazioni fondamentali alle scelte culturali che vennero a maturazione sei millenni fa in Bassa Mesopotamia (che a loro volta erano collegate, in continui e contemporanei rapporti dialettici di feed back, all’incremento demografico, alla specializzazione del lavoro, allo sviluppo tecnologico, alla produzione di un surplus di derrate alimentari, ecc.,) furono quindi i limiti nella gestione e nel progresso della conoscenza-know how che ci sarebbero stati in condizioni di indifferenziazione nella comunità-società.
Si è usata anche l’espressione “know how”, invece che solamente il concetto di “conoscenza”, visto l’aspetto operativo-pratico nell’attività svolta dai vari artigiani, commercianti, scribi e altri.
Non bisognava quindi intervenire nella conoscenza-know how in possesso di altri: farlo avrebbe portato all’indifferenziazione e quindi a un arretramento, a un blocco delle sviluppo delle forze produttive…e ciò sarebbe stato “peccato”, secondo la Bibbia sarebbe stato “il peccato originale”!!
Intervenire nelle conoscenza-know how degli altri avrebbe portato all’ira di Dio: si poteva ottenere la conoscenza-know how solamente per “rivelazione” e si poteva “rivelare” ad altri solamente se così fosse comandato da Dio…come dice chiaramente la seguente citazione:
“Io conosco il segreto del geroglifico e so come condurre il rituale d’offerta.
Ogni magia, l’ho imparata e niente m’è sfuggito.
Perché io sono un artista eccellente nella sua arte, eminente a causa di quello che sa.
Io so le proporzioni degli impasti [?], i pesi calcolati, come far basso o far risaltare, a seconda che esce o entra, per mettere un corpo al suo posto.
Conosco il movimento di una figura, l’andatura di una donna, le posizioni di un istante, il ritrarsi del prigioniero solitario, lo sguardo di un occhio verso l’altro, lo spavento del volto di chi è catturato, l’equilibrio del braccio di chi abbatte l’ippopotamo, il passo di chi corre.
So fare smalti e cose di metallo fuso, senza che il fuoco li bruci e senza che l’acqua li scolori.
Ciò non fu rivelato a nessuno eccetto a me solo e al mio proprio figlio maggiore, perché dio aveva comandato di fargli una rivelazione al proposito. (è mio il grassetto dell’ultima parte della citazione) (7)
Questa citazione presa da una stele del Medio Regno egizio (2040-1750 a.C.) mette in evidenza sia le forti limitazioni al trasferimento della conoscenza che la estrema complessità dell’attività artigianale (ma le due cose, come già messo in evidenza, sono strettamente connesse).
Ma la domanda da porsi ancora con maggiore precisione è: perché la differenziazione nelle professionalità avrebbe dovuto comportare anche una differenziazioni nei “diritti”, cioè un diverso livello di soddisfacimento dei bisogni dei vari individui e i vari ceti professionali? La risposta è sempre nei limiti di gestione della conoscenza- know how però uniti ad una condizione di scarsità, volta per volta storicamente determinata, di risorse naturali e tecnologiche.
A mano a mano che la società diventava complessa e le diverse mansioni acquisivano complessità tecnica non era possibile gestire la conoscenza e il know how in modo diffuso, in modo che tutti sapessero e facessero tutto. Era quindi necessario corporativizzarla con forti barriere all’ingresso, con la costituzione di vari centri di interessi diversi dotati di autonomia (quei centri che in seguito saranno appunto le corporazioni), in vario modo alleati e in contrapposizione fra di essi. Si stabilì una stretta connessione fra privilegi e progresso. Ogni individuo, ogni casta o corporazione, divenne così un centro di interessi prima diversi e poi involontariamente ma necessariamente (stante la endemica scarsità di risorse naturali e tecnologiche necessari alla sussistenza) contrapposti a quelli delle altre componenti della comunità.
Si potrebbe pensare che la contrapposizione di interessi fra le varie parti della comunità sia dovuta alla “natura umana”, nel senso che gli uomini sono così, che ogni uomo mira al proprio interesse personale anche se è contrapposto a quello di altri uomini. Penso che non esista una “natura umana” (almeno intesa in questo senso) e che la contrapposizione degli interessi all’interno della comunità-società sia dovuto, come già detto più volte, solamente ad un problema di gestione delle conoscenze e know how in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in un contesto di condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, di risorse naturali e tecnologiche. Affinché ci fosse sviluppo tecnologico fu necessario che le conoscenze fossero organizzate e differenziate per pacchetti in base al “settore produttivo” e alla corporazione che gestiva uno specifico settore produttivo e che aveva l’esclusiva delle conoscenze-know how (nel senso che erano escluse, private ad altri). Quando le comunità diventarono consistenti, buona parte delle conoscenze iniziarono a differenziarsi per attività e per ceti che a quelle attività erano legati. Solamente in questo modo le conoscenze diventavano gestibili e rendevano possibile lo sviluppo. Per decidere intorno a mansioni che sono divenute complesse è necessario prima un lungo apprendistato (si pensi alle scuole scribali). In questo modo ogni individuo e ogni corporazione assumeva delle caratteristiche proprie, con delle esigenze proprie, diverse quindi e, nello stesso tempo, stante la scarsità di risorse naturali e tecnologiche, in contrapposizione alle caratteristiche e alle esigenze del resto della società. Ogni corporazione faceva così valere il proprio peso nei rapporti di scambio di beni e servizi fra le varie parti della società. La scelta quindi della “legittimità” di interessi diversi e contrapposti fu una scelta culturale.
Tali valori ovviamente furono poi stabilizzati all’interno della cultura con i consueti modi culturali (per esempio con l’educazione all’interno della famiglia, con il culto, con i codici, ecc.).
Come è stato già detto, due mila anni dopo, fra la fine del tardo bronzo e la prima età del ferro (circa il XIII secolo a.C.), inizia la redazione dell’Antico Testamento. Il suo contenuto, oltre a essere connesso alle vicende del popolo di Israele, risponde a problematiche generali, preesistenti e diffuse in tutto il Medio Oriente antico. Infatti dice Mario Liverani nel suo saggio: “Ma i racconti biblici sono di norma elaborazioni storiografiche posteriori (e spesso molto posteriori) degli avvenimenti narrati, non solo basate su dati indiretti e incerti, ma soprattutto motivate da scopi precisi del loro tempo. Occorre perciò riassegnare i testi biblici all’epoca, agli ambienti politico-culturali, ai problemi che hanno portato alla loro redazione”.
“…tutto l’Antico Testamento contiene (stratificati e reimpiegati) materiali antichi che è possibile entro certi limiti ricostruire e ‘datare’ (riassegnandoli ad ambienti ed epoche più antichi)”.
L’Antico Testamento mise l’esclusività della conoscenza del bene e del male nelle mani solamente del Signore Dio: Eva e Adamo che vi contravvennero commisero quello che fu definito peccato originale e per questo furono cacciati via dal paradiso terrestre! Ma la conoscenza si sarebbe dovuta diffondere e furono escogitati diversi modi per ovviare all’”esclusiva” divina della conoscenza del bene e del male. Molti mestieri si trasmettevano, come un segreto, di padre in figlio, per altri c’era una “riserva” destinata ai figli dei vari componenti dell’organizzazione palatina e templare, ecc….e tutto ciò perché cosi voleva Dio, come si vede sulla scritta riportata sulla stele di Irtisen, che appena sopra è stata interamente citata.

 


1) Claude Levi-Stauss, Mito e significato, Il Saggiatore, Milano 1980, Prima edizione NET marzo 2002, pag. 34
2) Mario Liverani Antico oriente – Storia società economia, 1988-2006, Editori Laterza, pag. 662;
3) Idem pag. 690
4) Claude Levi-Stauss, Mito e significato, Il Saggiatore, Milano 1980, Prima edizione NET marzo 2002, pag. 34
5) Per la precisione questo passo della Bibbia parla anche della gerarchia e della sua “sacralità” (rapporto fra Creatore e creature), del passaggio dall’economia basata sulla caccia e raccolta all’economia basata sulla coltivazione e pastorizia, del rapporto fra uomo e donna…e di tante altre cose!
6) Luca e Francesco Cavalli Sforza, Chi siamo – La storia della diversità umana, Oscar Saggi Mondatori, 1995, pagg. 199 e 200;
7) Edda Bresciani – stele lasciata da Irtisen, specialista in lavori con metalli smaltati e in oggetti ageminati [Antico Egitto, Medio Regno (2040-1750 a.C.)] in La storia 1 Dalla preistoria all’antico Egitto, Mondadori, pag. 723

 

 

 

4) La nascita delle derive culturali

Perché una cultura sia veramente se stessa e produca qualcosa, essa e i suoi membri devono essere convinti
della propria originalità e persino in una certa misura,
della propria superiorità rispetto agli altri.
Claude Levi-Stauss, Mito e significato (1)

Le varie popolazioni acquisiscono, sia per sviluppi interni che per contatto con diversi ambienti ecologici, determinati “pacchetti” di caratteri culturali che, sebbene non statici ma soggetti a mutamenti, li contraddistinguono.
Ogni popolazione è contraddistinta da un originale pacchetto culturale.
Per tutto il paleolitico e per buona parte del neolitico (per la precisione fino alla metà del terzo millennio a.C., cioè verso il 25° secolo a.C.) l’originalità delle varie popolazioni-culture era solamente un dato oggettivo, fattuale, e, quindi, non comportò anche la superiorità, la contrapposizione e l’esclusione nei confronti delle altre popolazioni-culture.
Questo perché gli spazi erano immensi e la possibilità che le varie popolazioni entrassero in contatto erano praticamente inesistenti. E’ vero che nel primo neolitico, ma anche nel paleolitico superiore (quello immediatamente precedente il neolitico), esistevano i commerci su lunghe distanze. Questi commerci però, oltre a recare reciproci vantaggi alle popolazioni che li intrattenevano, erano molto marginali e in nessun modo comportavano una “confrontation” fra diverse popolazioni-culture.
Ma la Bassa Mesopotamia nella seconda metà del IV millennio a.C. (con la città di Uruk come centro più importante) aveva bisogno, per sviluppare le sue potenzialità, di materiali non disponibili sul posto, come stagno e rame (dalla cui lega si ottiene il bronzo), pietre dure, legname, pietre preziose e semi-preziose, ecc., per cui era costretta ad importarla da altre zone come l’Anatolia, l’area siro-palestinese, l’Afganistan, la penisola arabica e gli altopiani indo-iranici.
Siamo arrivati al punto: quei modelli culturali furono elaborati per rendere possibili i rapporti (oltre che fra diversi individui e diverse formazioni sociali) fra le varie popolazioni-culture che insistevano su quei territori e le popolazioni-culture che insistevano sui territori dove esistevano le materie prime non disponibili in Bassa Mesopotamia.
Bisogna dire che nella seconda parte del IV millennio a.C. si misero solamente le basi per la vera e propria “confrontation” fra le varie popolazioni, che avverrà invece nel millennio successivo e che sarà caratterizzata da guerre, distruzioni delle città nemiche e delle infrastrutture, dalla spoliazione delle loro ricchezze, dalle deportazioni delle popolazioni sconfitte per farne manodopera servile, da stermini, ecc.
Nella seconda parte del VI millennio before present in Bassa Mesopotamia (in relazione ai rapporti fra questa area e le altre aree) fu elaborata solamente la prima parte del pacchetto culturale “originalità-superiorità-contrapposizione-esclusione”: furono elaborati solamente i valori di originalità e superiorità! (si ritiene molto esplicativa la citazione di Claude Levi-Strauss, riportata sotto il titolo di questo capitolo!).

1) Claude Levi-Stauss, Mito e significato, Il Saggiatore, Milano 1980, Prima edizione NET marzo 2002, pag. 34

 

a) Le esportazioni invisibili

Leggendo attentamente ciò che Mario Liverani dice a proposito delle “esportazioni invisibili” si notano tutti i modelli culturali che sono alla base della storia dei millenni successivi fino ai nostri giorni: si spiegano quindi anche gli attuali particolari rapporti, gli attuali particolari interscambi commerciali, di tipo neo-coloniale, esistenti fra le diverse nazioni e le diverse aree geopolitiche.
Dice Mario Liverani a proposito degli scambi commerciali esistenti fra le diverse aree del vicino Antico oriente:
“Si è già detto che le merci economicamente trasportabili su lunga distanza devono esser abbastanza preziose per unità di ingombro, e che esportazioni di cereali sono da escludere, ogni distretto dovendo vivere sostanzialmente sulle proprie risorse alimentari. Qualche equivoco a tale riguardo è derivato dall’incrocio fra certi silenzi della documentazione archeologica e certe affermazioni di testi letterari posteriori (ma riferentesi al commercio proto-storico). Da un lato le importazioni (metalli e pietre dure) sono assai meglio rappresentate nella deposizione archeologica che non le esportazioni (sia in quanto stoffe deperibili, sia in quanto disperse su un territorio più vasto). Il problema delle “esportazioni invisibili” è stato spesso risolto nel senso che si esportavano prodotti alimentari, col conforto dei testi (specialmente sul commercio Uruk-Aratta) (1) che presentano lunghe carovane di asini che partono carichi di granaglie. In realtà le esportazioni sono “invisibili” sia perché di natura deperibile, sia perché proporzionalmente modeste, sia perché spesso “censurate” dalla ideologia dei testi. La modestia degli esborsi configura una tipica situazione di “scambio ineguale”, in cui il partner economicamente e tecnologicamente ed organizzativamente più avanzato ricava ingenti quantitativi di materie prime contro la cessione di modesti quantitativi di prodotti artigianali e di paccottiglia, contando sulla diversa scala di valori in uso alle due estremità dello scambio.
Quanto alle fonti scritte, esse di norma sorvolano sulle esportazioni perché le considerano ideologicamente irrilevanti. Secondo l’ideologia proto-statale le materie prime sono procacciate non per la cessione di un controvalore, ma per il prestigio e la potenza del dio cittadino e del re che ne è il rappresentante terreno e il gestore economico. Le regioni periferiche, poco abitate ma ricche di materiali, hanno la funzione di fornire i loro specifici apporti al funzionamento del paese centrale (e del suo centro simbolico, il tempio del dio cittadino). Riconoscere contraccambi di valore economico più o meno equivalente implicherebbe riconoscere l’esistenza di altri centri politici analoghi a quello centrale, significherebbe sovvertire l’intera struttura centralizzata dell’universo, la preminenza del dio cittadino, la contrapposizione fra mondo civile e mondo barbaro. In questo contesto, l’unica esportazione ideologicamente compatibile e anzi propagandabile è il cibo, perché questo serve a “far vivere” coloro che lo ricevono e dunque li immette nel grande sistema redistributivo e assistenziale centrato sul tempio cittadino.” (2)
Ogni fatto storico richiede un modello culturale in base a cui svolgersi, così come ogni scambio commerciale, ogni transazione (come si dice in linguaggio giuridico) richiede un modello di rapporti fra i diversi contraenti in base a cui svolgersi.
Come si diceva, nella seconda parte del IV millennio a.C. furono elaborati i valori culturali di originalità e superiorità per rendere possibile i rapporti fra varie popolazioni, risolvendo il problema del trasferimento della conoscenza-know how (informazione-apprendistato) in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche. Era il primo modo di rapportarsi fra diverse popolazioni, di prendere le prime misure, su cui poi basare ulteriori rapporti.
Le diverse aree si scambiavano prodotti contenenti diverse quantità e qualità di conoscenza e know how. I rapporti culturali esistenti fra le diverse popolazioni, le considerazioni che avevano di sé e le considerazioni che avevano le une delle altre, dipendevano dal diverso contenuto di conoscenza e know how esistente nei prodotti scambiati. Solamente nel millennio successivo sarà interamente elaborato il pacchetto culturale “originalità-superiorità-contrapposizione-esclusione” e si avrà una vera e propria “confrontation” fra le varie popolazioni-culture: essa sarà caratterizzata da guerre, da distruzioni delle città nemiche e delle infrastrutture, dalla spoliazione delle loro ricchezze, dalle deportazioni delle popolazioni sconfitte per farne manodopera servile, da stermini, ecc.

1) Uruk è disposta nella parte meridionale della pianura alluvionale mesopotamica (attuale parte meridionale dell’Iraq) mentre Aratta è disposta nella parte sud-orientale dell’attuale Iran;
2) Mario Liverani, Antico oriente – Storia società economia, Laterza, Roma-Bari, 2006, pagg. 144-145)

 

Foto 6 L’antico Vicino Oriente nel terzo millennio a.C

 

b) La guerra per l’acqua

Il fenomeno delle derive culturali, cioè del fenomeno per cui all’originalità e alla superiorità di una popolazione-cultura verso le altre si aggiungono anche la contrapposizione e l’esclusione delle altre popolazioni-culture, sorge solamente quando, in seguito ai forti incrementi demografici avutisi con il neolitico (che si concretizza nella scarsità, volte per volta storicamente determinata, delle risorse naturali e tecnologiche), aumenteranno le occasioni, per le varie popolazioni-culture, di addivenire a una “confrontation” fra di esse. In precedenza, quando gli spazi erano immensi era difficile che dei gruppi umani arrivassero in contatto.
A un certo punto però gli spazi diventano ristretti nel senso che, si ripete ancora, volta per volta e storicamente determinate, si creeranno condizioni di scarsità di risorse naturali e tecnologiche.
Il momento in cui nascerà completamente il valore di “deriva culturale” (e si potrà parlare di originalità-superiorità-contrapposizione-esclusione anche per le diverse popolazioni-culture) sarà circa la metà del terzo millennio a.C., quando le città-stato della civiltà sumera entreranno in conflitto fra di esse.
Nella prima metà del terzo millennio a.C. (3.000-2.500 a.C.) la pianura alluvionale della bassa Mesopotamia ospitava una popolazione di una consistenza enormemente superiore ai periodi precedenti. Gli abitanti, chiamati Sumeri, erano organizzati sul territorio in numerose città-Stato di grandezza quasi equivalente, come Uruk, Lagash, Umma, Ur, Kish e altre ancora. Il territorio delle singole città aveva approssimativamente una estensione di una trentina di Km di diametro, erano distanti alcune decine di km l’una dall’altra e la popolazione di ogni città-stato era di alcune decine di migliaia di abitanti, distribuiti in parte nella città e in parte nel territorio circostante.
Ciò che caratterizzava il territorio su cui insistevano le varie città-Stato era la rete dei canali. L’agricoltura nella bassa Mesopotamia era irrigua e si basava sulle colture orticole, i cereali (soprattutto grano e orzo), i legumi e la palma da dattero. Nelle intercapedini fra i vari territori irrigati veniva praticata la pastorizia. Il territorio irriguo era formato da tanti campi a forma rettangolare molto allungata con il lato corto che si affacciava sul canale.
Fu l’agricoltura irrigua che, accoppiata all’uso dell’aratro seminatore a trazione animale, rese possibile, nella coltivazione dei cereali, rendimenti con un rapporto anche di 25-30:1 fra prodotto e semente. Fu questa l’energia che rese possibile il forte incremento demografico e l’imponente urbanizzazione nella bassa Mesopotamia nel terzo millennio a.C.
La consistente presenza demografica (che si esprimeva ovviamente nella scarsità, volta per volta e storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche) fu sicuramente la base per le frizioni che ben presto si creeranno fra le varie città-Stato. Ma la motivazione più immediata, molte volte, fu l’accesso all’acqua a fini irrigui con la creazione dei canali. La creazione di canali probabilmente favoriva i territori a monte del corso del fiume e danneggiava quelli a valle.
Probabilmente fu un problema di costruzione di canali, di accesso all’acqua e di sistemazione organica di tutto il territorio della bassa Mesopotamia (il paese di Sumer) che, verso la metà del terzo millennio a.C., portò il re Eannatum di Lagash a fare guerra ad Umma e ad una coalizione di altre città-Stato della regione. Lagash uscì vittoriosa da questo scontro e rese Umma sua tributaria (nel senso che quest’ultima dovette pagare periodicamente dei tributi a favore della stessa Lagash) e sistemò in modo organico tutto il territorio della bassa Mesopotamia.
Lagash e Umma erano situate fra il Tigri e L’Eufrate nel loro basso corso. La distanza fra le due città era di qualche decina di Km. Il territorio di Umma, in relazione al corso dei due fiumi, era situato a monte rispetto a quello di Lagash, per cui è da presupporre che furono le iniziative di Umma di costruzione di nuovi canali a provocare la reazione di Lagash, che si vedeva appunto danneggiata dalla costruzione di quei canali. A quei tempi le dispute territoriali venivano ideologizzate come dispute tra divinità e nell’interpretazione della loro volontà da parte delle diverse città-stato. Ovviamente, a posteriori, la volontà vera delle divinità era quella del vincitore e quindi giustificava i suoi interessi territoriali. Bisogna anche dire che furono sperimentate delle tecniche laiche come, in questo caso, un precedente arbitrato del re Mesilim di Kish per dirimere le dispute territoriali fra le due città-stato in questione.
Eannatum, a ricordo della vittoria, fece erigere un monumento a cui è stato dato il nome di Stele degli avvoltoi (i diversi frammenti sono conservati al museo del Louvre a Parigi). Le scene raffigurate nei bassorilievi esprimono momenti della guerra vittoriosa mentre nelle scritte cuneiformi (oltre a celebrare la vittoria di Eannatum, il “giusto”, il” potente”, il “saggio”) viene, tra l’altro, detto che :” Eannatum gettò la grande rete di battaglia di Enlil sull’uomo di Umma e su di essa lo fece giurare. L’uomo di Umma a Eannatum fece giuramento: ‘Per la vita di Enlil, signore del cielo e della terra! Io posso sfruttare il campo di Ningirsu come prestito. Io non…il canale di irrigazione! Mai io violerò il territorio di Nirgirsu. Io non cambierò il corso dei suoi fossati e canali di irrigazione. Io non sposterò la sua stele! Se mai io trasgredissi (questo giuramento) possa la grande rete di battaglia di Enlil, re del cielo e della terra, sulla quale io ho giurato, scendere su Umma’.” (1) (2)

1) per la comprensione del testo è necessario sapere che: Enlil è uno degli dèi supremi di tutti i Sumeri, ha caratteri di dio creatore, è dio del destino, stabilisce le sorti del mondo e, nella sua volontà, le varie città-stato e i suoi regnanti cercano la legittimazione delle loro posizioni di potere, comunque acquisite; Ningirsu invece è una divinità di Lagash; i puntini a metà della citazione indicano la mancanza di uno o più segni, dovuta allo stato di conservazione del monumento.
2) Mario Liverani, Antico oriente – Storia società economia, Laterza, Roma-Bari, 2006, pag. 195

Documento

1) La stele degli avvoltoi https://it.wikipedia.org/wiki/Stele_degli_avvoltoi

Descrizione

Il monumento completo, come è stato ricostruito ed esposto al Louvre, è alto 1.80 m, largo 1.30 m, spesso 11 cm, con la cima arrotondata. Era costituito da un unico blocco di calcare con rilievi scolpiti da entrambi i lati[3]. La stele può essere considerata propria dell’usanza tra la metà e la fine del terzo millennio a.C. in Mesopotamia di celebrare le vittorie militari con monumenti in pietra. Un monumento simile è la stele della vittoria di Naram-Sin, realizzata durante il periodo Accadico, successivo al periodo protodinastico III[4].
SONY DSC

Foto 7 ricostruzione della Stele degli avvoltoi presso il museo del Louvre; lato mitologico a sin. e storico a dx

I due lati della stele mostrano distintamente scene differenti e sono stati interpretati come il lato mitologico e il lato storico[2].
Lato Mitologico
Il lato mitologico è diviso in solo due registri. Il registro superiore, che occupa i due terzi dell’altezza, mostra una grande figura maschile, identificabile come il dio Ningirsu[5], che porta nella mano destra uno scettro e nella sinistra l’Anzû, un essere mitologico simile ad un grifone con zampe leonine, simbolo del potere del dio, il quale sostiene, con i suoi artigli, una larga rete che intrappola i corpi nudi di molti uomini. Questi sono i nemici di Lagash, catturati durante la battaglia e offerti a Ningirsu. Quest’ultimo, con la mano destra, colpisce, sulla testa con una mazza, di uno di loro che cerca di uscire dalla rete, probabilmente lo sconfitto re di Umma[6]. Dietro Ningirsu si erge una piccola figura femminile che indossa una fascia per capelli con delle corna e delle stecche protrudenti dalle spalle. Il suo aspetto consente di identificarla come la dea Ninhursag[6], madre del dio Ningirsu e che gli consegna l’Anzû. Il registro inferiore, più piccolo, sebbene in pessime condizioni, in base a confronti con rappresentazioni contemporanee, potrebbe figurare il dio Ningirsu su una biga probabilmente trainata da animali mitologici, non visibili nel frammento rimasto[3]

Lato Storico

Il lato storico è diviso in quattro registri orizzontali.
Del registro superiore fa parte il frammento che mostra degli avvoltoi, dai quali deriva il nome della stele, che aleggiano su resti umani asportandone gli occhi e le teste. Lo spettatore è portato a pensare che questi resti appartengano ai soldati della città nemica di Umma, sconfitta dal re Eannatum di Lagash, che fece erigere la stele. Un secondo frammento è più completo e mostra le truppe di Lagash che avanzano, armate di lance e scudi, calpestando i corpi dei loro nemici, con il loro re (ensi) Eannatum alla testa. Nel terzo frammento di questo registro sono rappresentati i nemici già sconfitti. Questi, cioè i soldati della città di Umma, sono rappresentati nudi, legati, ammucchiati l’uno sull’altro. C’è dunque una profonda dicotomia, nella stele, fra il modo in cui sono rappresentate le potenti truppe di Eannatum, ben organizzate ed ordinate, in cui tutti i soldati sono esattamente uguali, schierati in modo preciso, e quello dei soldati di Umma che appaiono più piccoli, sconfitti e disomogenei fra loro. Eannatum è riconoscibile per il suo particolare copricapo, caratteristico dei sovrani di questo periodo[6]. Nel museo di Baghdad è conservata una copia di questo tipo di copricapo, appartenuta al re Meskiagnunna di Ur, dello stesso periodo; si tratta di un elmo d’oro, che riproduce i capelli e le orecchie del re[6].

Foto 8  1° frammento della Stele degli Avvoltoi

Foto 9  2° frammento della Stele degli Avvoltoi

Considerazioni sul documento

Come già detto in precedenza, il contenuto dell’Antico Testamento, oltre a essere connesso alle vicende del popolo di Israele, risponde a problematiche generali, preesistenti e diffuse in tutto il Medio Oriente antico.
Nella seguente citazione dall’Antico Testamento si respira la stessa aria, si esprimono gli stessi valori contenuti nella Stele degli Avvoltoi:
“1 Quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nel paese che vai a prendere in possesso e ne avrà scacciate davanti a te molte nazioni: gli Hittiti, i Gergesei, gli Amorrei, i Perizziti, gli Evei, i Cananei e i Gebusei, sette nazioni più grandi e potenti di te, 2 quando il Signore tuo Dio le avrà messe in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le voterai allo sterminio; non farai con esse alleanza né farai loro grazia. 3 Non ti imparenterai con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli, 4 perché allontanerebbero i tuoi figli dal seguire me, per farli servire a dèi stranieri, e l’ira del Signore si accenderebbe contro di voi e ben presto vi distruggerebbe.
(Bibbia, Vecchio Testamento, Deuteronomio 7, 1-4, Versione C.E.I./Gerusalemme)
Questi valori non sono esclusiva di alcune popolazioni-culture ma sono i valori di tutte le popolazioni-culture: “Perché una cultura sia veramente se stessa e produca qualcosa, essa e i suoi membri devono essere convinti della propria originalità e persino, in certa misura, della propria superiorità rispetto agli altri.” come diceva Claude Levi-Strauss. Ovviamente alla originalità e superiorità (di una popolazione-cultura rispetto alle altre) segue, visto le condizioni di scarsità, volte per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche, prima la contrapposizione e poi l’esclusione delle altre popolazioni-culture.

 

Foto 10 Bassorilievo che rappresenta il saccheggio e la distruzione della città di Susa da parte degli Assiri

 

5) Una breve conclusione

Questo lavoro ha cercato di dimostrare come il processo storico iniziato nel VI millennio Before present nella Bassa Mesopotamia, ma in seguito fortemente diversificatosi a seconda dei luoghi e dei tempi in cui si è svolto, ha seguito nel suo svolgersi i modelli culturali che furono elaborati contestualmente al suo sorgere in continui e contemporanei processi dialettici di feed back: questi nuovi modelli culturali (cioè nuovi rapporti fra gli individui, fra le varie formazioni sociali e fra le varie popolazioni-culture) resero possibile e contemporaneamente rispondevano alle esigenze di quella realtà. Questi nuovi modelli culturali resero possibile lo sviluppo delle forze produttive rendendo possibile (in presenza di molteplici e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche) la risoluzione dei problemi posti dal trasferimento della conoscenza-know how (informazione-apprendistato) fra i vari individui, fra le varie formazioni sociali e fra le varie popolazioni-culture.

…ma siamo arrivati al capolinea!!

Il segno che ha caratterizzato la storia per millenni, nonostante temporanei arretramenti e battute d’arresto, è stato quello della crescita. Le condizioni di scarsità delle risorse naturali e tecnologiche erano solo storicamente determinate: non erano quindi fisicamente determinate! Eventuali limiti alla crescita erano storici e non fisici.
E’ stato così per tutta la storia, e ancora di più negli anni sessanta del secolo scorso, quando ”L’uomo aveva la sensazione di avere finalmente messo le mani su una fonte di energia pressoché illimitata, che gli avrebbe permesso di trasformare a piacere la propria vita. Sapientemente alimentata da taluni interessi, l’ubriacatura del petrolio a volontà e a prezzi abbordabili faceva vedere la vita in rosa. La società dei consumi sembrava un obiettivo facile da raggiungere, rispondente alle aspirazioni di tutti. L’economia era in fase di espansione e la sua crescita sembrava assicurata per decenni, a tassi annui molto elevati. Ci si diceva che questo sviluppo, alla portata di un gran numero di paesi, avrebbe permesso ai più ricchi di soddisfare le proprie domande interne, pur contribuendo sostanzialmente al miglioramento della condizione dei paesi più poveri. L’appetito di una abbondanza materiale sempre maggiore poteva dunque essere soddisfatto senza pregiudicare il doveroso aiuto ai bisognosi. La cornucopia della tecnologia sembrava d’altra parte inesauribile, pronta a sfornare, una dopo l’altra, soluzioni miracolose a tutti i problemi umani.”
……
Tali opinioni si fondavano sulla considerazione quasi esclusiva dei fattori positivi. Le nostre generazioni possiedono in effetti una ricchezza e una varietà di risorse intellettuali e pratiche che, in teoria, possono assicurare l’espansione e lo sviluppo materiale dell’umanità ancora per lunghi anni. Si tratta di un patrimonio immenso e sempre crescente di informazioni, di conoscenze scientifiche, di competenze tecnologiche, di talenti manageriali, di esperienze di gestione, di attrezzature produttive e di mezzi finanziari, quale i nostri padri non potevano neppure sognare.

D’altra parte di era convinti che le risorse naturali che la buona e vecchia Terra è in condizioni di dispensare alle iniziative umane erano ben lungi dall’essere esaurite, in quanto potevano essere moltiplicate o sostituite grazie a soluzioni o espedienti tecnologici.
…..
Ci si rifiutava di credere che nei nostri tempi la conclusione potesse essere diversa, e non ci si poneva neppure la questione se l’intero sistema umano potesse un giorno precipitare nel disastro. Una simile ipotesi pareva assurda. Il destino dell’uomo non poteva essere che quello di progredire.” (1)
E ancora : ” La tesi degli economisti tradizionali e di quelli di orientamento marxista, comunque, è che il potere della tecnologia è illimitato. Saremo sempre in grado non solo di trovare un sostitutivo di una risorsa che sia diventata scarsa, ma anche di accrescere la produttività di qualunque tipo di energia o materiale. Qualora dovessimo esaurire una certa risorsa, escogiteremo sempre qualcosa, proprio come abbiamo sempre fatto sin dai tempi di Pericle. Perciò nulla potrebbe impedirci il cammino verso un’esistenza sempre più felice della specie umana.” (2)

Negli ultimi decenni del XX secolo la storia cambia di segno! (3)

Nel 1971 viene pubblicato The Entropy Law and the Economic Process, la principale opera di Nicholas Georgescu-Roegen.
Per questo scienziato (citazioni prese da Wikipedia alla voce Nicholas Georgescu-Roegen al link  https://it.wikipedia.org/wiki/Nicholas_Georgescu-Roegen ) qualsiasi processo economico che produce merci materiali diminuisce la disponibilità di energia nel futuro e quindi la possibilità futura di produrre altre merci e cose materiali.
Inoltre, nel processo economico anche la materia si degrada (“matter matters, too”), ovvero diminuisce tendenzialmente la sua possibilità di essere usata in future attività economiche: una volta disperse nell’ambiente le materie prime precedentemente concentrate in giacimenti nel sottosuolo, possono essere reimpiegate nel ciclo economico solo in misura molto minore ed a prezzo di un alto dispendio di energia.
Materia ed energia, quindi, entrano nel processo economico con un grado di entropia relativamente bassa e ne escono con un’entropia più alta. Da ciò deriva la necessità di ripensare radicalmente la scienza economica, rendendola capace di incorporare il principio dell’entropia e in generale i vincoli ecologici.
Nel 1972 viene pubblicato il Rapporto sui limiti dello sviluppo (dal libro The limits to growth, I limiti dello sviluppo, di Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers e Williams Behrens III) (si veda al link https://it.wikipedia.org/wiki/Rapporto_sui_limiti_dello_sviluppo )
Il rapporto, che fu commissionato dal Club di Roma, predisse, nel caso le tendenze allora esistenti fossero rimaste inalterate, le conseguenze della continua crescita della popolazione, della produzione agricola e industriale e del connesso inquinamento sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana: entro i successivi cento anni si sarebbe avuto un crollo improvviso della popolazione umana, della produzione industriale e agricola e un degrado delle condizioni di vita dell’umanità.
Studi successivi al Rapporto sui limiti dello sviluppo del 1972 hanno confermato le previsioni allora fatte anche se hanno spostato l’importanza dall’esaurimento delle risorse naturali alla degradazione dell’ambiente, soprattutto in merito ai cambiamenti climatici.
(sempre da https://it.wikipedia.org/wiki/Rapporto_sui_limiti_dello_sviluppo )
Nel 1992 è stato pubblicato un primo aggiornamento del Rapporto, col titolo Beyond the Limits (oltre i limiti), nel quale si sosteneva che erano già stati superati i limiti della “capacità di carico” del pianeta.
Un secondo aggiornamento, dal titolo Limits to Growth: The 30-Year Update è stato pubblicato il 1º giugno 2004 dalla Chelsea Green Publishing Company. In questa versione, Donella Meadows, Jørgen Randers e Dennis Meadows hanno aggiornato e integrato la versione originale, spostando l’accento dall’esaurimento delle risorse alla degradazione dell’ambiente. Nel 2008 Graham Turner, del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO) Australiano, ha pubblicato una ricerca intitolata «Un paragone tra I limiti dello sviluppo e 30 anni di dati reali» in cui ha confrontato i dati degli ultimi 30 anni con le previsioni effettuate nel 1972, concludendo che i mutamenti nella produzione industriale e agricola, nella popolazione e nell’inquinamento effettivamente avvenuti sono coerenti con le previsioni del 1972 di un collasso economico nel XXI secolo.
Il periodo in cui viviamo, iniziato negli anni settanta del secolo scorso, potrebbe considerarsi una nuova età assiale della storia umana: è necessario che la cultura si basi su nuovi valori, diversi da quelli che sono arrivati a maturazione nella Bassa Mesopotamia nella seconda metà del sesto millennio before present e che hanno “agito” l’umanità finora. Mentre i valori che finora ci hanno “agito” hanno reso possibile e contemporaneamente hanno risposto alle esigenze della crescita, i nuovi valori contemporaneamente creeranno e risponderanno alle esigenze della decrescita! Se la cultura umana non porterà e contemporaneamente non sarà improntata alla decrescita allora l’umanità andrà di sicuro incontro alla catastrofe. (4)
Ma per fare dei discorsi sui nuovi valori culturali che dovranno “agire” in futuro l’umanità, come è stato già detto, è stato fondamentale conoscere la cultura che, arrivata a maturazione nella Bassa Mesopotamia nella seconda metà del quarto millennio a.C., è la cultura in cui la storia antica e moderna affonda le radici, è la cultura che tutt’ora ci “agisce”: è stato fondamentale conoscere questa cultura per valutarla criticamente, per sapere chi siamo, e metterla in relazione dialettica all’inevitabile “progetto di decrescita” che ci aspetta in futuro.
Questo lavoro, si ripete, ha inteso analizzare i valori fondamentali di questa cultura, che sono i valori di originalità ed esclusione e quelli più operativi, in cui essi si articolano, di individuo, di derive sociali, di gerarchia e di derive culturali.
Questi nuovi valori culturali (in una realtà socio-economica contraddistinta da molteplici e complesse funzioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche) hanno reso possibile lo sviluppo delle forze produttive risolvendo i problemi posti dal trasferimento della conoscenza-know-how fra i vari individui, fra le varie formazioni sociali e fra le varie popolazioni-culture: solamente l’elaborazione di questi nuovi valori culturali rese possibile (nello stesso tempo rispondendo alle sue esigenze) quel processo storico arrivato a maturazione nella Bassa Mesopotamia nella seconda parte del IV millennio a.C. e, pur nella loro specificità e variabilità, ha reso possibile tutti i processi storici successivi.

 


1) Aurelio Peccei Cento pagine per l’avvenire” pagg. 58-59 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Milano 1981
2) Energia e miti economici Conferenza alla Yale University del 1975 di Nicholas Georgescu-Roegen – documento reperito sul WEB
3) Si veda il mio “Gli anni settanta del XX secolo-una nuova età assiale” al link http://www.decrescita.com/news/gli-anni-settanta-xx-secolo/
4) Sulle nuove prospettive che si pongono di fronte all’umanità si veda il mio http://www.decrescita.com/news/la-decrescita-nello-spaziotempo/

 

6)  La 5ft Generation: uno sguardo sul futuro

 

“Il rischio del nostro tempo è quello che potremmo definire di iper-comunicazione, cioè la tendenza a sapere perfettamente, in un dato punto della terra, quel che succede in tutte le altre parti del globo.”

Claude Levi-Strauss, Mito e significato, NET Nuove Edizioni Tascabili il Saggiatore, 2002, pag. 34                                        

 

 

In questo lavoro si intende solamente accennare alla prospettiva futura per l’umanità e che si chiama  5ft Generation nelle reti di telecomunicazioni.

Come si vedrà il problema è sempre quello dello sviluppo delle forze produttive (in questo nuovo contesto si parla, per esempio, di Industria 4.0) e delle vita umana in generale, risolvendo il grosso problema del trasferimento della conoscenza-know how in presenza di numerose e complesse mansioni lavorative e in condizioni di scarsità, volta per volta storicamente determinate, delle risorse naturali e tecnologiche.
Cosa si intende per 5ft Generation?

Scrive Filippo Vendrame in un suo articolo dal titolo “Speciale 5G, il sistema nervoso globale” e raggiungibile all’indirizzo

https://www.webnews.it/speciale/5g/

“Il 5G è pensato come una rivoluzione silenziosa che entrerà ovunque nelle vite delle persone, un nuovo sistema nervoso mondiale che andrà a innervare ogni casa e ogni strada, ogni device e ogni azione della quotidianità. Non è solamente una questione di banda, perché ci sarà un netto miglioramento anche dal punto di vista dell’efficienza delle comunicazioni. Con l’Internet of Things, ogni dispositivo sarà interconnesso e andrà alla ricerca di sinergie con altri dispositivi; grazie al 5G, inoltre, ogni entità IoT avrà minori consumi e una durata delle batterie moltiplicata per 10 volte, ampliando quindi pesantemente l’autonomia e le opportunità conseguenti.
Vi saranno miliardi di oggetti collegati alla rete in contemporanea in tutto il mondo: gli attuali network non sarebbero certamente in grado di gestire una così grande mole di dispositivi connessi, ma il 5G lo potrà fare garantendo, sempre, alta velocità e tempi di risposta ridottissimi grazie alla possibilità di utilizzare sempre la frequenza migliore per la trasmissione. La latenza sarà infatti in questo contesto fondamentale: non si può parlare di “sistema nervoso” se i tempi di risposta fossero tali da abbattere l’istantaneità delle reazioni.”
E ancora: “Il 5G non servirà solamente per navigare su internet rapidamente da smartphone e tablet, ma consentirà bensì di creare una rete veloce a cui ogni singola “cosa” sarà collegata. Le smart city del futuro, quelle vere e oggi soltanto ipotizzate in chimere lungi dal divenire, saranno necessariamente tutte collegate con il 5G poiché permetterà di gestire tutti i servizi e dispositivi della città. Viabilità, gestione del traffico, servizi per il cittadino, sensori di sicurezza, video sorveglianza, tutto sarà connesso e gestibile da remoto attraverso questa rete veloce ed a bassa latenza.”

Ma, dice pure Filippo Vendrame, la rete 5ft Generation potrà  porre dei seri problemi:

“Il 5G è teoricamente qualcosa di eccezionale, ma da più parti se ne sottolinea anche la sua invasività. Una rete in grado di collegare davvero ogni cosa può mettere a rischio la privacy delle persone e, in assenza delle necessarie misure di controllo, prevenzione e trasparenza, il problema potrebbe essere gravoso e pervasivo. Ogni oggetto connesso può raccogliere dati che aziende potranno utilizzare senza che l’utente ne sia davvero al corrente: le potenzialità dei big data sarebbero surclassate dai pericoli del Big Brother, ampliando così la zona grigia che circonda una tecnologia di tale portata. Inoltre, se i produttori non sapranno garantire un elevato standard di sicurezza ogni dispositivo connesso potrebbe essere potenzialmente utilizzato da cracker per attività illecite, mettendo potenzialmente a rischio le persone.
Da un grande potere deriva una grande responsabilità, insomma: se da un alto il 5G potrà portare grandi benefici, è sicuramente necessario valutare anche i problemi per risolverli adeguatamente prima che sia troppo tardi. Vulnerabilità e privacy sono temi che dovranno essere affrontati con calma e serietà prima di far debuttare questa rivoluzione. E trattasi di problematiche che dovranno essere affrontate in parallelo allo sviluppo delle soluzioni tecniche che consentiranno al 5G di conquistare il mercato.
Inoltre, ancora una volta, c’è il rischio che il digital divide nel mondo aumenti ulteriormente il gap tra i paesi che adotteranno questa nuovo standard con quelli che ancora oggi non dispongano nemmeno di una rete mobile adeguata: un mondo a due marce potrebbe ampliare differenze e bolle di povertà, situazione già ampiamente nota e che dovrà essere affrontata con responsabilità a livello politico/istituzionale.”
Comunque per una lettura completa dell’articolo si rinvia all’indirizzo
https://www.webnews.it/speciale/5g/

Si vuole terminare questo ultimo tema con la considerazione che se la nuova cultura, se la nuova realtà umana sarà improntata alla decrescita, allora tutto si porrà in termini diversi e non ci saranno i pericoli paventati da Filippo Vendrame.

 

 

 


 

Fonte foto
La foto in evidenza è ripresa da http://www.isassidimatera.com/cosa-vedere/chiese-rupestri/cripta-del-peccato-originale/
Foto 1 da  http://theartgalleryintheworld.blogspot.com/2014/04/cappella-brancacci-la-tentazione-di.html
Foto 2 da  https://okdiario.com/curiosidades/inventos-paleolitico-1318184
Foto 3 da http://www.smartweek.itle-citta-piu-antiche-del-mondo
Foto 4 da www.artefacts-berlin.de
Foto 5 da www.it.123rf.com
Foto 6 da http://sit.wikipedia.orgwikiVicino_Oriente_antico#mediaFilePredynastique.jpg   Foto 7, 8 e 9 da https://it.wikipedia.org/wiki/Stele_degli_avvoltoi                                        Foto 10 da https://it.wikipedia.org/wiki/File:Susa-destruction.jpg

2 Commenti

  1. Signor Armando Boccone, lei ha fatto questo lavoro ?
    Grazie.
    Ci ho dato un’occhiata, così, veloce.
    Molto interessante.
    Io sono filo-primitivista (Zerzan, Manicardi e tutti i libri sulle popolazioni non civilizzate mi convincono al cento per cento, ne ho letto un centinaio, vorrei segnalare i due libri tradotti in italiano, di Sabine Kuegler).
    Amo le poche società umane tribali (formate da una media di quaranta individui) che ancora sopravvivono, perchè sono le uniche società che soddisfano tutti i miei desideri, i quali, stretti fra di loro, strizzati, danno una linfa di Buon Senso, e Armonia.
    – Gianni Tiziano –

  2. Tiziano, grazie del commento.
    Questo lavoro è stato iniziato circa due anni fa. E’ stato reimpostato e modificato parecchie volte. Molte volte l’ho lasciato stare per poi riprenderlo quando risolvevo i problemi che lo avevano bloccato.
    Tiziano, in passato ci siamo confrontati sui temi cardine del primitivismo e dell’ecologia profonda: al fondo di questi movimenti e delle relative visioni della vita ci sono dei valori che sono sicuramente “belli” (lo dico in senso nobile) ma penso che ci sia una erronea impostazione di fondo. Penso che se le cose siano andate avanti in un certo modo è perché c’erano tutti i motivi perché ciò avvenisse: penso che i problemi debbano porsi “qui e ora” e che si debba guardare al futuro.
    Il modo di vita che avveniva nei piccoli gruppi paleolitici era sicuramente “bello” e a quei rapporti bisogna anche fare riferimento ma solamente partendo dalla situazione in cui adesso viviamo, che è fatta di tantissime e gravi contraddizioni ma che è anche fatta di tantissimi aspetti positivi. Inoltre, e concludo, adesso ci sono problemi e possibilità che allora erano inimmaginabili.
    Ciao
    A risentirci
    Armando

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci qui il tuo nome

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.