Decrescita: mettiamo qualche paletto

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Per riprendere un’affermazione di Serge Latouche, la decrescita non è un’ideologia bensì una matrice di alternative. Non ha quindi senso ergersi a guardiani della fede o ricercare insensate ortodossie; il libro di Pallante e Pertosa Solo una decrescita felice può salvarci testimonia egregiamente le tensioni dialettiche presenti all’interno del nostro movimento, senza risparmiare critiche persino allo stesso intellettuale francese. Questa biodiversità di pensiero è una risorsa da proteggere costantemente da qualsiasi pericolosa deriva omologatrice.

Qualche paletto, però, è opportuno metterlo. La decrescita è figlia del pensiero ecologista delle origini, il quale ha elaborato una critica delle modernità che, sul versante scientifico, ha sottolineato la tematica della sostenibilità ambientale mentre, su quello filosofico, ha enfatizzato il carattere alienante della società dei consumi e dei suoi intenti repressivi mascherati da lusinghe edonistiche; rappresenta quindi un movimento all’insegna del ritorno in armonia con la natura e la riappropriazione esistenziale. In nessun caso può diventare un pretesto per sdoganare autoritarismo e discriminazione.

Negli ultimi anni, la decrescita ha attratto nella sua orbita ideologie reazionarie (impropriamente ribattezzate ‘antisistema’) che, approfittando del rinnovamento di idee, stanno riversando vino vecchio in bottiglie nuove, in perfetto stile postmoderno. Non credo che i loro adepti siano particolarmente numerosi, costituiscono però la classica minoranza rumorosa molta attiva specialmente sui social network, con il conseguente rischio di far passare messaggi sbagliati all’esterno e allontanare potenziali interessati alla decrescita.

Il discorso sarebbe lungo, per cui propongo un paio di esempi concreti per essere il più sintetico ed esaustivo possibile. Il primo è un’intervista a Paolo Borgognone pubblicata sul sito di Arianna Editrice. Potrei muovergli tantissime contestazioni, per cui mi limito a riportare gli aspetti che ritengo più inaccettabili.

La democrazia liberale, cioè l’autogoverno dei ceti ricchi, è il modello politico che le classi dirigenti internazionali di “sinistra” proclamano, acriticamente, come una sorta di nuovo “paradiso in terra”. Ora, è ovvio che la democrazia liberale costituisca l’involucro politico migliore entro cui può svilupparsi il capitalismo odierno, finanziarizzato e digitalizzato. Per questa ragione, la democrazia liberale è anche il modello politico peggiore che le classi subalterne possano augurarsi perché in un contesto di liberalismo reale le istanze rivendicative, sociali, dei ceti lavoratori e subalterni non hanno alcuna possibilità di costituirsi né di trovare accoglimento presso i dominanti.

Anche il sottoscritto ha più volte evidenziato difetti e mistificazioni della democrazia liberale, ma limitarsi a una critica distruttiva equivale all’apologia della dittatura. Tra l’altro, le classi subalterne storicamente hanno lottato con le unghie e con i denti per conquistare il suffragio universale e gli altri diritti politici appannaggio delle élite; evidentemente erano stupide o comunque intellettualmente inferiori a Borgognone, il quale come tantissimi ‘antisistema’ stravede per la Russia di Putin.

Oramai, tra russofobi e russofili, sembra impossibile tracciare un quadro obiettivo dello stato euroasiatico e del suo leader (io ci ho vanamente provato); tuttavia, se il ragionamento di fondo deve essere “l’interesse delle classi subalterne”, esistono dati oggettivi che parlano da soli. La Russia è una nazione contrassegnata da profondi squilibri sociali dove, a fronte di una minoranza opulenta – i venti miliardari più ricchi possiedono patrimoni per più di 160 miliardi di euro  – privilegiata dalla flat tax e altre agevolazioni fiscali, fanno da contraltare diciotto milioni di indigenti e un tasso di mortalità peggiore di molti paesi africani (la speranza di vita maschile non raggiunge i 65 anni). Se la disuguaglianza è l’elemento saliente del capitalismo, quello russo presenta un carattere molto più radicale di quello occidentale dove, grazie anche agli strumenti della democrazia liberale, le organizzazioni dei lavoratori sono riuscite a opporre argini al sopruso.

Ecco un altro delirio che ritengo degno di nota:

Il M5S parla di lotta alla casta, ma a quale élite si riferisce quando i suoi portavoce alzano i toni sull’argomento? Non certo alle caste capitalistiche internazionali, ai signori della moneta emessa a debito, ai magnaccia dello sfruttamento del lavoro flessibile e precario e ai generali arcobaleno della Nato che fanno le guerre per esportare all’estero i miti di fondazione gay-oriented e metrosexual della società occidentale… Io credo che il M5S sia stato costituito dalla upper class transnazionale che determina i processi di ingegneria antropologica postmoderna come strumento di marketing politico e gatekeeper funzionale a intercettare il voto sovranista e a canalizzare lo spirito di ribellione dei penalizzati e delusi dalla globalizzazione in direzione di un partito liberal-globalista e “sintetico”, più o meno camuffato da interlocutore “antisistema” dei ceti deprivati e oppressi.

Per quanto riguarda la NATO che combatterebbe guerre “per esportare  miti di fondazione gay-oriented”, suggerisco a Borgognone di arruolarsi in un reparto militare tipo Folgore e di ostentare palesemente atteggiamenti omosessuali, per poi verificare in prima persona la bontà delle sue affermazioni… Le valutazioni sul M5S riflettono un altro caposaldo ‘antisistemico’: chi la pensa diversamente da me (o chi avversa i miei beniamini, ho in mente tanti giudizi superficiali sulle cosiddette ‘rivoluzioni colorate’) non può essere genuino, deve per forza essere eterodiretto da un complotto demoplutogiudaico, in una visione paranoide del mondo da far sembrare le distopie di Orwell e Huxley dei paradisi libertari. Così facendo si inficia qualsiasi riflessione seria sull’influenza dei poteri forti e conseguentemente sui reali margini di libertà e resistenza: se fossi un membro della super élite transnazionale, non chiederei di meglio per me e la mia cerchia di essere ritenuto tanto onnipotente, in modo che, laddove finisca il nostro (grande) potere, inizi quello attribuitoci dalla fantasia popolare.

Borgognone esprime anche alcune valutazioni sull’immigrazione che però riesco a chiarire meglio tramite un secondo esempio, ossia uno scambio di commenti sul gruppo Facebook di Movimento per la decrescita felice intercorso tra me e un altro utente:

Di per sé non c’è molto da commentare di una persona che parla di “invasione” attuale degli immigrati minimizzando il colonialismo (cioé una vera e propria aggressione militare con tanto di annessione territoriale) e che applica platealmente due pesi e due misure per giudicare l’emigrazione altrui e quella del proprio popolo. Trovo però interessanti i presupposti impliciti dell’intero ragionamento di Sovranism e, per una persona come me che ha raggiunto la quarantina e ha visto tanta acqua passare sotto i ponti, analizzare in retrospettiva.

Come già raccontato altre volte, mi sono interessato alla politica fin da adolescente, ossia metà anni Novanta, simpatizzando da subito per le cause dei movimenti no global. All’epoca, criticare il neoliberismo e lo strapotere della finanza non era di moda e facendolo venivi bollato come “comunista” e potenziale terrorista, anche da forze politiche identitarie ora fieramente avverse alla retorica globalista. Che cosa è successo in una ventina d’anni per stravolgere tanto la situazione?

Molto semplicemente, in quel periodo l’Italia, nonostante problemi innegabili, poteva ragionevolmente rivendicare la sua fetta di torta e ambire a un ruolo non di primissimo piano ma comunque importante nello scacchiere internazionale, perché il “declino” ricordato da Sovranism era appena agli esordi. Erano il Pakistan e altri ‘colorati’ a fare il lavoro sporco e, nel complesso, dalle inique dinamiche del sistema-mondo globalizzato il nostro paese aveva più da guadagnare che perdere. Per tali motivi, era normale che nel 1991 il leader dell’oggi sovranista e antieuropeista Lega Nord rilasciasse solenni dichiarazioni in favore del transnazionalismo:

Ci troviamo a Pontida, luogo consacrato dalla volontà e dal giuramento per la libertà dei nostri avi, per sottolineare che oggi inizia il ciclo politico costituente per rinnovare l’organizzazione dello stato italiano. Premessa di questa giornata di grandi decisioni è stata la presentazione, avvenuta nei giorni scorsi, di una nostra proposta di legge costituzionale d’iniziativa popolare, che prevede l’elezione di una Commissione costituente per il rinnovamento della Costituzione. Il nostro progetto nasce a misura d’Europa, cioè di un moderno sviluppo economico perché lo stato nazionale tradizionale è al contempo sia troppo piccolo, sia troppo grande. È troppo piccolo se si considera la dimensione del mercato interno. È invece troppo grande come unità di gestione della finanza pubblica per cui ne derivano economie afflitte da dirigismo e poco efficienti, dove le lobbies economiche riescono facilmente ad ottenere provvedimenti favorevoli dal Governo. (Discorso di Umberto Bossi al raduno di Pontida del 1991)

Tuttavia, dopo l’affermazione economica dei BRICS e la deflagrazione della grande crisi finanziaria del 2008, l’Italia si è ritrovata nella vasta platea dei perdenti e molta persone si sono improvvisamente scoperte ‘antisistema’, nel senso che vogliono mantenere i privilegi del mondo globalizzato senza doverne subire vecchi e nuovi svantaggi.

Veniamo così alla questione migrazioni. Una delle principali tematiche no global riguardava i programmi di aggiustamento strutturale (Structural Adjustment Programs – SAPs) contratti da tanti paesi in via di sviluppo con il Fondo Monetario Internazionale, talvolta firmati da governi corrotti e autoritari ma rimasti in vigore anche dopo la loro deposizione. I SAPs vincolavano la concessione di prestiti all’attuazione di politiche volte a imporre il pareggio di bilancio, la privatizzazione dei servizi e l’abolizione delle restrizioni su importazioni e esportazioni. Le conseguenze sono state pesantissime: cancellazione di programmi di assistenza sociale (in particolare quelli legati all’emancipazione femminile e alla pianificazione familiare, fondamentali per contenere la piaga della sovrappopolazione); conversione dell’economia per favorire le esportazioni ai danni delle esigenze locali; annullamento di qualsiasi ipotesi di riforma agraria e distruzione del tessuto sociale contadino, incentivando così il trasferimento di migliaia di persone prima nelle megalopoli e poi verso il nord del mondo.

Ricordo bene come, nell’ilarità e nel disprezzo generale, venissero sottolineati i rischi di tali strategie nel provocare esodi di massa e nel favorire il proselitismo fondamentalista. Criticando l’ingerenza degli organismi transnazionali, le politiche di austerità e le mire egemoniche della finanza, io e tanti altri eravamo per certi versi sovranisti ante-litteram, con la differenza di aver colto la gravità di molti problemi ben prima di chi ha dovuto attendere di essere colpito personalmente nel portafogli. Quello che allora non avevamo compreso (non io almeno) è che le misure draconiane che ci sembravano dettate solo dall’avidità di fatto erano un tentativo razionale per arginare i problemi derivanti dalla fine del petrolio a prezzo stracciato che aveva caratterizzato il boom economico post-bellico. Alla stessa maniera, i sovranisti attuali non riescono a vedere oltre la finanza-Leviatano, non accorgendosi che la crisi del 2008 è dovuta a un’ulteriore riduzione della torta da spartire e della conseguente necessità di sfoltire i commensali.

Che l’emigrazione incontrollata sia un problema è fuori discussione, anche perché, a differenza di Mr Sovranism e della sua congrega, sono convinto che la finanza tiri le fila del fenomeno solo in minima parte, per cui non credo proprio che si possa interrompere il tutto alla stessa maniera con cui si apre o si chiude un rubinetto. Ora che anche l’Europa mediterranea si ritrova nella morsa infernale del turbocapitalismo, bisogna scegliere se reagire al problema o da soggetti consapevoli o da bambini a cui hanno portato via il giocattolo. Mr Sovranism intravede che la soluzione per evitare la guerra tra poveri (o per meglio dire ai poveri) sarebbe consentire “il libero scambio solo tra paesi di pari sviluppo e tutele” e anche Borgognone ammette “che non si può essere liberali e liberisti ma contrari ai flussi migratori di massa poiché le migrazioni odierne, in entrata o in uscita dal Paese, sono un epifenomeno del capitalismo”. Ho però il serio sospetto che entrambi, nella loro visione del mondo fortemente imbevuta di ideologia e decontestualizzata dal concreto, abbiano solo una vaghissima idea delle conseguenze: ciò comporterebbe infatti la fine dell’accaparramento di materie prime a basso prezzo, ossia la pietra fondante su cui si è costruito il benessere occidentale (e specialmente quello di una nazione come l’Italia, legata a doppio filo all’importazione di risorse essenziali). Non si può desiderare un mondo contrassegnato da relazioni politiche-economiche più eque e contemporaneamente “fermare il declino” nazionale, occorre semmai programmarlo e gestirlo nel modo migliore: serve una decrescita felice o serena che dir si voglia, insomma.

In definitiva, sono convinto che la cartina al tornasole per distinguere i movimenti della decrescita dalle ideologie reazionarie sia – riprendendo il lessico filosofico di Borgognone – che i primi concentrano l’analisi sui fenomeni, mentre le seconde si limitano a osservare gli epifenomeni (ossia fenomeni secondari che accompagnano o seguono un fenomeno primario apparentemente slegato da essi) scambiandoli per la radice dei problemi; detta in termini più semplici, la differenza tra guardare la luna o il dito. A livello planetario, i due grandi fenomeni sono:

  • sul versante ambientale, il degrado ecologico del pianeta* (in tutte le sue forme) e il progressivo esaurimento delle risorse;
  • sul versante politico-sociale, la divisione in nazioni centrali e periferiche dell’economia-mondo e le stratificazioni di classe a livello nazionale e transnazionale.

Criticare lo strapotere della finanza o i flussi migratori incontrollati prescindendo da queste considerazioni – magari condendo il tutto con abbondanti dosi di razzismo, omofobia e altri sentimenti poco nobili giustificandoli con la lotta al politically correct – è il preambolo migliore per creare disastri peggiori dei mali che si vorrebbe curare.

*Una caratteristica saliente di movimenti e pensatori ‘antisistema’ è l’utilizzo strumentale della causa ecologica o la sua totale negazione. Maurizio Blondet, ad esempio, tradizionalista cattolico che gode di una certa considerazione negli ambienti della decrescita, è convinto che il riscaldamento globale del pianeta sia solo un inganno creato dalla finanza e dai poteri forti. Anche la Lega Nord ha recentemente organizzato un convegno contro le “balle sul clima”.

7 Commenti

  1. A me sembra che l’autore, nel tentativo di dare addosso a chiunque e di rivendicare l’originalità della posizione, sia pieno di contraddizioni. Ma forse non ho capito io bene.
    Il culmine si tocca quando viene rivendicato il colonialismo dei secoli passati per autorizzare i discendenti dei colonizzati a venire liberamente in italia e goderre di quanto è stato costruito dal dopoguerra ad oggi con il sacrificio di milioni di lavoratori.
    Francamente, trovo anche contraddittorio spaventarsi della eventuale sparizione delle materie prime a basso costo dato che proprio questo sarebbe un fattore chiave per l’arricchire i paesi del terzo mondo ancorpiù se sparisse anche il libero scambio di queste materie prime.
    Concordo anch’io che i fili dell’immigrazione di massa siano nelle mani di pochi, non tanto della finanza quanto di coloro che hanno paura che l’euro diventi una potenza soverchiante del dollaro. Al tempo stesso credo anche che le destre sono favorevoli all’afflusso di manodopera a basso costo e le sinistre lo sono con la speranza di nuovi serbatoi di voti. Tra questi due estremi vi sono una grande quantità di persone che non vedono lo stato, la nazione, il territorio come qualcosa di proprio e di conquistato col sangue nel corso dei secoli (e le riforme dei programmi scolastici perseguono questo fine limitando fortemente storia e geografia) vittime di una propaganda antistatalista in atto quotidianamente da decenni. Nessuno oggi sarebbe disposto a morire per il paese, nemmeno ipotizzando che venisse invaso da stranieri che ci sottraessero le nostre case e i nostri averi. Saremmo solo capaci di strillare e di mettere qualche post su internet.
    L’incapacità di guardare lontano associata all’ignoranza dei fatti che accadono nel mondo ci impedisce di vedere come ciò sia già accaduto nel Kosovo ed abbia portato alla guerra e all’indipendenza del kosovo stesso. Originariamente in kosovo gli albanesi musulmani erano una minoranza emigrata dal loro paese più povero per lavorare nelle miniere jugoslave. Con gli anni (e le generazioni) acquisito il diritto di cittadinanza, sono entrati nella polizia jugoslava fino a prenderne la maggioranza ed iniziando ad esercitare i diritti in maniera arbitraria favoriti anche dalla morte di Tito e dal disorientamento del paese. La Serbia decise di inviare l’esercito per ristabilire l’ordine e gli scontri iniziarono….. e sono ancora oggi in corso nonostante non ne parli nessuno.
    Perchè il nostro paese dovrebbe avere un destino diverso? Se vige la democrazia alle prossime elezioni ci saranno partiti etnico/religiosi in grado di accaparrarsi quantità considerevoli di voti e di arrivare a influenzare il governo. Nei paesi piccoli dove la presenza è maggiore si imporranno usi e costumi decisi dall’amministrazione locale che potrebbe deliberare – ad esempio – la chiusura dei negozi durante il ramadan e l’apertura per natale.
    Confutare simili ipotesi aggrappandosi solo all’incapacità di immaginarle è cecità di fronte alla realtà nel nome di un presunto pensiero superiore.

    • “A me sembra che l’autore, nel tentativo di dare addosso a chiunque e di rivendicare l’originalità della posizione, sia pieno di contraddizioni. Ma forse non ho capito io bene”

      No, non ha capito affatto bene. Primo perché non dò addosso ‘contro chiunque’, ma prendo di mira chiaramente una determinata visione. Secondo, non mi ritengo affatto originale, semplicemente cerco di trovare la sintesi tra le analisi che mi hanno convinto di più a livello storico-politico (la scuola braudeliana incentrata sulle dinamiche del sistema-mondo) ed ecologico (il club di Roma e lo studio dei limiti dello sviluppo). A dire il vero non sono originale neppure in questo, perché c’è gente come Jason Moore che ha iniziato quest’opera di sintesi ben prima di me.

      “Confutare simili ipotesi aggrappandosi solo all’incapacità di immaginarle è cecità di fronte alla realtà nel nome di un presunto pensiero superiore”

      Non ho mai pensato che il mio pensiero sia ‘superiore’, ma argomentato con dei fatti sì. Che sia valido o meno questo è un altro discorso (credo che lo sia ma non perché ho un ego vanitoso ma semplicemente perché cerco di mettere sotto forma divulgativa il pensiero di gente molto in gamba). Non spiego le cose tirando in ballo complotti e cose simili.

      Quanto all’immaginare, con la fantasia si possono fare voli pindarici di ogni genere. Tuttavia, cosa ben diversa è sforzarsi di capire che cosa ci ha portato a questa situazione, che cosa è cambiato nel mondo. Capire perché, dopo decenni che abbiamo come paese tratto sostanzialmente beneficio dalle dinamiche della globalizzazione, adesso ci troviamo nella morsa del turbocapitalismo. Capire perché ci sono ondate migratorie così consistenti ADESSO quando finanza, destra e sinistra avrebbero potuto volerle in qualsiasi momento precedente.

      “Il culmine si tocca quando viene rivendicato il colonialismo dei secoli passati per autorizzare i discendenti dei colonizzati a venire liberamente in italia e goderre di quanto è stato costruito dal dopoguerra ad oggi con il sacrificio di milioni di lavoratori.
      Francamente, trovo anche contraddittorio spaventarsi della eventuale sparizione delle materie prime a basso costo dato che proprio questo sarebbe un fattore chiave per l’arricchire i paesi del terzo mondo ancorpiù se sparisse anche il libero scambio di queste materie prime.”

      Io non sto autorizzando proprio niente. Però, fuori dalla retorica, il benessere occidentale è stato costruito dal sangue dei suoi lavoratori che hanno lavorato materie prime per lo più di altri paesi arrivate in Occidente a basso costo grazie a meccanismi neocoloniali prima e a quelli tipo SAPs dopo. Per altro, io non sono ‘spaventato’ da nulla, dico solamente che non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca, cioé condannare le migrazioni ma mantenere i traffici di materie prime grezze e a buon mercato dal sud del mondo. Ha perfettamente ragione: se le materie prime rimanessero nei paesi di origine, li arricchirebbero ma questo è un gioco a somma zero per cui l’Occidente dovrebbe forzatamente ridurre la sua ricchezza materiale; e non per nulla faccio questo discorsi da un sito di decrescita. Cosa che invece i vari ‘sovranisti’ di turno contestano apertamente.

      PS: l’apertura domenicale e festiva dei negozi c’è già ma l’Islam non c’entra nulla.

      • mi permetta di evidenziare la sua contraddittoria risposta: E’ favorevole all’immigrazione incontrollata per via del fatto che i paesi coloniali sono stati sfruttati o è contrario anche a costo di azzerare l’importazione di materie prime da questi paesi?

        • Io non sono favorevole all’immigrazione incontrollata (mi sembrava di essermi spiegato nel commento precedente, evidentemente non è così). Ribadisco però che desiderare di fermare l’emigrazione e allo stesso tempo desiderare la prosecuzione dei flussi di materie grezze a basso costo dal sud del mondo equivale a desiderare la botte piena e la moglie ubriaca. Se vogliamo ridurre gli immigrati dobbiamo conseguentemente rinunciare a una delle principali cause d’emigrazione e sottosviluppo. Contraddittorio semmai è chi ritiene il contrario.

  2. Caro Igor, apprezzo molto il tuo approfondimento più che doveroso. E comprendo la tua stizza nel notare negativamente come alcuni concetti fondamentali della Decrescita stiano andando alla deriva. Ma io credo che sia una conseguenza della divulgazione informativa di massa, ovvero i social network (facebook in testa) che hanno ridotto tutto, ivi compreso i dibattiti più importanti, ad un inutile chiacchericcio. Leggendo i commenti sopra, soprattutto quello in screenshot, mi viene da sorridere piuttosto che sbattere la testa, questo perchè mi rendo conto ancora una volta di come la superbia, ma soprattutto l’ignoranza, prenda sempre più il sopravvento. Per non parlare di un certo razzismo ed intolleranza dilagante, colpa anche di personaggi molto ambigui tra cui il buon mattatore Bossi oggi, povero lui, ridotto ad una ridicola comparsa. Che fine hanno fatto le sue grida di piazza? Il nulla! Questo perchè non erano concettualmente applicabili, ma sono fomentazioni di odio ed astio verso altre popolazioni che avevano (ed hanno) il DIRITTO di emigrazione. Non voglio augurare a taluni soggetti discriminanti di cadere in disgrazia ma se ciò dovesse accadere, molto plausibile visti gli attuali sviluppi economici, mi piacerebbe osservare la loro faccia attonita colorata di bianco cadavere nel momento in cui si appresteranno a seguire la lunga fila alla caritas, oppure a saltare sul barcone di turno.
    Altro non dico, perchè è meglio osservare e tacere piuttosto che parlare a sproposito.

    • Mi scusi, su cosa si basa il diritto di emigrazione e sopratutto cosa includerebbe questo presunto diritto?
      Se viene riconosciuto il diritto di emigrare, gli stati destinatari dovrebbero avere l’obbligo di accogliere i migranti e fornigli lavoro, abitazione, sanità, istruzione, giustizia….. e di che livello dovranno essere queste spettanze cui avrebbero diritto i migranti di diritto?
      E se tale diritto venisse utilizzato dagli stati per esiliare i dissidenti (Cuba per esempio)?
      Comunque a me non sembra sia riportato da alcuna carta dei diritti dell’uomo, ne sia mai stato rivendicato da nessuno e tantomeno sia mai stato applicato da alcuno stato.
      A mio giudizio, l’attuale generazione rivendica continuamente presunti diritti grazie al fatto di essere stati bambini educati con pedagogie secondo le quali tutto gli era dovuto. L’esasperazione dell’egocentrismo tipico di queste pedagogie si concretizza da adulti nell’avanzare richieste per diritti simili a quelli vissuti da bambini quando non ci si chiedeva da dove arrivassero i soldi necessari al sostentamento della famiglia.

      • Gli esseri viventi (Umani compresi) emigrano per istinto di sopravvivenza (basto osservare innumerevoli specie Animali), mi meraviglio che la tua cultura sia così retrograda da presupporre (tra le righe) anche un certo conservatorismo piuttosto razzista. Se i paesi ospitanti non sono in grado tramite mezzi e sussistenze di garantire un’esistenza dignitosa la colpa non è certo dei migranti ma probabilmente di pratiche dittatoriali che non esprimono nessun sviluppo morale (figuriamoci economico). Il progresso etico e costruttivo non si ottiene conquistando altri territori e relativi abitanti, cosa che invece hanno fatto tutte le democrazie filo-nazionaliste fino ad oggi. O mi sbaglio? O vogliamo affermare ipocritamente che gli africani ci stanno assalendo? O vogliamo negare le conseguenze nette ed evidenti di colonizzazioni secolari da parte di Francia, Regno Unito, Spagna prima e Stati Uniti dopo?

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