Max Strata, per chi non lo conoscesse già, è un ecologista radicale autore di due libri (Oltre il limite. Noi e la crisi ecologica e Il cambiamento. Natura, consapevolezza e comunità). Parliamo quindi di una persona consapevole del fatto che le recenti ondate di calore estremo non sono un accidente meteorologico bensì il logico corollario di un trend climatico dove l’azione antropica, attraverso l’emissione di ingenti quantità di gas serra nell’atmosfera, ricopre un ruolo determinante.
Con in mente ciò, Max ha scritto un pezzo per un giornale locale che però non lo ha ritenuto meritevole di pubblicazione: evidentemente chi lo dirige ritiene che i veri problemi siano altri oppure, al pari del direttore de Il Foglio Claudio Cerasa, non sa leggere i grafici degli andamenti delle temperature vedendoci inesistenti raffreddamenti della Terra.
Qualunque sia la ragione che ha spinto ad accantonare il contributo di Max, siamo felici di ospitarlo su DFSN sperando in futuro in qualche collaborazione, anche saltuaria, con il nostro sito.
***
Dobbiamo prepararci ad una nuova sgradita normalità. Questo è quanto ci indica in modo unanime la scienza del clima a livello mondiale. Il progressivo riscaldamento a cui stiamo assistendo su scala globale, è infatti un processo determinato dai gas serra prodotti dalle attività umane che procede senza sosta a causa del palese fallimento degli accordi tra gli Stati.
In poche parole, negli scenari indicati dal tavolo tecnico dell’ONU, ci attende un riscaldamento medio planetario che va da 2 a 6 gradi celsius in più rispetto alla media ottenuta da quando si effettuano le misurazioni. Una delle certezze è che il cambiamento in corso è di portata epocale e che l’aumento costante della percentuale di CO2 presente in atmosfera ha oggi sfondato il tetto delle 400 parti per milione: un fatto che non avveniva da almeno 800 mila anni e su un pianeta molto diverso dall’attuale, senza miliardi di persone in circolazione, infrastrutture, campi coltivati, ecc..
Gli incrementi di temperatura hanno e avranno ripercussioni gravi/gravissime sugli ecosistemi naturali e sulle comunità umane. Siccità prolungate, piogge devastanti, diminuzione drastica della produttività agricola, dell’energia idroelettrica e della disponibilità di acqua dolce, aumento di patologie correlate alla tropicalizzazione, sono alcuni degli effetti più evidenti e il bacino del Mediterraneo e l’Italia sono e saranno una delle aree più colpite.
Colpevolmente, ciascuno di noi e l’amministrazione pubblica ha clamorosamente sottovalutato o, peggio, ha totalmente ignorato i risultati degli studi, delle verifiche e di quanto sta avvenendo. Deve essere chiaro che questa è una crisi che non ha eguali e che è destinata a modificare in profondità le nostre vite e quelle delle giovani generazioni, certamente ben più a fondo di qualsiasi crisi finanziaria, degli attuali conflitti bellici e del terrorismo. Basti pensare al crescente numero dei rifugiati climatici (si stimano in 150 milioni nei prossimi anni) e delle instabilità sociali che il caos climatico sta già producendo in molti paesi del sud del mondo.
Inoltre, a causa della cosiddetta ‘inerzia del processo’ abbiamo a che fare con una crisi che non possiamo fermare ma che possiamo soltanto provare a contenere.
Che cosa c’è da fare é noto. Transitare rapidamente alle energie provenienti da fonti rinnovabili e lasciare sotto terra i combustibili fossili, comprendere bene il concetto di limite delle risorse, ridurre la sovrappopolazione, capire che non è possibile una crescita economica infinita e tornare quanto prima a vivere localmente, in modo semplice e parsimonioso poiché abbiamo anche un problema di progressivo esaurimento di risorse minerarie e perché le energie rinnovabili non sono in grado di sostituire la densità energetica del petrolio e la quantità richiesta per sostenere la nostra insostenibile economia.
Ciò che è sensato fare è dunque l’esatto contrario di quanto ci viene proposto dalla politica e dall’economia: ovvero, continuare a produrre e consumare senza sosta.
Questa volta la scienza, a cui attraverso la tecnologia abbiamo affidato lo sviluppo del progresso materiale, afferma qualcosa che non ci piace e questo fatto non ci va giù. Il nostro comportamento irrazionale ci sta trascinando rapidamente a fondo ma seppure in grave ritardo possiamo ancora agire per cercare di impedire il peggio.
La chiave di volta si chiama assunzione di responsabilità che comporta semplicità volontaria e rapido abbandono del nostro stile di vita. Qualcosa di forte a cui non siamo preparati ma che ragionevolmente rappresenta quanto di meglio possiamo fare.
E’ ozioso dire “si, ma gli altri che faranno?”, oppure “ma da solo cosa posso fare?”. E’ arrivato il momento di agire, a partire da noi stessi, dalle nostre famiglie, dalla nostra comunità. Abbiamo il coraggio di cambiare?