A partire dagli anni ’80 la globalizzazione ha caratterizzato l’economia e la società dell’intero pianeta. Oggi dopo quasi quarant’anni di “globalizzazione spinta” ci si interroga sulla bontà di questo processo e se non sia meglio tornare a forme di economie chiuse o comunque a carattere più localistico.
Si può guardare la questione da due punti di vista: uno strettamente economico e un altro, per così dire, “morale”.
Dal punto di vista economico si vedrà che la globalizzazione fu portata avanti dalle nazioni occidentali per venire incontro alle esigenze delle multinazionali e dar loro la possibilità di sfruttare le persone e le risorse naturali senza regole o vincoli nazionali e locali.
All’origine si pensava che le economie occidentali, partendo da una posizione di forza, avrebbero conquistato gli immensi mercati “vergini” dei paesi emergenti con i propri prodotti.
In effetti all’inizio le cose andarono in questo modo: le imprese occidentali ebbero la possibilità, non solo di vendere i loro prodotti in nuovi mercati ma anche di spostare le produzioni in quelle zone del mondo dove il costo del lavoro era immensamente più basso e senza regole.
Ben presto però nei paesi emergenti venne colmato il gap tecnologico e scientifico mentre nei paesi occidentali lo spostamento massiccio delle produzioni all’estero causò il crollo del numero degli occupati facendo scemare la domanda interna.
Oggi quindi la situazione pare essere ribaltata: le economie emergenti viaggiano con il vento in poppa mentre nei paesi occidentali si attraversa una crisi produttiva da cui pare non esserci possibilità di uscita. L’occidente è invaso da prodotti a buon mercato provenienti dalla Cina dall’India dal Pakistan ecc contro i quali non c’è possibilità di competere.
Si potrebbe scendere nell’arena e competere con questi paesi riducendo il costo del lavoro e togliendo i diritti ai lavoratori (e in effetti è ciò che pare stiano cercando di fare a Bruxelles con la collaborazione dei governi nazionali) ma è una partita persa in partenza; altrimenti non rimane che chiudere i nostri mercati ai prodotti provenienti da questi paesi e proteggere così le imprese nazionali.
Questo è ciò che propongono i partiti populisti-nazionalistici occidentali vedi Front Nazionale, Lega ecc.
A questo punto subentra il punto di vista cosiddetto “morale” della questione. Quando si parla di protezionismo bisogna osservare come l’economia e il mercato presentino una forma di “protezionismo naturale”. I prodotti locali, a parità di prodotto, sono sempre più convenienti, di qualità migliore e immediatamente disponibili perchè non devono viaggiare per il mondo con conseguente aumento di costi e di possibilità di deterioramento. Se l’economia e il mercato fossero realmente liberi avremmo una autoregolazione del commercio che farebbe si che a viaggiare siano solo i prodotti che sono carenti in un luogo o in un altro. La globalizzazione non porterebbe nessun svantaggio ma solo il vantaggio di poter avere facile accesso a beni di cui si ha bisogno in un data zona del mondo piuttosto che in un altra.
Il sistema economico mondiale, manipolato dalle multinazionali è invece caratterizzato dalla totale irrazionalità: si creano scompensi assurdi che affamano e riducono in miseria le persone e devastano l’ambiente.
A questo punto l’unica modo di intervenire è quello di chiudere le economie, non per proteggere le economie nazionali ma per razionalizzare l’attività economica, riportarla al suo ruolo originale, riportarla cioè, al servizio dell’uomo a contatto con le esigenze delle comunità di cui deve soddisfare le esigenze.