Caro Andrea,
ho scritto diverse bozze di articoli per esprimere le mie perplessità sulla concezione della decrescita da te rappresentata, tutte quante abortite e mai pubblicate. Ho sempre pensato che il ‘fuoco amico’ potesse arrivare solo dopo un’attenta lettura delle tue opere e da una analisi accurata della tua attività sul Web. In una seconda lettera aperta – in questa c’è già troppa carne al fuoco – ne tratterò, anche se in modo meno rigoroso di quanto mi fossi proposto; avrai modo di puntualizzare tutte le inesattezze del caso, se vorrai.
Devo altresì confessare che tante volte sono stato tentato di commentarti, sui tuoi profili Facebook o sul blog LLHT, ogniqualvolta sei ricorso a toni pesantemente accusatori nei confronti di persone che occupano una posizione precaria nella società, ree a tuo giudizio di ‘collaborazionismo con il sistema’, spesso accompagnando il tutto con provocazioni semplicistiche, buone al massimo per creare qualche hashtag e ricevere like dai follower. Il tuo atteggiamento mi ha sempre ricordato da vicino le odiose tirate ultra-liberali in difesa della disuguaglianza in quanto specchio delle differenze di merito e capacità (considerata la tua presa di posizione pubblica in favore dell’1%, si direbbe che manager ed ex manager talvolta si riscoprano solidali).
Visti alcuni pregressi infelici sul Web tra noi due – la cancellazione di conversazioni non è mai sinonimo di uno scambio di pensieri sereno – ho sempre preferito desistere. Questa volta, però, ho avuto la netta sensazione che la misura fosse colma, non ho resistito e ho sbottato: sono felice di averlo fatto anche alla luce della tua chiosa finale alla discussione, secondo cui il post “non aveva certo l’intenzione di sollevare tutto questo polverone“, come se la ‘responsabilità diretta’ di cui ti fai promotore non prevedesse in primis di assumersi l’onere dei giudizi espressi, soprattutto se severi e sferzanti. Non giudicare e non sarai giudicato, ma se semini vento preparati a raccogliere tempesta.
Lo ammetto, ho avuto una reazione istintiva quindi inevitabilmente approssimativa, ma ho solo risposto colpo su colpo: non riesco infatti a immaginare nulla di più ‘approssimativo’ di accusare una persona di ‘complicità con il sistema’ senza conoscere nulla della sua vita e delle ragioni che lo hanno portato in quella fabbrica a subire quel regime draconiano, finendo vittima di un episodio tanto degradante per la dignità personale. A te semplicemente basta pensare che si tratterà di uno dei tanti adepti del consumismo (“credi che gli operai non li alimentino, questi mercati?”) che insomma, come si suol dire, ‘se l’è andata a cercare’.
Immaginavo una tua replica stizzita ma, sinceramente, non avulsa dalla mia puntualizzazione, tanto impulsiva quanto chiara: la maggior difficoltà per chi proviene dagli strati sociali meno abbienti di intraprendere la strada dello ‘scollocamento’. Giusto per curiosità, ricordandomi di una tua intervista letta tempo fa on line, ho fatto qualche ricerca su Internet per scoprire all’incirca i prezzi di vendita delle stalle da ristrutturare, le offerte più economiche e modeste si aggiravano intorno ai 25.000 euro ma erano in condizioni tali che per renderle vagamente abitabili sarebbe stato necessario spenderne almeno altrettanti. Intendiamoci: non ti sto chiedendo rendicontazioni economiche (non ne avrei alcun diritto), qualunque somma tu abbia speso hai fatto benissimo, per quanto male si possa pensare di te (e non sono certo un tuo hater, ho solo profonde divergenze di vedute) è sicuramente meglio per il mondo avere un Andrea Strozzi dalla bassa impronta ecologica invece di un borioso manager più impattante di Godzilla, magari gli ex colleghi ti imitassero. Non intendo minimamente immischiarmi nelle scelte che fai per te stesso, contesto solamente gli strali che lanci verso gli altri. Su questo punto non ammetto fraintendimenti.
Invece di replicarmi nel merito, hai difeso qualcosa che non avevo assolutamente messo in dubbio, ossia la genuinità della tua scelta di vita e della tua condizione attuale (riguardano la tua coscienza e, in verità, mi interessano assai poco); il tutto condito da alcune insinuazioni verso il sottoscritto, per cui non ti dispiacerà se mi sento in diritto di dire la mia, anche perché alcune considerazioni potrebbero rientrare in un discorso molto più ampio di una semplice contesa dialettica tra noi due, che giustamente sarebbe di scarso o nullo interesse.
Sgombriamo innanzitutto un possibile equivoco: a differenza tua non ho mai presentato la mia vita come modello da seguire, non ho la vocazione del guru, non ho medaglie da appuntarmi sul petto e non riesco a trovare nessuna qualità che possa elevarmi a individuo esemplare, tranne forse un’onestà intellettuale che mi rende estremamente allergico a qualsiasi tipo di faziosità. Con i miei enormi limiti, provo a condividere informazioni e riflessioni argomentate, nel tentativo di comprendere meglio le interrelazioni tra biosfera, politica e società, alla ricerca di punti di riferimento per orientarsi nel complicato dedalo della realtà. E se oggi posso permettermi di farlo è perché sono stato un privilegiato, diversamente da te non ho problemi ad ammetterlo. Privilegiato perché ho avuto la possibilità di essere educato in una famiglia che ha avuto voglia e mezzi per permettermi di studiare e, soprattutto, fin dall’infanzia mi ha fornito stimoli intellettuali che mi immunizzassero dallo stordimento consumista; perché grazie a ciò ho potuto conoscere persone le cui qualità umane mi hanno fatto crescere interiormente e mi hanno fatto apprezzare il vero significato delle parole ‘speranza’ e ‘impegno’; perché il mio lavoro, nonostante alcuni innegabili problemi, mi lascia tempo ed energie nervose preziose, diversamente dallo sgobbare in fabbrica e da altre occupazioni alienanti. E questo solo per citare alcuni dei benefici più rilevanti.
Ovviamente, potrei ricordarti molto Clamence, il protagonista de La caduta di Camus, colui “che percorre una carriera da falso profeta che grida nel deserto e rifiuta di uscirne”. Potresti insinuare che, se non trovo il tuo stesso coraggio accusatorio, non è per maggior sensibilità verso il prossimo ma solo per vergogna, non essendo riuscito a emanciparmi da fenomeni sui quali dovrei puntare il dito; tu invece puoi permetterterlo perché lo hai fatto. Ragionamento che non fa una grinza, chissà, forse è proprio così.
Allora mettiamola in questi termini: il fatto di non essere ancora del tutto ‘scollocato’ dal deserto-sistema mi impedisce di salire sul pulpito e guardare dall’alto in basso, ma mi obbliga a osservare da vicino i ‘complici del sistema’. Laddove tu hai il diritto di giudicare io sono obbligato a capire, che non significa giustificare bensì ragionare sull’origine dei comportamenti di queste persone escludendo a priori qualsiasi risposta che possa anche solo vagamente far presupporre una mia inesistente superiorità nei loro confronti. E dove dal pulpito probabilmente si vedono solo dei criceti sulle ruote, io sono ancora capace di distinguere esseri umani in cui sentimenti, aspirazioni, ambizioni e desideri del tutto legittimi assumono talvolta la forma distorta di un i-phone, di un’auto costosa o altre frivolezze. Tutto ciò mi proibisce pertanto di abbracciare ipotesi semplicistiche, blaterando astrattamente di “ragionevolezza e libero arbitrio” di fronte a una realtà molto più complessa e frastagliata del bianco e del nero che evidentemente si osserva dal pulpito: userò poco le palle, Andrea, ma ti assicuro che le rotelline del cervello funzionano a pieno regime, spesso ahimé girano a vuoto, ma sono costantemente in azione.
Alla luce di tutto questo, non mi stupisce affatto che giudichiamo tanto differentemente il caso dell’operaio di Atessa: tu vedi solo un criceto lagnoso che pretende gli venga indorata la gabbia, io un essere umano che – dopo aver probabilmente ingoiato una sfilza infinita di rospi – ha finalmente detto ‘no’ e vuole marcare un limite all’angheria. Tutto ciò mi porta ad interessarmi di lui nonostante le probabili e radicali differenze, il ‘complice del sistema’ dopo essere caduto tanto in basso può solo risalire, in un percorso dove l’orizzonte potrebbe allargarsi al di là dell’angusta visuale della rivendicazione sindacale. Ci sono gli Igor Giussani a cui certe opportunità quasi piovono dal cielo, e altri a cui forse si possono dispiegare solo attraverso situazioni tragicomiche come pisciarsi addosso sul posto di lavoro.
Per sintetizzare al di là del caso specifico la complessa relazione tra ecologia e lavoro, faccio mie queste parole del 1983 di Alex Langer che oppongo alla dicotomia banale e manichea ‘dentro/fuori il sistema’:
“È tempo, dunque, che si infittiscano il dialogo e le iniziative esemplari tra ecologisti e operai (anche sindacalisti), ma anche tra ecologisti, operai e imprenditori, per esplorare concretamente, e non necessariamente solo in situazioni di conflitto, il terreno della comune lotta per la qualità ecologica, oltre che sociale e umana, del lavoro. Vorrà dire prendere per le corna il toro dell’alienazione, e lavorare per il disinquinamento non solo dell’ambiente, ma anche della vita di milioni di persone, dentro e fuori le fabbriche, gli uffici, i servizi, le campagne”.
E veniamo ora al capitolo scuola. Per la cronaca, il ‘paio di contratti di docenza’ è in realtà un contratto a tempo indeterminato presso l’ITIS Nullo Baldini di Ravenna, da ‘puntello del sistema’ sembra che ne sia addirittura diventato una colonna portante! Per molti aderenti alla decrescita, la professione di insegnante fa automaticamente di me un plagiatore di giovani menti o comunque un essere ignobile, quindi sono abituato a ricevere attacchi su questo versante; da te però mi aspettavo qualcosa di meglio della banale equazione: insegnante scuola pubblica = contestatore a parole. Se proprio ci tenevi, sul mio profilo di Facebook potevi trovare informazioni molto più disonorevoli testimonianti del mio ‘attaccamento al sistema’. Non voglio comunque negare le criticità legate all’istituzione in cui presto servizio.
A diciotto-diciannove anni lessi Descolarizzare la società pensando che l’autore fosse pazzo, poco dopo aver iniziato la carriera di insegnante l’ho ripreso in mano rendendomi conto che Illich aveva fatto centro quasi su tutto: il problema è che i grandi polemisti (e Illich è sicuramente un grandissimo) sono impeccabili nel delineare la pars destruens ma raramente dispensano soluzioni pragmaticamente valide. Sono dell’idea, per riprendere una famosa frase di Winston Churchill, che la scuola sia il peggior sistema di insegnamento a eccezione di tutti gli altri, almeno per ora le alternative esistenti non sono abbastanza mature per imporsi efficacemente. Può uscire qualcosa di positivo da una struttura di per sé fondata su molti principi discutibili? Forse sì, del resto recentemente sei stato operato da medici che probabilmente rientrano anche loro tra i puntellatori del sistema (poche cose sono più ‘sistemiche’ del Sistema Sanitario Nazionale) ma non credo che tu possa negarne l’utilità sociale per te e per gli altri (felice che sia andato tutto per il meglio, davvero).
Giusto qualche giorno fa, io e un collega dell’area tecnica abbiamo tenuto congiuntamente una lezione in una classe quinta dove si è parlato di picco del petrolio, di EROEI e di altre tematiche non previste nei programmi ministeriali. L’insegnamento della storia mi consente, andando a ritroso nel tempo, di evidenziare l’origine delle problematiche ecologiche, economiche e sociali poi deflagrate violentemente oggigiorno, fornendo così chiavi di lettura parziali ma utili per capire il presente. La letteratura permette non solo di liberare l’immaginazione, ma anche di riscoprire valori umani oramai quasi sconosciuti nel marasma del consumismo. E, più di qualsiasi altra cosa, l’esperienza quotidiana con i ragazzi, oltre che umanamente appagante, è un termometro della società e delle direzione che sta per prendere.
Se stai pensando che il mio attivismo su DFSN e i miei sforzi scolastici siano poca cosa, non posso che assentire. Hai presente quella leggenda africana dove un colibrì prova a spegnere il fuoco nella foresta trasportando gocce d’acqua nel minuscolo becco? I miei propositi sono più o meno della stessa entità.
Ma quale sarebbe l’alternativa? A differenza dell’operaio di Atessa, avrei sicuramente i mezzi economici per ‘scollocarmi’ e realizzare la mia utopia personale. Già me la immagino: mi comprerei una piccola proprietà contadina per dedicarmi all’autoproduzione, tornerei a dedicarmi con continuità al mio più grande hobby (gli scacchi) mentre con qualche ripetizione oppure proponendomi come revisore di bozze o altre piccole attività svolgibili con il telelavoro racimolerei il non molto denaro necessario per mantenere questo sobrio stile di vita. Non ti nascondo che la prospettiva mi alletterebbe, poi però mi assale un dubbio: per quanto scarsa possa essere la mia influenza attuale, nel mio idillio io sarei utile solamente a me stesso. Sarebbe come se nella favola il colibrì si allontanasse dalla foresta in fiamme per trovarsi un eremo personale dove vivere in pace, non propriamente un lieto fine.
Scrivono nel loro ultimo libro Pallante e Pertosa: “Per vivere intensamente la propria vita, è necessario recuperare spazi di autenticità esistenziale. Ridurre le ore trascorse a lavoro per aprirsi all’altro da sé: ai propri simili, agli esseri viventi, alla natura tutta”. Ecco, nel mio rimanere ‘collocato’ c’è sicuramente qualcosa che mi permette di versare gocce d’acqua nei confronti dell’altro da me: se poi tu dal pulpito vedi solo falsa coscienza – o più prosaicamente mancanza di palle – me ne farò una ragione.
A risentirci per la seconda parte, dove finalmente potrò superare le divergenze personali e allargare il discorso.
Ciao
Igor
Fonte immagine in evidenza: rivisitazione personale di immagine tratta da Il Fatto Quotidiano.
Quell’operaio non ha detto “No”.
Ha detto “Sì. Ancora. Ma… un po’ meno, per favore”.
Vedi Igor, è nella tua manifesta incapacità di cogliere questa sostanziale differenza che si rivela l’inconciliabilità delle nostre due posizioni.
E poi c’è un’altra questione, ben più grave e su cui ti invito a riflettere. Nella macchia di urina sulla tuta di quell’inconsapevole operaio ci sono, nell’ordine: l’infamante disfatta del Sindacato e la trionfale vittoria del Capitale. Ebbene, la sai una cosa? Non credo di essere io dovermi giustificare…
Ognuno a suo modo.
Andrea
Ringrazio Andrea Strozzi per aver risposto; spero che vedano il suo commento anche quei gruppi Facebook di decrescita che normalmente approvano in automatico sulla fiducia tutti i miei post e questa volta invece sembrano indugiare, pensando forse che si tratti solamente di un dissing tra me e lui senza alcun riguardo per le dinamiche della decrescita.
Quanto alle inconciliabilità delle posizioni, in realtà tutto discende dal fatto che diversamente da te non sono salito sul pulpito e non ho diviso il mondo in buoni e cattivi. Se cerchi un po’ nei miei scritti passati puoi trovare attacchi durissimi contro il sindacato (mi faccio un vanto di non essere mai stato iscritto a uno) e la sinistra ‘radicale’, ma questo non mi impedisce di provare umana solidarietà per un operaio né di pensare (come faceva Langer) che dentro settori del mondo sindacale si possano creare sinergie (vedi la FIOM e la presa di posizione in favore di una riconversione ecologica dell’economia per ottemperare agli obiettivi della COP21).
Quanto al giustificarti, nessuno te lo ha mai chiesto (e sono stato molto chiaro), così come non mi aspetto certo che tu receda dalla tue visioni manichee. Ti si chiede solo di assumerti la responsabilità delle tue dichiarazioni, né più né meno di chiunque altro. Vuoi provocare bollando l’operaio come ‘complice del sistema’? Liberissimo di farlo, ma poi non uscirtene dicendo ‘non volevo creare un polverone’, che assomiglia troppo a ritirare la mano dopo aver lanciato il sasso. E la tua libertà di esprimerti a piacimento si accompagna alla mia libertà di volermi smarcare da te, che non si pensi che la tua forma mentis sia universalmente riconosciuta nella decrescita.
Spero di risentirti per la seconda parte della lettera aperta dove si abbandonano le dispute personali per ragionare a 360° di decrescita.
Bel confronto, nato per riflettere e a quanto vedo, non per dividere. Ed è qui il punto. Anche io ritengo le posizioni di Andrea non di rado eccessivamente divisive. In questo il limite di ogni prospettiva che, cercando con la massima coerenza l’integrità, rischia di scivolare nell’ integralismo. La saggezza e la compassione insieme formano un composto evolutivo fenomenale. Separate sono meno potenti.
Grazie del commento Flavio. Ne approfitto anche per segnalare che il post è stato nel frattempo approvato nei gruppi FB.