Commento dunque sono

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Qualche giorna fa Andrea Bertaglio ha condiviso sul gruppo Facebook di MDF un post che ha sortito l’effetto di un vero e proprio esperimento sociale:

Qui il contenuto postato, un estratto di una videointervista a Lierre Keith, autrice de Il mito vegetariano, dove racconta della sua adesione al veganesimo e dei danni irrimediabili per la salute che le sarebbero derivati da un’alimentazione esclusivamente a base di vegetali.

Come previsto da Bertaglio, si è aperto un gigantesco vaso di Pandora che in poche ore si è tradotto in più di un centinaio di commenti, in uno scontro mortale tra vegani (risentiti) e antivegani (gongolanti). Riporto alcuni screenshot significativi, opportunamente censurati:

Si è poi dato per scontato che l’autrice si ergesse a paladina dell’allevamento intensivo, per quanto nell’intervista non vi facesse alcun riferimento:

Tutto questo ovviamente condito di (deliranti) accuse a Bertaglio di essere passato dalla parte delle multinazionali promuovendo un complotto antivegano, di critiche ai vegani di essere una setta religiosa, ecc.

Siccome, a quanto pare, ho un’attrazione irresistibile per il casino (almeno finché si mantiene a livelli puramente dialettici, per eroi e vendicatori vari cercate altrove!) mi sono gettato nella mischia dei commenti:

Il mio intervento ha ricevuto alcune interessanti repliche di cui tratterò più avanti. Prima però desidero riportare un altro fatto decisamente curioso.

Un’utente aveva condiviso un link a una recensione accurata de Il mito vegetariano, dove si scoprono alcune opinioni dell’autrice decisamente contrastanti con i pregiudizi generali sull’opera. Dopo averlo letta, il giorno successivo alla condivisione del post di Bertaglio ne ho pubblicato a mia volta uno sul gruppo di MDF:

Condiviso alle 7 del mattino prima di recarmi al lavoro, al ritorno a casa pensavo di rimanere sommerso di notifiche, visto il vespaio suscitato il giorno prima dall’argomento. Invece solo 3 like e nessun commento; in compenso, la guerra onnivori-vegani imperversava ancora sul post di Bertaglio. Morale della favola: le vere questioni poste dall’autrice, a torto o ragione, non sono state minimamente sfiorate, preferendo accanirsi su di un’opinione pregiudiziale delle idee esposte nel libro, che in realtà avrebbero sicuramente inorridito anche molti antivegani che  stavano difendendo a spada tratta la Lierre.

Per fortuna il mio feedback al post originario ha avuto miglior sorte, in particolare vorrei riportare due interventi degni di approfondimento:

Come possiamo distinguere la paglia dal fieno nel mare magnum di informazioni in cui siamo sommersi? Quando è possibille affidarsi alla propria sensibilità e alla propria intelligenza prendendo posizione contro gli esperti? Si può ragionevolmente essere ‘tuttologi’ (o comunque capaci di discernere in diversi campi) oppure è solo una pretesa assurda e arrogante? Quanto è possibile sconfinare dal proprio specifico campo di studi?

Proviamo a rispondere a tali ardui quesiti. Partiamo dal problema dell’eccesso di informazione, con il suo corollario di notizie tendenziose, mistificate o palesemente false, tematica recentemente salita alla ribalta con le polemiche sulla ‘post-verità’  e la facile diffusione di bufale tramite social media e siti Web (e con sconsiderate proposte di soluzione basate sulla creazione di ministeri dell’informazione in stile 1984 o la nomina di tribunali del popolo del giornalismo). Penso che un buon esempio, per quanto inevitabilmente non perfetto, provenga dal sito BUTAC, il cui staff non è formato da grandi scienziati ma da persone di istruzione medio-alta che verificano la fonte di provenienza delle notizie e cercano riscontri sulla loro veridicità; pur senza conoscenze specialistiche per discutere nel merito di argomenti complessi come una ricerca scientifica, è possibile informarsi sulla rivista in cui è stata pubblicata (o sull’ente che l’ha promossa), verificando indici come l’impact factor che, per quanto non siano oracoli della verità, possono fornire indicazioni preziose. Qui solitamente sorgono due obiezioni:

  • non è uno sforzo troppo faticoso?
  • chi ci garantisce che la scienza non sia asservita, vista la potentissima azione di lobbyng su tutti i settori della ricerca?

Per quanto attiene al primo punto, è inevitabile che verificare l’attendibilità di articoli universitari e ricerche analoghe sia un’operazione difficile. ‘Affidarsi al proprio sentire’ è un enorme azzardo, nel senso che di fronte ad argomenti anti-intuitivi (ad esempio il gelo anomalo come conseguenza del riscaldamento globale, contrariamente a quanto suggerirebbe il ‘buon senso’) il rischio di sostenere idiozie è enorme. La seconda preoccupazione è sicuramente fondata, tuttavia non deve sfuggire un dato di fatto: la necessità del ‘sistema’ di fare propaganda – e quindi di diffondere anche palesi falsità – è fuori discussione, così come quella di conoscere il più possibile la realtà in quanto condizione fondamentale per mantenere egemonia e potere. Non sorprende quindi che governi e aziende multinazionali finanzino entità quali il Club di Roma, IPCC la IEA oltre a università e centri di ricerca, per quanto dai loro studi possano emergere conclusioni contrastanti con le loro strategie politiche ed economiche. Invece di condannare come falsi a prescindere i lavori di queste organizzazioni – atteggiamento arrogantemente fanatico e indifendibile – conviene leggerli attentamente ricercando le omissioni, le mezze ammissioni e i tentativi imbarazzati di conciliare realtà e ideologia attraverso artefici di vario genere (è quello che ho tentato personalmente di fare con il WEO Energy Outlook 2016).

Per il resto, è chiaro che  alcuni argomenti si possono trattare semplicemente con una conoscenza scolastica (non serve una laurea in matematica per sapere che 7*3 fa 21), altri per i quali è sufficiente una buona conoscenza divulgativa e infine ci sono fenomeni di cui si può parlare con competenza solo attraverso opportune conoscenze specialistiche. Nel mio piccolo, cerco di sforzarmi nella seconda direzione provando a mettere a frutto un interesse per le dinamiche sociali ed ecologiche che nutro fin da ragazzino, da quando ascoltavo canzoni di artisti punk-rock che mi incuriosivano con le loro tematiche (non proprio le stesse degli 883 o dei cantanti pop), aumentando il mio interesse per il mondo esterno al di là della musica. E’ uno sforzo dove bisogna unire il coraggio di osare e umiltà per la consapevolezza dei propri limiti, dove non tento di fare vanamente il tuttologo ma cerco, ‘volando alto’ (diversamente dallo specialista che osserva il mondo con la prospettiva del microscopio), di mettere insieme tasselli collegando fenomeni apparentemente isolati l’un l’altro, rischiando ovviamente di trascurare dettagli e scambiare lucciole per lanterne. impostando il confronto su basi opportune e agendo con il dovuto rigore, è possibile persino misurarsi in modo sensato e senza alcuna arroganza con gli esperti, .

Ad esempio mostrando ad agronomi decantanti le lodi produttive dell’agricoltura industriale la sua pericolosa dipendenza da combustibili fossili e le esternalità ambientali che crea. Oppure costringendo l’esperto sostenitore del nucleare o di un’altra particolare fonte a uscire dalla sottigliezze tecniche per inquadrare il suo impiego all’interno di un contesto più ampio, mettendo in luce problematiche che esulano dalla competenza ingegneristica. Oppure incalzando gli scienziati sociali – e gli economisti – sul giusto ruolo da attribuire a energia e risorse, troppo spesso ignorato dalla loro discipline, ma insistendo anche con gli ambientalisti per dimostrare come molte delle loro idee distorte riguardo la ‘natura umana’ siano confutate dagli studi più seri in materia di antropologia e sociologia.

Tutto ciò senza pretese di svelare segreti misteriosi o sventare complotti e, soprattutto, ammettendo i miei purtroppo frequenti errori. Mi chiedeva Caterina su Facebook: si può evitare il rischio di essere confutati? Ovviamente no, bisogna correrlo in qualsiasi scambio dialettico, più si cerca di cerca di scavare in profondità maggiore è la possibilità di sbagliare. A quel punto, onestà intellettuale, capacità di ascoltare le ragioni altrui e obiettività sono le qualità fondamentali per risollevarci onorevolmente dal nostro sbaglio. In caso contrario, ci attende solo una sterile guerra di spara-sentenze.

PS: vi è sembrato che sia stato troppo vago e poco concreto? Allora ne riparliamo tra un paio di giorni, quando prenderò di mira nientemeno che un premio Nobel!

Immagine in evidenza: meme di Facebook condiviso da Andrea Bertaglio nella discussione relativo al post su Keith Lierre.

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Nasco a Milano il 7 febbraio 1978. Sono un docente precario di italiano e storia nella scuola superiore, interessato ai temi della sostenibilità ambientale e sociale. Insieme a Jacopo Simonetta ho scritto 'La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell'umanità, edito da Albatross Il Filo.

3 Commenti

  1. Si può leggere una parte introduttiva del libro scaricandola come estratto da Amazon
    È sufficiente per farsi un’idea delle argomentazioni.
    È vero che oramai nel bombardamento delle informazioni in rete si tende a perdere la bussola, però nel caso specifico mi sembra che non siano soddisfatti i requisiti minimi di oggettività e di conoscenza della materia. Non sono un esperto, la mia è una opinione sorretta da qualche lettura, tuttavia preferisco orientarmi su pareri più autorevoli. Come quelli del rimpianto (vegetariano) Umberto Veronesi.
    Poi l’esperienza diretta conta molto. Personalmente sono vegetariano-vegano da circa vent’anni e per fortuna non mi è capitato niente di terrificante come si paventa nel libro.
    Basta questo per farmi essere diffidente quando l’autrice dichiara che dopo solo due anni di veganesimo aveva la colonna vertebrale piena di discopatie, le si squamata la pelle e soffriva di stanchezza cronica e depressione. Ma dai….

  2. Io sto leggendo il libro invece perché ho iniziato ad avere i sintomi descritti dopo solo un anno e mezzo di veg. Ho fatto una tremenda fatica a diventare vegetariana e la carne mi piace tantissimo, ma alcuni amici vegetariani si sentono benissimo. Secondo me siamo tutti diversi, abbiamo necessità, gusti e ideologie diverse ed è evitando allevamenti o coltivazioni industriali che vivremmo tutti meglio, onnivori e vegetariani insieme. Il problema sono i supermercati e non la carne del contadino, a mio avviso.

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