La prima volta

Come andrà questa volta?

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Questo lavoro è stato pubblicato alcuni anni fa sul blog Risorse, economia e ambiente di Aspoitalia. Tratta della nuova realtà che nel sesto millennio B.P. (Before Present) si creò nella Bassa Mesopotamia e, soprattutto, della crisi a cui quella realtà andò incontro. Inoltre si accenna alle nuove realtà e relative nuove crisi avvenute in seguito nella stessa area geografica.
Ritengo che sempre più fatti confermano il parallelo fra quanto successe per la prima volta nella Bassa Mesopotamia nel sesto millennio B.P. e quanto sta succedendo nella storia moderna: questa, iniziata 2-3 secoli fa con l’utilizzo dei combustibili fossili, si avvia, se si manterranno le tendenze iniziate in quella nuova età assiale rappresentata dagli anni settanta del XX secolo (1), verso un crollo improvviso della popolazione umana, della produzione industriale e agricola e a un degrado delle condizioni di vita dell’umanità (per dirla col “Rapporto sui limiti dello sviluppo” di un gruppo di scienziati del MIT di Boston).
Ritengo inoltre che anche altri fenomeni confermano il parallelo di cui si è detto, come la dissoluzione del blocco sovietico e della Jugoslavia e le tendenze centrifughe che riguardano le regioni di alcuni stati europei (come, per esempio, la Catalogna in Spagna e la Scozia in Gran Bretagna) e la stessa Unione Europea con l’uscita della Gran Bretagna (notizia freschissima!).
Ovviamente si fa riferimento semplicemente a un parallelo, cioè a una comparazione volta a mettere in evidenza le somiglianze fra i due periodi storici, al fine di comprendere meglio la storia attuale. La storia non si ripete e la storia futura dipenderà dalle scelte che saranno fatte e che dipenderanno anche da ciò che di nuovo c’è nella storia moderna rispetto a quella passata (come per esempio il WEB).
Per questo motivo ho deciso di riproporre il lavoro in questione sul blog di Decrescita felice social network.
Non sono state apportate variazioni al lavoro originale, conservando i limiti di approfondimento che un breve lavoro come questo non poteva non avere. Solamente le foto e le relative didascalie sono state aggiunte in questa occasione.
1) Si veda a tale riguardo http://www.decrescita.com/news/gli-anni-settanta-xx-secolo/

Contenuto di questo lavoro:
1) I fenomeni che arrivarono a maturazione nella Bassa Mesopotamia nel sesto millennio b.f.(before present);
2) L’esportazione di questa realtà su un territorio più vasto di quello in cui prese piede inizialmente;
3) La crisi e l’esito
4) Rapporti con la realtà attuale

www.istituti.vivoscuola.it Immagine 1 La Bassa Mesopotamia dove fiorì la civiltà sumera, con la città di Uruk come baricentro: si trova all’interno di quell’area più vasta denominata Mezzaluna Fertile

Introduzione
Il titolo assegnato a questo lavoro può fare pensare alla prima esperienza d’amore avuta nella vita, con i ricordi contrastanti di gioia e di paura, di qualcosa che era naturale e bello fare oppure che non bisognava fare perché peccato, delle conseguenze che ci sarebbero state, ecc.
Questo lavoro invece parlerà di quando, nel sesto millennio b.p. nella Bassa Mesopotamia, con la città di Uruk come baricentro, arrivarono a maturazione, per la prima volta, una serie di condizioni, strettamente intrecciate in rapporti di feed back fra di esse (come l’urbanizzazione, l’incremento demografico, la specializzazione del lavoro, il progresso tecnologico, ecc.) che poi contraddistingueranno tutta la storia successiva, e, in misura più estrema, la storia attuale.
A un certo punto la Bassa Mesopotamia coinvolse nel suo sviluppo un territorio più vasto, che andava dall’area Siro-palestinese all’Iran settentrionale e meridionale, dalla catena montuosa del Tauro nell’Anatolia meridionale alla penisola arabica e all’Afganistan, creando una complessa e interconnessa realtà.
Questo lavoro parlerà però soprattutto della crisi a cui, per la prima volta, andò incontro questa complessa e interconnessa realtà e degli esiti concreti che si ebbero.

Perché questo lavoro?
Il motivo è molto semplice: si vedono degli aspetti comuni fra la realtà venuta a maturazione nella Bassa Mesopotamia nel sesto millennio b.f. e l’attuale realtà, per cui la crisi che riguardò quella realtà e gli esiti che si ebbero potrebbero essere interessanti per capire l’attuale crisi e gli esiti a cui questa potrebbe andare incontro.

Uruk: la prima città!
Ai fini di analisi e di comunicazione molte volte è necessario sezionare la realtà e considerarne solamente una parte. E’ necessario cioè un impoverimento della realtà affinché questa sia comprensibile.
L’espressione che dà il titolo a questo paragrafo (cioè “Uruk: la prima città”) è ovviamente una semplificazione per rendere comprensibile il fenomeno perché l’urbanizzazione (e degli altri fenomeni a cui questo era strettamente intrecciato in rapporti di feed back) aveva già una lunga storia.
E’ necessario però che l’impoverimento della realtà non sia eccessivo altrimenti si cade nell’errore opposto. Si faranno quindi solamente dei brevi cenni alla realtà precedente giusto per comprendere meglio quanto avvenne nella Bassa Mesopotamia nel sesto millennio b.p.

Circa 10 mila anni fa avvenne il passaggio dalla caccia e raccolta all’agricoltura e alla pastorizia. Tale passaggio non avvenne contemporaneamente su tutta la terra ma prima in certi luoghi e successivamente in altri, avvenne con gradualità, con situazioni intermedie, alle volte con forti progressi e alle volte con arretramenti, con aspetti diversi in relazione al diverso contesto ecologico e culturale in cui avveniva. La stessa cosa può dirsi del passaggio dal villaggio di gruppi nomadi o seminomadi, composti da circa una trentina di individui fra uomini, donne e bambini, alla città. I villaggi iniziarono a essere consistenti già con la cultura natufiana, che si basava ancora sulla caccia e raccolta, che si sviluppò nell’area siro-palestinese circa 12 mila anni fa, con consistenze di 150-200 individui per villaggio. Anche se di rivoluzione urbana si può parlare solamente in Mesopotamia nel quarto millennio a.C., prima con Uruk e poi, nel millennio successivo, con le città-stato della civiltà sumera e con l’Egitto, probabilmente già alcuni millenni prima, per esempio con Gerico in Palestina e con Çatal Hϋyϋk in Anatolia, sia la struttura sociale che quella urbana iniziarono a subire mutamenti. Gerico raggiunse circa 2 mila abitanti mentre Çatal Hϋyϋk ne raggiunse 5-6 mila. Bisogna ricordare che ciò che contraddistingue la città da un villaggio è che nella città avviene una diversa organizzazione sia nel corpo sociale che nella struttura urbana. Questa diversa organizzazione si manifesta in una differenziazione sia nel corpo sociale che nella struttura urbana. A rigore di logica i primi mutamenti si ebbero quando si passò da una consistenza della popolazione dei villaggi da circa 30 persone in media a consistenze di 150-200 e poi di 250-500 persone.

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Immagine 2 Uno scorcio ricostruito dell’imponente città di Uruk. In secondo piano la ziggurat, struttura religiosa a piattaforme cultuali sovrapposte. Il “petrolio” che rese possibile la costruzioni di strutture così imponenti (e la prima urbanizzazione della Bassa Mesopotamia) fu l’agricoltura irrigua che, unita all’uso dell’aratro seminatore a trazione animale, dette rese produttive anche con un rapporto di 30:1 e oltre fra raccolto e semente.

I caratteri della Bassa Mesopotamia nel sesto millennio b.p.
L’urbanizzazione fu solamente uno degli aspetti che arrivarono a maturazione nella bassa Mesopotamia nel sesto millennio b.f.. Gli altri aspetti, strettamente connessi e in continuo rapporti di feed back, furono l’incremento demografico, la specializzazione del lavoro, lo sviluppo tecnologico, l’agricoltura irrigua basata sulla coltivazione di cereali, legumi e ortaggi, l’allevamento caprovino, la creazione di un surplus alimentare che andava a coloro (artigiani, mercanti, sacerdoti, scribi, ecc) non addetti direttamente alla produzione agro-pastorale, ecc. A questa struttura fu dialetticamente collegata la creazione di un nuovo sistema di valori basati sull’individuo, inteso come centro di interessi prima solamente diversi ma poi anche in contrapposizione (visto la scarsità, storicamente determinata, di risorse) a quella degli altri individui, sulla gerarchia, intesa come orizzonte, il contesto, in cui si situano gli individui, indicandone le diverse posizioni e i connessi diversi oneri e diritti nella distribuzione di beni e servizi, sulle derive sociali, con la formazione di corporazioni in conseguenza dei rapporti particolari che si formavano fra gruppi sociali e le attività lavorative che svolgevano, e, infine, sulle derive culturali, intese come quel fenomeno per cui ogni popolazione umana, a contatto con un ambiente ecologico particolare, acquisisce un pacchetto culturale particolare e, in presenza di condizioni di penuria di risorse materiali, in contrapposizione a quello di altri gruppi umani.
Fermo restando che la visione più corretta è quella sistemica, cioè quella che vede tutti gli aspetti sopra indicati come in continuo rapporto di feeed back fra di essi, bisogna dire che ciò che nel mondo moderno è stato reso possibile dall’utilizzo dei combustibili fossili (carbone e poi petrolio) da poco più di due secoli fa a questa parte, nella Bassa Mesopotamia nel sesto millennio b.p.. fu reso possibile dall’agricoltura irrigua accoppiata all’uso dell’aratro seminatore a trazione animale. Con una imponente mobilitazione di masse umane buona parte del territorio fu drenato, furono creati canali per l’irrigazione e furono creati dei campi a forma di rettangoli molto allungati con il lato corto che dava sui canali. I campi ricevevano la necessaria pendenza in modo che non ristagnasse l’eventuale acqua in eccesso. In un territorio così strutturato l’agricoltura cerealicola (grano e orzo) dava rese con un rapporto di 30:1 e oltre fra raccolto e semente.
Questa complessa realtà, incentrata sulla città di Uruk, come già detto, a un certo punto coinvolse nel suo sviluppo (e per il suo sviluppo), un territorio più vasto. A spingere e accelerare questo coinvolgimento fu probabilmente l’assenza nella regione di metalli (rame e stagno), pietre dure e legname, di cui invece erano ricchi quei territori di cui si è parlato.

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Imagine 3 L’aratro-seminatore a trazione animale.
Il rendimento nella coltivazione del terreno, rispetto a quando si usava la zappa, aumento enormemente con l’introduzione dell’aratro seminatore a trazione animale.

Il commercio su lunghe distanze
La Bassa Mesopotamia fu costretta a importare i materiali suddetti. A organizzare il necessario commercio fu l’organizzazione templare con l’utilizzo di agenti commerciali, che via terra si servivano di lunghe carovane di asini e via acqua di imbarcazioni per le vie fluviali del Tigri e dell’Eufrate. In cambio di ciò che veniva importato venivano date modeste quantità di stoffe e altri prodotti finiti. Lo scambio era evidentemente ineguale ma rispecchiava le diverse scale di valori esistenti fra le due diverse realtà contraenti.
Le materie prime importate subivano già delle prime lavorazioni nei territori da cui provenivano. Questo era già una prima conseguenza del centro verso la periferia.
Secondo l’ideologia del tempo le materie prime distribuite nei vari territori più o meno lontani avevano il destino di affluire verso il centro del mondo (e cioè la Bassa Mesopotamia in questo caso). La periferia esisteva solamente per il centro. In cambio delle materie prime venivano date stoffe e altri prodotti di basso valore. Era da escludere lo scambio di generi alimentari perché ogni territorio viveva dei generi alimentari che produceva. Invece nelle iscrizioni risultava che a essere scambiate fossero generi alimentari (che, come si è detto, è decisamente da escludere visto il basso valore unitario, il peso e le lunghe distanze da percorrere). La motivazione di ciò probabilmente è da vedere nell’ideologia allora esistente in merito al rapporto fra centro e periferia: ciò che affluiva al centro era naturale che avvenisse mentre ciò che veniva dato alla periferia era considerato un dono e che (fatto non secondario in questa ideologia) era necessario alla sopravvivenza della periferia stessa.

La struttura del territorio
Al centro del territorio di cui si sta trattando c’è Uruk. Al di là del centro ci sono territori culturalmente diversi, dove però Uruk è presente con colonie che sono veri e propri centri periferici di Uruk e che fanno da intermediare con i territori da cui provengono le materie prime. Nella fascia successiva ci sono territori che hanno una cultura materiale propria anche se l’organizzazione e la cultura locale riflette la presenza di Uruk. Nei territori più lontani ancora il centro intrattiene solamente sporadici rapporti commerciali con avamposti appunto commerciali, senza nessuna influenza di rilievo sulla cultura materiale locale. Ovviamente la realtà è molto complessa per cui è da presupporre l’esistenza di aree con caratteristiche intermedie rispetto a quelle viste. Le varie gradazioni dell’influenza della cultura materiale di Uruk nei territori con cui questa aveva rapporti si sono individuati, con gli scavi archeologici, nel tipo di manufatti di ceramica, nella struttura urbana e nelle tecniche architettoniche, nelle cretule con sigilli per il controllo amministrativo dei magazzini e dei singoli contenitori di merci, ecc., presenti appunto in questi territori
Le colonie di Uruk sembrano tante Uruk in scala ridotta, come testimoniano i resti di edifici pubblici come templi, magazzini, mura di fortificazione ed altro. La nascita di questi centri periferici è avvenuta con popolazioni provenienti da Ukuk e/o dalle zone circostanti. I rapporti fra la capitale e i centri minori erano improntati probabilmente sia a un rapporto di dipendenza che di autonomia. Il crollo di tutto il sistema coloniale di Uruk fa presupporre che le varie parti di questo sistema fossero però abbastanza interconnesse.

La crisi, il crollo e gli esiti
La complessa realtà sopra descritta durò un periodo relativamente limitato.
Quali le cause della crisi? I fattori furono sicuramente più di uno ma importanti dovettero essere sia una crisi della metropoli (Uruk), non più in grado di sostenere la complessa rete di rapporti economici del tipo che aveva realizzato e sia una forma di rifiuto, di rigetto, da parte delle varie culture locali nei confronti di quella realtà.
Prima della crisi, di cui adesso si tratterà, i tentativi di alcune culture locali, che insistevano su piccole nicchie ecologiche basate sull’allevamento caprovino, sull’agricoltura secca (cioè basata solamente sulle piogge) e microirrigua (cioè con approvvigionamenti limitati di acqua), di perseguire uno sviluppo urbano sull’esempio di Uruk (anche se non paragonabile quantitativamente a questo) fallirono sul nascere: c’era troppa differenza sia quantitativa che qualitativa rispetto all’ hinterland rappresentato dalla Bassa Mesopotamia su cui insisteva Uruk, che dava rese cerealicole anche di 30:1 e oltre fra raccolto e semente.

Il primo effetto della crisi fu l’immediata scomparsa degli avamposti commerciali nei territori più lontani.
Dopo il collasso dell’organizzazione Uruk andò incontro a un ridimensionamento. Alcune grosse colonie scomparvero come d’incanto mentre altre andarono incontro a un forte ridimensionamento perdendo i caratteri tipici della metropoli (grossi templi, mura di fortificazioni, centralizzazione politico-amministrativa) trasformandosi in grossi villaggi con le loro tipiche economie agro-pastorali. Le innovazioni tecnologiche e politico-organizzative, la specializzazione del lavoro e la gerarchizzazione, tipiche della cultura di Uruk, in parte, però, furono conservate.
Non era possibile per queste colonie conservare i caratteri, anche se in scala più ridotta, della metropoli, perché a esse mancava il “petrolio” di Uruk: la cerealicoltura irrigua con rese di 30:1 e oltre fra raccolto e semente. A ciò bisogna aggiungere la non confrontabilità, in quanto a estensione, dei rispettivi hinterland.
I rapporti interregionali si ridussero fortemente e le varie aree iniziarono ad acquisire caratteri propri. Si ebbe appunto una fase di regionalizzazione. E’ il caso della manifattura ceramica e delle incisioni sulle pietre dure e semi-preziose e di altri aspetti della cultura materiale che iniziarono ad acquisire caratteristiche proprie e diverse da quelle di Uruk.
Negli strati archeologici corrispondenti alla fase del ridimensionamento di Uruk si nota la forte riduzione della presenza di metalli, pietre dure e semi-preziose.
Probabilmente sarà il contrarsi della metropoli di Uruk che in seguito inizierà ad affermarsi il “palazzo”, cioè di un sistema organizzativo-politico laico, senza attività cultuali, che in parte si contrapporrà e allo stesso tempo sarà complementare al sistema templare. La particolarità è che l’origine del “palazzo” avvenne al di fuori di Uruk, a Gemdet Nasr, nella parte settentrionale della Bassa Mesopotamia.
Ciò ricorda quanto avverrà poco meno di due millenni dopo, nel tardo bronzo (XII sec. a.C.), quando in seguito al collasso, in tutta l’area del Medio Oriente Antico, delle grandi strutture politico-organizzative, si affermarono la scrittura alfabetica al posto di quella cuneiforme e la metallurgia del ferro al posto di quella del bronzo. La scrittura alfabetica e la metallurgia del ferro già esistevano in precedenza ma la sua introduzione era impedita da alcuni “poteri forti” che facevano parte della struttura politica-organizzativa al potere: gli scribi, il cui potere si basava sulla conoscenza della complessa scrittura cuneiforme e i mercanti, che avevano il monopolio del commercio dello stagno e del rame. Con la crisi che interessò il tardo bronzo vennero appunto meno i portatori di interessi legati alla persistenza della scrittura cuneiforme e della metallurgia del bronzo, cioè gli scribi con le loro scuole e i loro privilegi, i ceti dei mercanti e l’organizzazione politico-amministrativa del “palazzo” nel suo complesso.

Quali altri esiti portò il collasso di quella complessa e interconnessa realtà creata da Uruk?
La ricerca archeologica riguardo a questo periodo non ha dato quella ricchezza di ritrovamenti che invece darà in riferimento ai periodi successivi.
Un’ultima cosa si vuole ricordare. Nelle culture locali la scrittura cuneiforme iniziò a presentare sviluppi originali differenziandosi da quella di Uruk. In quelle culture dove la lingua era diversa dal sumerico di Uruk le differenze nella scrittura si fecero ancora più evidenti, aventi l’obiettivo di registrare anche una lingua diversa.

Dopo la crisi della prima urbanizzazione però la Bassa Mesopotamia conservò il potenziale naturale e demografico per riprendersi abbastanza celermente e dare luogo successivamente a una nuova urbanizzazione.

Cenni alle successive crisi
Nella crisi che ha riguardato la prima urbanizzazione non si sono notate alcune cause che, unite a quelle già viste, caratterizzeranno le crisi a cui andranno incontro le successive urbanizzazioni. Esse sono rappresentate dall’impoverimento del territorio agricolo dovuto all’eccessivo sfruttamento con l’agricoltura irrigua (con fenomeni di salinizzazione dei terreni) e dei pascoli in conseguenza dell’allevamento caprovino, dal disboscamento di vaste aree per ottenere legname da costruzione, dalla sempre maggiore competizione politico-militare fra le diverse civiltà per l’accesso alle materie prime (soprattutto metalli) con conseguente distruzione delle infrastrutture agricole e urbane delle civiltà soccombenti, dal meccanismo socio-economico instaurato che portava alla sempre maggiore concentrazione delle ricchezze nei ceti che facevano parte delle grandi organizzazioni politico-amministrative del tempio e del “palazzo” e all’impoverimento di vaste masse contadine che andavano incontro all’asservimento quando non riuscivano a pagare i debiti (e, molte volte, nemmeno gli interessi sui debiti), ecc., ecc..

In questa trattazione di come andò “la prima volta” si sono notati molti problemi che non sono molto diversi da quelli del mondo moderno e si sono notate anche le “soluzioni” che furono prese, che non sono molte diverse da quelle che prefigurano molti studiosi “futuristi”!!

Fonte immagini
Immagine in evidenza da www.it.123rf.com (scrittura cuneiforme su tavoletta di terracotta)
Immagine 1 da www.istituti.vivoscuola.it
Immagine 2 da www.artefacts-berlin.de
Immagine 3 da www.ningishzidda.altervista.org

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Sono nato in Lucania nel lontano 1951 e abito a Bologna da circa trent’anni. Ho sempre avuto interesse, da più punti di vista, verso i “destini” (sempre più dialetticamente interconnessi) dell’umanità: da quello dei valori culturali che riempiano l’esistenza a quello delle condizioni materiali di vita (dall’esaurimento delle risorse naturali ai cambiamenti climatici, ecc.). Ho visto nel valore della “decrescita” un punto di partenza per dare un contributo alla soluzione dei gravi problemi che l’umanità ha di fronte.

1 commento

  1. In sostanza: il male è quella che è stata chiamata “civiltà”. Quella che è stata chiamata “storia” è in realtà la storia dell’Occidente. Le altre 5000 culture umane vengono dimenticate. Siamo molto vicini al pensiero di John Zerzan. Sono sostanzialmente d’accordo.

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