Gaia si sveglia all’improvviso, e all’improvviso non sa nulla. Un sottile rivolo rosso le cola dalla nuca. “Chi sono?”, “dove sono?”. Gaia ha dimenticato tutto sbattendo la testa contro un comodino di plastica.
Nel ventunesimo secolo, nelle città affollate di attività e di corpi, non c’è spazio per il ricordo. Il futuro è illustrato a grandi caratteri sulle insegne che avviluppano le strade coi colori seducenti della pubblicità.
Gaia esce di casa e riscopre il mondo e la sua meraviglia. Legge sulle pareti degli edifici promesse di sogni a portata di mano. Tutto è possibile, ma occorre agire ora: alcuni di quei sogni saranno disponibili solo “fino a esaurimento scorte”.
La vegetazione appare disposta secondo un ordine sistematico e surreale, allineato alle funzioni degli elementi urbani: segue le strade senza mai intralciarle, prona all’efficienza delle reti viarie; si concentra in giardini e parchi integrando salute e leisure; addobba balconi e uffici prestandosi come utile elemento d’arredo.
Gaia prova a mangiare un’arancia trovata a terra, suscitando lo sguardo perplesso di un passante, il quale, fedele al suo ruolo, continua a camminare. L’arancia ha un brutto aspetto, ma un buon sapore.
Alle sette in punto le città prendono vita: centinaia di migliaia di esserini operosi si riversano sulle strade inseguendo obiettivi apparentemente ineludibili, ignorandosi completamente l’un l’altro. Di tanto in tanto un ostacolo, dovuto al sovraffollamento, rompe l’efficienza urbana e scatena ondate di interazioni ostili: clacson urlano il proprio scontento, accompagnati da voci cariche di astio. L’inefficienza è intollerabile. Lo stress ne è conseguenza diretta, patologica. Dopo alcuni minuti di caos, tutto torna anormale.
Gaia osserva il traffico, incuriosita dalla sua lentezza. Procede per 2 chilometri a fianco di una lunga fila di auto che incede a passo d’uomo, emettendo odori sgradevoli e fumo. Una donna vestita di uno sfavillante blu sportivo trotta sul marciapiedi controllando compulsivamente lo schermo di un cellulare, il cui bip-bip segna il ritmo dei suoi passi. Supera Gaia senza accorgersene, approfittando di un semaforo verde per non spezzare il movimento.
Gli esperti del mondo in divenire sono già al lavoro, coi loro cappi colorati al collo e gli orologi ai polsi. Sanno di essere i migliori, di fare la cosa giusta. Lo hanno sempre saputo, dai tempi della scuola. Efficienza. Professionalità. Le migliori marche. Alcol nei fine settimana.
Gaia osserva i grandi pilastri di cemento e vetro allungarsi verso il cielo grigio, e progressivamente illuminarsi con il giorno. Di notte spenti, di giorno accesi, sfidando le leggi della luce.
Il rivolo rosso si è ora fermato, eppure lei si sente debole. Si sdraia su una panchina e si addormenta. Dopo alcune ore viene svegliata da un agente, che la erudisce sulle norme cittadine: dormire all’aperto è vietato. Ma non c’è bisogno, perché ora ricorda. Dev’essere stata quella botta contro il comodino, la notte prima. Un’amnesia temporanea. “Che imbarazzo, dormire su una panchina, e per di più in pigiama!”. “Non si preoccupi”, dice l’agente, “sono cose che capitano”. Gaia ritorna a casa, e ormai è notte. La mattina seguente si veste, si trucca e va in ufficio. Mille cappi colorati l’accolgono scodinzolando. Le luci accese dentro la torre di vetro e cemento. Una panchina vuota. Ogni certezza di nuovo al suo posto.